L’Emilia Romagna è la regione con la percentuale più elevata di alunni stranieri: più di uno studente su dieci è immigrato. Vogliamo, per questo, raccontare come nelle scuole di Bologna e provincia vengono accolti i minori migranti e quali sono i fattori che agevolano integrazione e buoni risultati scolastici.
La diffidenza e il timore di “compromettersi pubblicamente” portano i genitori degli alunni intervistati a richiedere l’anonimato. Per questo verranno identificati con le loro nazionalità, non con i loro nomi. Anche gli insegnanti hanno preferito non essere citati.
A scuola con stereotipi e pregiudizi?
“Che marocchino!”. Così un bambino di dieci anni insulta un suo coetaneo. La maestra lo rimprovera, cerca di spiegargli che non si tratta di un insulto, la sua affermazione fa riferimento a una nazionalità, come se avesse detto “Che italiano!”. Divertito, il minore utilizzerà indistintamente le due nazionalità, schernendole. L’insegnante in questione lavora in una scuola elementare di Castel Maggiore. Ritiene che i suoi alunni stranieri siano ben integrati all’interno della classe; episodi come quello succitato sono sporadici e, secondo lei, da ricondurre ad affermazioni dei genitori, reinterpretate dai figli in base alle loro esperienze.
Spostandoci nelle scuole dei quartieri bolognesi avvezzi all’immigrazione da diversi anni, come quello di San Donato, ci imbattiamo in un personale docente preparato culturalmente e professionalmente ad accogliere gli stranieri. Un’insegnante statale di sostegno ci racconta che da anni la presenza dei figli dei migranti è consuetudine; inoltre quasi il 98 %25 di loro è nato in Italia.
“Gli episodi di scarsa tolleranza nei confronti degli alunni immigrati risalgono ormai a qualche anno fa. Come il caso di una bambina rom rifiutata da diverse scuole bolognesi e accolta da noi. Il rifiuto iniziale della classe non era causato dall’essere straniera, ma dalla scarsa igiene personale che spingeva i compagni ad allontanarsi. Erano sì presenti alcuni pregiudizi nei suoi confronti, ma grazie ai nostri consigli sull’igiene personale e ad accorgimenti per agevolare le relazioni e l’integrazione, in pochi mesi non vi era più alcun problema”. I suoi genitori non erano d’aiuto: quando la classe aveva la lezione settimanale di nuoto, essi preferivano non lavarla per qualche giorno, approfittando delle docce della piscina. In questi casi, l’insegnante di sostegno entrava prima negli spogliatoi, la lavava e la preparava per la lezione di nuoto, evitando il rigetto dei compagni.
Gli strumenti per una buona integrazione scolastica
Le principali risorse a disposizione delle scuole per affrontare l’inserimento degli alunni stranieri sono il mediatore interculturale e i laboratori linguistici. Il primo entra in gioco principalmente durante i colloqui con i genitori che non padroneggiano la lingua italiana. I laboratori si svolgono durante le ore di lezione, in piccoli gruppi di lavoro composti da bambini immigrati e non che hanno difficoltà linguistiche. Essi sono gestiti dai docenti della scuola nei momenti di compresenza con il collega con il quale segue la classe oppure da insegnanti di sostegno che, oltre ad occuparsi del proprio utente, creano un gruppo di lavoro per il potenziamento della lingua e di altre materie, se necessario.
Alcuni docenti dei quartieri Navile e San Donato ci raccontano che fino a qualche anno fa venivano organizzati anche laboratori interculturali gestiti da mediatori. Indossando abiti tipici, si narravano storie e tradizioni del proprio paese d’origine: un mezzo per far conoscere la cultura di alcune nazionalità presenti nelle classi bolognesi. “Ricordo ancora una mediatrice culturale indiana – ci dice una maestra del quartiere Navile – che si presentò a scuola con il sari, l’abito tipico del suo paese d’origine. Si avvicinò ai bambini e raccontò la storia di una tigre mimando i gesti dei protagonisti… Fu straordinario vedere gli occhi di quei piccoli incantati. Poi preparò il tè per noi insegnanti”.
In ogni caso, secondo diverse madri immigrate intervistate, il fattore che realmente permette una vera integrazione scolastica degli alunni stranieri è la sensibilità, la professionalità e la preparazione dei docenti. “Mio figlio di nove anni è stato inserito a scuola a maggio dello scorso anno. Fin da subito sono stati organizzati piccoli gruppi di studio della lingua italiana. Nonostante ciò, le maestre hanno avviato un programma individualizzato che modificavano di giorno in giorno in base alle sue esigenze. Al minimo problema mi convocavano per una chiacchierata molto amichevole. A distanza di un anno posso dire che il bambino è inserito nella sua classe senza problemi, anche se ha ancora qualche difficoltà in alcune materie”.
Queste le parole di una mamma romena, che sono condivise da diversi genitori intervistati, che si trovavano nelle stesse condizioni.
La relazione tra gli insegnanti e i genitori e il loro coinvolgimento
Durante la scuola dell’infanzia è fondamentale il rapporto tra gli insegnanti e i genitori, più che in altri momenti della carriera scolastica. Perciò, nel momento in cui questi ultimi non conoscono la nostra lingua, può subentrare un senso di frustrazione da parte del maestro che non riesce a comunicare il comportamento tenuto dal figlio o eventuali situazioni problematiche sorte all’interno della classe. In questi casi il mediatore culturale, che ha a disposizione un numero di ore limitato, non può garantire la continuità nel suo operato e di conseguenza essere uno strumento efficace.
A tale proposito un maestro della scuola dell’infanzia del quartiere Navile racconta che qualche anno fa si sono verificati diversi problemi relazionali e di integrazione con i minori delle famiglie straniere che vivevano nelle case popolari di via Stalingrado. Il Comune di Bologna aveva messo a loro disposizione per il trasporto dei figli da casa a scuola un bus, con il risultato che le insegnanti hanno conosciuto i genitori di questi bambini solo durante la festa di fine anno ed essi hanno avuto seri problemi di integrazione all’interno delle classi, nonché pessimi risultati. L’anno successivo gli allievi sono stati privati di questo servizio, costringendo i genitori ad accompagnarli personalmente a scuola: in poco tempo si è creata una buona armonia all’interno della scuola e i bambini hanno migliorato il loro rendimento.
Un’occasione per coinvolgere tutti i padri e le madri è quella della festa di fine anno, momento in cui i migranti si preoccupano di portare cibi del loro paese, di vestirsi con gli abiti tipici e alcuni di loro si cimentano in piccoli spettacoli che rievocano le proprie tradizioni. Alcune scuole organizzano anche la “Giornata della lingua”: l’unica differenza rispetto alla festa di fine anno consiste nel fatto che gli stranieri insegnano alcune parole della loro lingua. Momenti che rientrano nella programmazione interculturale e permettono di condividere e di diffondere altre culture sia tra i bambini sia tra i genitori.
L’immagine: un edificio scolastico bolognese.
Francesca Gavio
(LM BO n. 1, 16 marzo 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 39, marzo 2009)