È uscito l’11 novembre scorso il nuovo album del cantante/bassista britannico, dal titolo “57th & 9th” (A&M Records), in una veste più aggressiva rispetto ai precedenti lavori, incentrati sul genere musical e sulla musica classica
Quella di Sting è sicuramente una delle carriere più prolifiche sulla scena musicale planetaria. Un artistaeclettico, che è riuscito a fondere nel suo stile molti generi, partendo dal jazz, passando per il pop e il reggae, arrivando al rock. Con quest’ultimo si è davvero superato pubblicando la sua ultima fatica: 57th & 9th. Il titolo prende il nome dall’incrocio situato a Manhattan, che il musicista ha attraversato ogni giorno durante la fase di registrazione del disco per recarsi nella sala prove nel quartiere di Hell’s Kitchen.
L’album è stato registrato con alcuni storici collaboratori, tra i quali spiccano Dominic Miller (chitarra), Vinnie Colaiuta (batteria), il batterista Josh Freese (Nine Inch Nails, Guns N’ Roses), Lyle Workman (chitarra) e una band proveniente da San Antonio, la Tex Mex The Last Bandoleros. Il disco contiene dieci brani ed è stato prodotto da Martin Kierszenbaum, noto per essere anche il paroliere e produttore di musicisti quali Lady Gaga e Keane. A primo impatto potrebbe sembrare un ripresa delle sonorità dei Police, il suo primo gruppo costituito da lui nel 1977 insieme al batterista Stewart Copeland e il chitarrista Andy Summers e scioltosi poi nel 1984. In effetti, ascoltando la traccia iniziale del cd, I Can’t Stop Thinking About You, pare proprio di ritrovare un certo tipo di sonorità rock da cui Sting pareva essersi allontanato da tempo. Certo, risuona l’eco di brani come Message In A Bottle e Roxanne, ma nella sua complessità l’album risulta avere una dimensione più moderna grazie alla produzione e al missaggio di Kierszenbaum.
In questa prima composizione, così come in tutto il disco, la chitarra è la protagonista assoluta snodandosi in vari arpeggi e riff graffianti; seguono poi tutti gli altri strumenti con una buona dose di energia e, infine, la sua voce che, anche a 65 anni, è inconfondibile. Sulla stessa linea d’onda troviamo 50,000 (fifty thousands), la seconda traccia del disco, che rappresenta un tributo alle rockstar decedute nel 2016 e, in particolare a Prince, scritta proprio nella settimana in cui è scomparso. Non mancano nell’album contaminazioni da precedenti dischi: tra tutte, la pacata e dolce acustica Heading South On The Great North Road, molto simile nello stile ai brani contenuti in The Last Ship del 2013.
Il suo attivismo non si ferma mai, neppure con questa inaspettata ripresa di suoni massicci. One Fine Day tratta il tema dei cambiamenti climatici che stanno affligendo il nostro pianeta, mentre Inshallah è una ballad sul viaggio dei migranti in Europa. In quest’ultimo, Sting prova a mettersi nei panni di un rifugiato siriano in fuga dalla guerra su una barca che attraversa il Mediterraneo diretta in Grecia; dal punto di vista melodico, ricorda un suo vecchio brano intitolato Desert Rose, tuttavia con l’aggiunta di percussioni in stile orientale udibili in sottofondo. Concludendo, possiamo affermare che 57th & 9th figuri come l’album più fresco e immediato della carriera solista di Sting, con melodie a primo impatto semplici, ma che in realtà celano un grande lavoro dietro. A momenti di puro rock, se ne alternano altri più miti e di riflessione. L’ascolto è piacevole, ed è sempre come la prima volta perdersi nelle sue armonie vocali e in quelle del suo fender precision bass.
Stefano Iaquinta
(LM MAGAZINE n. 29, 16 dicembre 2016, Speciale Eventi culturali, supplemento a LucidaMente, anno XI, n. 132, dicembre 2016)