Intervista a Carmelo Musumeci, ergastolano che si batte per i diritti dei carcerati
«Maria, sono un senza Dio, un uomo ombra, un ergastolano ostativo a qualsiasi beneficio, condannato dagli uomini “buoni” e “giusti” a essere cattivo e colpevole per sempre». È il grido di allarme contenuto nella lettera scritta da Carmelo Musumeci il 15 agosto 2011, condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Spoleto, in provincia di Perugia. Le parole riportate nel messaggio mostrano la pesante condizione di vita dei reclusi, difficile da vivere quotidianamente. Raccogliamo l’appello di Musumeci per soffermarci, con particolare attenzione, sulla situazione sociale dei carcerati. Per molti è scontato che sia dura la vita nel carcere, ma l’umanità dovrebbe spalancare le porte dell’anima alle persone chiamate a gestire la rieducazione dei carcerati. Tutto ciò per porre l’accento sull’importanza dell’articolo 27 della Costituzione italiana, troppo spesso dimenticato.
Come si svolge la sua giornata? Quali momenti definirebbe insopportabili?
«Il momento più insopportabile per un ergastolano ostativo è il mattino, quando apri gli occhi e ti accorgi che sei ancora vivo. D’inverno, nella mia cella, non batte mai il sole. Solo nei mesi caldi i suoi raggi entrano dalla finestra. Di solito apro gli occhi verso le cinque del mattino. Di solito mi sveglio incazzato, arrabbiato e scorbutico come un leone che si sveglia in una gabbia. Di solito penso subito alla mia compagna, ai miei figli e ai miei nipotini. Di solito mi domando se vale la pena di svegliarmi, alzarmi e ritornare alla sera a dormire di nuovo, solo per invecchiare in carcere. Alla fine mi alzo. Accendo la televisione. Mangio una mela. E bevo mezza bottiglia d’acqua per andare bene in bagno. Poi mi faccio il caffè. E aspetto le sette, quando aprono il blindato. Alle otto e mezzo aprono i cancelli e vado nel cortile. Passeggio avanti e indietro. Da un muro all’altro. Da una parete all’altra. Con passi lunghi e ben distesi. A volte in compagnia. A volte da solo. A volte chiacchierando. A volte in silenzio. A volte con la testa fra le nuvole. Verso le ore undici rientro in cella. A mezzogiorno faccio un pasto frugale. Poi aspetto la corrispondenza. Studio, leggo e scrivo tutto il giorno. E ci sono dei momenti, per la verità pochi, che, nonostante la sofferenza di una condanna che non finirà mai, vivo la mia vita libera di pensare i miei pensieri. Verso le sette di sera mi faccio da mangiare qualcosa. Vedo un po’ di televisione. E mi preparo per un’altra notte da ergastolano. Di giorno è più facile sfuggire alla solitudine. Di notte è più difficile. Poi chiudo gli occhi con la speranza, l’indomani, di non aprirli più».
Può tratteggiare la condizione sociale degli ergastolani?
«Gli uomini ombra, come definisco gli ergastolani ostativi, condannati alla Pena di Morte Viva, non hanno più niente in comune con gli altri prigionieri perché vivono in un modo completamente diverso da tutti gli altri. Gli altri “ospiti” hanno delle speranze, dei sogni, noi, invece, non abbiamo più nulla. E la cosa più brutta per l’uomo ombra è che il suo futuro non dipende più da lui, perché con la pena dell’ergastolo diventa solo uno spettatore passivo della sua vita. Per questo egli non ha più speranze da sperare. E non ha più sogni da sognare. Il rapporto con il resto del mondo di un uomo ombra è diverso da tutti gli altri prigionieri, perché, mentre gli altri sanno quando usciranno, noi sappiamo che usciremo solo da morti. Per questo molti di noi preferirebbero morire subito anziché poco per volta».
È impegnato nella scrittura: vuole comunicare con l’esterno, il massaggio che vorrebbe lanciare?
«Mi sono accorto che, a differenza di altri Stati, in Italia non esiste alcuna letteratura sociale carceraria. E forse è anche per questo motivo che nel nostro Paese il carcere è uno dei luoghi più ingiusti, sconosciuti e disumani che esistano sulla terra. La prigione è un mondo ignoto per quasi tutti coloro che sono liberi. Scrivo per tentare di far conoscere l’inferno che i “buoni” hanno creato e mal governano. Per adesso ho preferito solo rendere pubblici alcuni miei brevi racconti “noir social carcerari”, come li chiamo, perché mi sono accorto che per un ergastolano è molto difficile pubblicare dei romanzi; ma ne ho diversi inediti nel cassetto, fra cui il mio preferito: Nato colpevole. Mi piace scrivere perché vivo quello che scrivo: è l’unica maniera rimasta per continuare a vivere».
Di recente ha denunciato: «la legalità prima di pretenderla bisogna darla, il carcere è uno dei luoghi più illegali». Qual è la situazione degli istituti penitenziari?
«Per rispondere a questa domanda basterebbe vedere il numero delle persone che nelle carceri italiane si tolgono la vita. In questi giorni ho letto che una persona alla domanda “Dov’era Dio ad Auschwitz?” ha risposto “Dov’era l’uomo?” E anch’io mi domando dove sono i buoni là fuori? È inutile nasconderlo: in carcere non c’è più alcuna umanità e non è colpa di Dio, né dei cattivi, è solo colpa dei “buoni” incensurati che la domenica mattina vanno a messa».
La sua infanzia è stata difficile?
«Voglio rispondere a questa domanda riportando un pezzo del personaggio di un mio romanzo che ha vissuto la mia infanzia: La sua prima amarezza fu quando nacque. Nei primi tempi della sua vita aveva avuto qualche sogno. Poi aveva smesso di sognare. Il suo passato era semplice da raccontare. Nino era cresciuto da solo. Senza nessuno. Prima in compagnia delle suore. Poi dei preti. La sua infanzia non era stata bella. Per nulla! Non aveva mai avuto famiglia. Nessuno lo aveva mai voluto. Nessuno aveva mai voluto stare con lui. Fin da bambino aveva imparato a tenersi compagnia da solo. Solo con il suo cuore. Fin da piccolino si era sempre protetto da sé. E lo aveva fatto anche da grande. Nino era cresciuto a “perati du culu e a cuzzati du cuddu” da parte delle suore e dei preti. E dopo dai compagni del collegio e del riformatorio. Il suo cuore aveva smesso di sperare molto presto. Nino fin da bambino si era rifiutato di sottomettersi alla vita e al mondo. E dopo si era rifiutato di sottomettersi all’Assassino dei Sogni. A volte le botte fanno bene. Fanno male all’anima, ma fanno bene al corpo. Il suo corpo a forza di botte si era indurito. Era cresciuto forte e muscoloso. Nino era diventato un lottatore che non era mai sceso a patti con nessuno. Neppure con la vita».Dove pensa di aver sbagliato, l’errore da dimenticare, da non commettere?
«Questa è la domanda più facile. La prima risposta è che penso di avere sbagliato a venire al mondo. La seconda, di essere venuto al mondo. La terza, spero di non venire più al mondo».
Per un bel servizio del Tg3 Umbria sulla sua laurea: http://www.youtube.com/watch?v=6mA2xfSkt7E.
LucidaMente ha pubblicato due interventi di Musumeci: Carceri: solo la morte può liberarti dalla sofferenza e Quando uno stato non rispetta la propria Costituzione e le proprie stesse leggi.
Per avere un quadro completo del dramma-carcere, con tabelle e considerazioni varie, si legga Pianeta Carcere: un sistema vicino al collasso totale di Antonio Antonuccio, apparso in due parti nei numeri 33 e 34 (aprile e maggio 2012) di Excursus: http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcerePartePrima.htme http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcereParteSeconda.htm.
L’immagine: Carmelo Musumeci e la copertina del suo ultimo libro Gli uomini ombra e altri racconti (Gabrielli Editore).
Di esso Margherita Hack ha scritto: «È un libro sconvolgente, opera di chi in carcere è diventato un grande scrittore, che scrivendo riesce a sopportare quella morte al rallentatore che è il carcere a vita, l’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”. Sono racconti in parte veri, in parte romanzati, che rispecchiano la violenza di chi ha potere su i carcerati e l’ansia di libertà, di giustizia, l’amicizia profonda che si stabilisce fra compagni di pena. Quando si legge di casi reali di giovani rei di aver partecipato a qualche manifestazione, o di aver reagito alla forza pubblica, che, entrati in carcere in piena salute ne escono avvolti in un lenzuolo e con sul corpo i segni di pestaggi selvaggi, si vuol credere che si tratti di casi eccezionali, poi si pensa a quello che è successo durante il G8 a Genova e si comincia a dubitare. Il carcere che dovrebbe essere scuola di riabilitazione si rivela un centro di abbrutimento per i carcerieri e di annullamento della personalità dei carcerati a cui questi si ribellano con la violenza, carcerieri e carcerati egualmente vittime di un sistema degradante».
E Barbara Alberti: «È leggendo Notte da ergastolano che ho davvero capito un romanzo di Jack London, Il prigioniero delle stelle [in realtà, Il vagabondo delle stelle, ndr], dove il detenuto seviziato dai secondini e immobilizzato in una camicia di forza, evade rivivendo le sue vite precedenti. Riesce a resistere perché non è più lì – è in Egitto 5000 anni fa o nella Spagna moresca. Mentre i suoi aguzzini infieriscono sul suo corpo, lui passeggia nel mondo e nel tempo, e così si salva. Più interessante la fuga di Musumeci, che evade senza evadere dalla sua vera esistenza ma sprofonda in se stesso, nella sua realtà che doppia quella della prigione. Più fortunato del personaggio di London, che non ha la grande compagna di fuga, la scrittura. Musumeci ha il dono. Le idee, il ritmo, il linguaggio».
Francesco Fravolini
(LM MAGAZINE n. 19, 19 settembre 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 69, settembre 2011)
…Qui non c’è più decoro le carceri d’oro ma chi l’ha mai viste chissà chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti se tengono l’immunità don Raffae’…
Spese di soldi pubblici per gli amici degli amici, ma per i “disgraziati” solo l’oblio, quando gli va bene!
kiriosomega