«Addossati al cespuglio, il caporale ed io rimanemmo in agguato tutta la notte, senza riuscire a distinguere segni di vita nella trincea nemica. Ma l’alba ci compensò dell’attesa. […] Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!… Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. […] Macchinalmente, senza un pensiero, senza una volontà precisa, ma così, solo per istinto, afferrai il fucile del caporale. […] Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! […] Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altra cosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo. […] “Sai… così… un uomo solo… io non sparo. Tu vuoi?” Il caporale prese il calcio del fucile e mi rispose: “Neppure io”».
Emilio Lussu
(da Un anno sull’altipiano, Introduzione di Mario Rigoni Stern, Einaudi, 2005)
LA RILETTURA
La storia può essere descritta – talvolta anche più efficacemente – attraverso la narrativa, anziché la saggistica: non mancano, infatti, i grandi affreschi storici resi da opere letterarie, come testimonia Guerra e pace di Tolstoj. La Prima guerra mondiale è stato uno degli eventi che ha maggiormente attratto lo sguardo di scrittori e poeti, ispirando ad esempio Henry Barbusse (Il fuoco), Ernest Hemingway (Addio alle armi), Boris Pasternak (Il dottor Zivago), Erich Maria Remarque (Niente di nuovo sul fronte occidentale) e Giuseppe Ungaretti (Fratelli, San Martino del Carso, Soldati, Veglia).
Un anno sull’altipiano – Tra i romanzi più illuminanti e istruttivi scritti sul conflitto del 1914-1918, va menzionato l’antieroico Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu (1890-1975), fine intellettuale e uomo politico molto attivo (fu tra i fondatori del Partito sardo d’azione, di Giustizia e Libertà, del Partito d’azione e militò a lungo anche nelle fila del Partito socialista italiano). Mentre si trovava ricoverato in un sanatorio svizzero fra il 1936 e il 1937, Lussu, su sollecitazione dell’amico e maestro Gaetano Salvemini, decise di mettere per iscritto le sue memorie relative all’anno trascorso combattendo sull’altipiano di Asiago. Ne scaturì un lungo e intenso racconto, che fu pubblicato dapprima a Parigi nel 1938 (per le Edizioni italiane di cultura) e poi in Italia (per Einaudi) nel 1945. Il libro è stato in seguito ripubblicato più volte: la sua ultima ristampa risale al 2005 e comprende un’Introduzione di Mario Rigoni Stern, altro indimenticabile narratore di vicende belliche (uno dei suoi libri più famosi è l’appassionante Il sergente nella neve, ambientato sul fronte russo durante il secondo conflitto mondiale).
La denuncia di una guerra assurda – Lussu non può essere assolutamente considerato un “non violento”: dapprima interventista, poi energico antifascista, non si sottrasse mai allo scontro, anche cruento, contro gli avversari politici (come egli stesso testimoniò peraltro in un altro celebre racconto, Marcia su Roma e dintorni), prendendo parte alla guerra civile in Spagna e alla Resistenza. Ciò nonostante, Un anno sull’altipiano (a cui si è ispirato il bel film di Francesco Rosi Uomini contro del 1970) ci appare un’opera a suo modo pacifista, che denuncia l’assurdità della guerra: soprattutto di quella che si combatteva nelle trincee e nella “terra di nessuno”, dove i militi venivano mandati inutilmente al macello, senza pietà, da comandanti folli e megalomani, privi di qualunque assennata strategia.
L’angoscioso dilemma – Carlo Salinari, commentando il libro, ha scritto giustamente che «rimane nella mente il profilo pensoso dell’autore sospeso nell’angoscioso dilemma che lo dilania: di aver voluto la guerra e di aver visto cadere tutte le sue illusioni». Oltre che dall’anelito antimilitarista, la narrazione di Lussu è caratterizzata, infatti, anche da momenti di profonda umanità e dalla nitida descrizione del dualismo insito nella natura umana, lacerata fra istinto di sopraffazione e rispetto per la vita. L’impulso predatorio induce il protagonista a puntare il fucile su un ignaro e inerme ufficiale austriaco, ma la ragione (o la “voce della coscienza”) lo convince a desistere, facendogli capire che sta per commettere un omicidio. La rinuncia alla violenza gratuita nobilita Lussu (e il caporale che lo accompagna), rivelando che nell’animo dell’autore alberga anche la compassione. In un mondo che sistematicamente ricade nella brutalità della guerra e della violenza, il messaggio di Lussu risulta sempre attuale, quale esortazione a non dimenticare mai che il “nemico” è comunque “un uomo”.
L’immagine: la copertina dell’edizione einaudiana di Un anno sull’altipiano di Lussu.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno II, n. 15, marzo 2007)