“L’uomo vuole andare sulla luna senza calpestare le aiuole” (editore Erga) è una raccolta di racconti piacevole e ricca di spunti di riflessione, da consigliare a tutti coloro che sono disposti a mettersi in discussione
Che la diversità sia una ricchezza lo si sente ripetere spesso, come una specie di slogan contro qualsivoglia forma di xenofobia e di sessismo. Ma ci sono tuttora dei “diversi” che passano inosservati: senzatetto, carcerati, malati psichiatrici…
Presenze invisibili e silenziose alle quali la società di rado si interessa, preferendo fingere che non esistano. Salvatore D’Ascenzo, classe 1982, autore molto impegnato nel sociale, con un ricco bagaglio di attività umanitarie alle spalle, nella raccolta di racconti L’uomo vuole andare sulla luna senza calpestare le aiuole (editore Erga, pp. 60, € 13,00) ha finalmente dato loro una voce: «Ma io esisto e sono una presenza ingombrante nella mia assenza. Sono quello che non volete essere. Sono il baratro dove non precipitare. Sono un ricordo da non avere. Pensate solo ad immaginare che anch’io sono un uomo e non una cartolina sporca ai margini della stazione». A loro, ai diversi, viene assegnato il compito di mettere a fuoco lo sbando di una società miope, «che continua a non riconoscersi, nonostante tutti siano così inconsapevolmente uguali». Dal loro cantuccio di osservazione esterno ai fatti, gli emarginati rilevano con sguardo lucido la vacuità della società contemporanea che, schiava di un sistema di apparenze che si è data da sé, si dimena qua e là senza sosta e senza meta, circondandosi di ogni sorta di rumori e immagini per non dover fare i conti con l’inconsistenza del proprio essere.
Gli esclusi dal consesso civile si rivelano gli unici ancora capaci di apprezzare la vita così com’è, nella sua naturale semplicità: solo chi è rinchiuso in un’umida cella buia, assuefatto a un’esistenza di oscurità e silenzio, riesce ancora a provare meraviglia osservando le infinite tonalità di colore assunte dall’acqua in una bottiglia di vetro. E quando non è loro concesso di assaporare i piccoli piaceri della vita, ecco che accorre in aiuto l’arma vincente dell’immaginazione: il detenuto Orlando sogna di degustare, seduto comodamente su una sedia imbottita, otto grosse olive, otto come gli anni di prigione ancora da scontare. Dotati di acuta sensibilità e fervida immaginazione, sono gli ultimi, gli emarginati, i saggi della nostra epoca, dai quali prendere esempio per recuperare un rapporto diretto con la realtà: «La strada è la mia casa, tutto ciò che mi circonda è una risorsa… Uso le mani per mangiare e gli occhi per osservare».
Perché non c’è bisogno di strumenti elettronici per immortalare la natura, «le vere immagini le hai in testa e nessuno te le toglierà mai!», ammonisce un ragazzino senza occhi, chiedendo a un signore la sua macchina fotografica. Il bambino privo di bulbi oculari è solo uno dei tanti personaggi inverosimili che affollano la raccolta, caratterizzata dal gusto del paradossale. L’autore si diverte a mescolare elementi realistici e fantastici, descrivendo scene di vita quotidiana che all’improvviso assumono contorni assurdi: un cinquantenne si mette a piroettare su un filo della luce, un febbricitante vince un assegno di aspirine, un cliente al supermercato resta imprigionato nel codice a barre di un detersivo… Il paradosso (dal greco “contro” e “opinione”) è l’arma d’elezione di D’Ascenzo per combattere i luoghi comuni, i preconcetti della gente, la banalità dell’ordinario; per far tornare a colori un mondo ingrigito da strade, palazzoni, centri commerciali, è necessario chiudere gli occhi e usare la tavolozza della fantasia. Spassosamente ironica è la serie dei quattro racconti ambientati il giorno di Natale, che vedono come protagonista il povero Ippolito. Abituato alla sola compagnia dei suoi cani, egli si muove con estrema goffaggine fra la marea di convenevoli previsti per l’occasione, tingendosi di ridicolo agli occhi dei parenti.
Anche lui, che non si sente parte della società e neppure della sua stessa famiglia, è un escluso, e proprio per questo è incaricato dall’autore di mostrare quanto siano vuote e insensate le convenzioni sociali: una raffica di «Come stai, tutto bene?» pronunciata in automatico senza ascoltare mai la risposta, un brindisi dietro l’altro fingendo ci sia qualcosa di bello da festeggiare. D’Ascenzo tratteggia anche la versione contemporanea della vecchia imbellettata pirandelliana: una nonnina dal volto tutto ben coperto di fondotinta che, senza accorgersene, viene struccata dalle manine del neonato che tiene in braccio. Racconto dopo racconto, il lettore guarda con sorriso sempre più amaro un’umanità smarrita, curvata su se stessa e incapace di conferire il giusto valore alle cose: «A dir la verità sarebbe meglio se voi [uomini] non ci foste», confessa senza mezzi termini una pianta, abbandonata a bordo di un’autostrada dal suo proprietario che deve far posto a un mobile Ikea.
Le immagini: la copertina della raccolta di racconti L’uomo vuole andare sulla luna senza calpestare le aiuole; una foto dell’autore Salvatore D’Ascenzo.
Michela Mascarello
(LucidaMente, anno XIII, n. 155, novembre 2018)