All’interno dello splendido parco dei Nebrodi, i registi Grassadonia e Piazza hanno portato sulle scene la vera storia di un rapimento in un’opera dura e di straordinaria bellezza
Perdersi in un bosco che provoca le vertigini al pari di un labirinto. Soffermarsi a osservare i soffioni che danzano al ritmo del vento. Distrarsi un breve attimo e scoprire che l’universo della nostra infanzia, accompagnato da tutte le sue certezze e spensieratezza, si è volatilizzato all’improvviso, se n’è andato per sempre.
È la storia di Luna e Giuseppe, di un amore fra adolescenti più sognato che vissuto, quello raccontato in Sicilian Ghost Story, film dei registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, già autori di Salvo (2012). La cornice è una Sicilia fiabesca, dai paesaggi lunari e misteriosi, le atmosfere gotiche e surreali. Tuttavia, quella narrata è una favola nera. La pellicola illustra, in un connubio fra realtà e fantasia, la tragica vicenda di Giuseppe, ragazzino di 12 anni, figlio del pentito Santino Di Matteo, rapito nel 1993 e poi disciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. Appassionato di equitazione, Giuseppe sparisce misteriosamente un pomeriggio mentre si trova al maneggio dove è solito allenarsi; è in compagnia di Luna, la quale non si accorge di due auto che si allontanano con a bordo il giovane.
Nei giorni seguenti in paese tutti credono alla versione ufficiale, ovvero che Giuseppe sia assente da scuola per malattia. Solamente Luna non vuole accettarla. Guidata da un amore sconfinato, come solo il primo grande amore può essere, Luna non si arrende alla sparizione del suo amato ed è disposta a tutto pur di scoprire la verità. A ribellarsi alla madre, donna svizzera di estremo rigore e freddezza, incapace di dimostrare affetto alla figlia distrutta dal dolore. Oppure a rischiare la vita tuffandosi nelle profondità di un lago per trovare l’accesso al nascondiglio dove il ragazzo è tenuto prigioniero.
Una vicenda troppo terribile per essere raccontata con realismo: è per questo che la coppia di registi ha deciso di farlo servendosi del genere fantastico. I personaggi che appaiono sono presenze eteree, evanescenti, che si mostrano alle finestre come fantasmi. I colori sono cupi, così come le anime nere rappresentate nel film: figure omertose, incapaci di ribellarsi alle leggi millenarie del sistema mafioso. Il film sfida il racconto classico di mafia con uno stile unico e originale, che coinvolge intensamente e scuote l’animo nel profondo. Le ambientazioni all’interno del parco dei Nebrodi e nei boschi di Cesarò (Messina) e Troina (Enna) mostrano allo spettatore una Sicilia insolita, eppure, proprio per questo, ricca di straordinario interesse. Come non era mai accaduto prima per un film italiano, la pellicola ha inaugurato la Semaine de la critique del Festival di Cannes, sezione dedicata alla scoperta di nuovi talenti, riscuotendo grande successo.
Valentina Cuppini
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)