L’esordio dell’attore americano alla regia: quando i ricordi del passato bussano all’improvviso alla porta
Dustin Hoffman debutta nella veste di regista con una pellicola nata da un adattamento di una pièce di Ronald Harwood. Il cast è di tutto riguardo: fra gli altri, vi recitano Pauline Collins, Billy Connolly, Tom Courtenay, Michael Gambon e Maggie Smith. Il film, uscito nelle sale cinematografiche il 24 gennaio, rappresenta un omaggio alla terza età, che qui si regge più sui ricordi che sul presente; soprattutto per i protagonisti della storia, dei musicisti oramai in pensione, che in passato hanno calcato palcoscenici ambiziosi. Hoffman ha voluto omaggiare anche la Musica: la colonna sonora è infatti validamente supportata da brani senza tempo di opere tra cui il Rigoletto e La traviata. Ottime le performance dei cantanti – veri.
La trama è ambientata in un rinomato ospizio per musicisti e cantanti lirici – la Beecham House – immerso nelle campagne inglesi. La casa di riposo, nonostante sia un’enorme e incantevole villa dallo stile vittoriano, rischia la chiusura a causa della crisi economica. Al fine di scongiurare lo smantellamento della struttura, i soggiornanti, in occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi, organizzano un evento speciale: un gala per una raccolta fondi, una passerella di vecchie glorie – loro stessi – lontane oramai da tempo dal palcoscenico. Mentre fervono i preparativi, la Beecham House accoglie, come ospite fissa, Jean Horton: con lei, artista di punta, si ricostituisce così un leggendario quartetto canoro. L’arrivo della donna crea scompiglio da subito. Le tranquille abitudini di vita degli ospiti, primi fra tutti gli altri componenti del quartetto, vengono sconvolte radicalmente: tornano a galla ricordi rimasti assopiti nel tempo, vecchie amicizie e inimicizie, amori mai dimenticati. Lo spettatore assiste così all’intreccio fra più storie, tutte con un comune denominatore: Jean Horton.
Hoffman, nella versione da regista sembra – almeno questa volta – non aver lanciato al mondo un messaggio preciso: né la pellicola da lui diretta sembra fare la differenza rispetto ad altre similari. La narrazione è elementare, talvolta sbrigativa e non mancano cliché tipici della vecchiaia che fanno sorridere lo spettatore. La dignità della terza età, però, non viene mai dimenticata, anche se permane, per l’intera pellicola, l’angoscia dei protagonisti di convivere con infermità e con disturbi di natura varia. Apprezzabile infine l’accurata scelta dei materiali – più che appropriati – utilizzati nella regìa per costruire un finale malinconico ma anche un po’ evanescente. In perfetto stile con l’età dei protagonisti.
L’immagine: la locandina del film Quartet.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)