Undici racconti di vita, undici storie di disperazione, sopravvivenza e disprezzo. L’esordio vagamente noir del sassarese Gianni Tetti, intitolato I cani là fuori (Neo Edizioni, pp. 200, euro 12,00), raccoglie stralci di esistenze, fotografie istantanee di momenti di consapevole follia e brutalità. Una sorta di giustizia “fai da te” anima i protagonisti, li spinge verso il limite e costruisce giustificazioni plausibili e irrinunciabili alle azioni che compiono o hanno compiuto. Tetti non risparmia nulla, soprattutto non lascia in disparte il lettore ma lo coinvolge come parte attiva della storia: le pulsioni e le sensazioni dei personaggi diventano quelle del lettore, che arriverà a pensare di averli al proprio fianco.
Una giustizia privata
«Piove Piove Piove Piove. Sono dieci giorni che piove. Piove sempre. Tutti i giorni, tutto il tempo. Sei abituato alla pioggia. Non sei abituato a lamentarti. La pioggia ti consuma la pelle. Ti fa somigliare a un anfibio. L’umidità ti fa sentire una lumaca. Il tuo lavoro è questo. Un cecchino si apposta, sistema l’arma, guarda tutto il tempo nel mirino, e non si muove finché non gli dicono di muoversi. O finché il bersaglio non esce allo scoperto. Allora spari, e speri di tornare a casa prima possibile».
Lo stile asciutto e sintetico, i periodi brevi e incisivi rendono vivo e incalzante il ritmo di lettura. Non c’è tempo per annoiarsi perché iniziano veri e propri viaggi nelle menti dei personaggi, scavando nei loro più remoti ricordi e nelle loro più subdole perversioni. Uno dei lati più sinistri della natura umana viene portata alla luce e mostrata per quello che è: la necessità di vendetta, non importa se commissionata o giunta dopo anni. Ciò che importa è ottenerla e, una volta assicurata, ci si continuerà a guardare allo specchio interrogandosi sul taglio di capelli. O, ancor meglio, si incollerà il naso al vetro freddo di una finestra e si osserverà il mondo, fissando un punto imprecisato nel buio.
Residui di istinti animali
«E guardo fuori dalla finestra. Controllo, prendo appunti e segno tutto col compasso e la matita B1. Ho fatto la mappa. Ogni punto da cui provengono gli ululati, io l’ho individuato. Dalla finestra vedo uomini e donne puzzolenti che affollano i bus, e da qui vengono ululati, i marciapiedi, le tavole calde, i negozi, le strade, gli uffici pubblici, e da lì vengono altri ululati. (…) Per Vito Bè un cane (ndr) finiremo col mangiarci l’uno con l’altro. Quando non ci saranno più le bestie. E le bestie finiranno abbastanza presto e con loro se ne andranno anche i vegetali. E questa è comunque una parte del segreto. Rimarremo noi e i cani. E se ne vedranno di tutti i colori».
Prima o poi, ognuno di noi darà sfogo alle delusioni ricevute: i sogni infranti, gli incubi ricorrenti, le violenze subite da un padre-padrone, gli scherni delle persone per strada e al bar esploderanno. Apparentemente siamo tutti persone normali con guai e passioni, con tragedie ed euforie. Ma nell’angolo più nascosto della nostra mente, covano nel silenzio emozioni e sentimenti che consciamente non percepiamo: maturano e si alimentano diventando sempre più forti fino a quando non potremo più ignorarli. Tetti lo dimostra bene: le sue “creature”, ovvero i protagonisti del romanzo, si sviluppano in un crescendo di violenza e istinti primordiali. Rasenteranno la pazzia e ne saranno consapevoli.
I veri cani
«Mi sono messa paura. Questa volta davvero ho avuto paura. C’è un tipo che mi segue. Si nasconde dietro la siepe di mio zio e mi guarda tutto il tempo. Soprattutto sa dov’è la finestra di camera mia, sa a che ora esco e a che ora rientro, sa tutto perché sta tutto il tempo davanti a casa, dietro la siepe. Mi fa paura. Domani lo dico al mio Bruno che a quel tipo gli darà una lezione. Lo farà. Se mi vuole bene gli darà una lezione. E così quel tipo non si farà più vedere». Poi arriverà il momento in cui, a un certo punto della lettura, sorgerà spontanea una domanda: tra tutte le ingiustizie subite e ripagate, tra tutti i torti incassati e restituiti, siamo proprio sicuri che il vendicatore non sia alla stregua del colpevole iniziale? I “cani” stanno veramente là fuori o, in fondo, siamo tutti un po’ “cani” nel senso dispregiativo del termine e non perdiamo occasione per colpirci a vicenda? Forse è proprio su questo che l’autore ci invita a riflettere: vittima e carnefice si scambiano sempre i ruoli.
Sabotaggi di vita
Sono quasi sempre vite e pensieri borderline di persone che non sembrano avere una reale coscienza di esistere, o forse ne hanno troppa. Un ragazzino che decide di diventare invisibile, un gringo a cui viene commissionato un lavoretto, un cane che parla, un padre violento che chissà come finisce morto nel cassetto della spazzatura, un mal di denti che diventa l’ossessione di un giovane, una ragazza che sconta gli errori di due famiglie: elenco infinito di un’umanità che svanisce e cede il passo all’amoralità più becera, anime deviate che si risolvono nelle stesse violenze malate di cui sono involontariamente state oggetto.
«Qua tutti leggono la mano. Mi guardo la mano. Non so leggere la mano. Il rumore delle gocce che cadono sul pavimento è rilassante, gocce calde, rumore sordo, è il mio sangue. La mia mano. (…) Sento i cani là fuori. I cani più furiosi che abbia mai sentito. Ce l’hanno con me. Sentono il mio odore. Vogliono azzannarmi. Abbaiano, si bagnano, guardano fisso qua, verso di me, verso la porta della stanza numero cinquantasei. Sono predatori pure loro».
L’immagine: la copertina del libro di Gianni Tetti.
Jessica Ingrami
(LM EXTRA n. 23, 14 febbraio 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 62, febbraio 2011)