Una spietata, attualissima critica dell’odierna società capitalistico-consumista, basata sul possesso e sull’alienazione
È interessante notare come i temi trattati dalla Scuola di Francoforte si intreccino strettamente con il messaggio che Pier Paolo Pasolini ha lanciato in Teorema, suo famoso film del 1968, attraverso la trama e le vicende dei personaggi. Più che di un intreccio tematico, si potrebbe parlare di compenetrazione di prospettive interpretative riguardanti la storia socioculturale di fine anni Sessanta-inizi anni Settanta. Tuttavia, avvalendoci di uno sguardo più profondo, ci possiamo rendere conto della lungimiranza di tali prospettive: quando noi lettori odierni affrontiamo i saggi critici di Erich Fromm, Max Horkheimer, Theodor Adorno, Herbert Marcuse e, non dimentichiamoci, dello stesso Pasolini, siamo generalmente spinti a vedere nelle loro descrizioni e interpretazioni non tanto il ritratto della società del loro tempo, bensì del nostro tempo, la società in cui la nostra esistenza è totalmente coinvolta.
Tendiamo a considerare istintivamente questi intellettuali come nostri interlocutori, proprio perché ci rivelano la fisionomia della società in cui viviamo.
Rimanendo quindi fedeli alla traccia delineata all’inizio, cerchiamo di avvicinarci al pensiero pasoliniano operando un percorso trasversale, partendo dai concetti chiave di Fromm e Horkheimer, fino ad arrivare a Teorema.
L’etica dell’avere come elemento caratterizzante la società occidentale – Ci rendiamo conto che il fulcro della trattazione è sempre lo stesso: la critica aspra nei confronti della società capitalistica contemporanea, la perdita di valori culturali autentici e di conseguenza di un’identità storica, l’individualismo portato all’eccesso e trasformatosi in egoismo e sterile narcisismo. Fromm parla di sopraffazione, nella nostra “società del benessere”, dell’etica dell’avere su quella dell’essere. A dire il vero, segue un iter storico della nascita e dello sviluppo della prima tipologia etica, sviluppo che viene rintracciato nell’affermazione della proprietà privata e del dominio dell’uomo sull’uomo; un ulteriore esempio che la storia offre è la perpetuazione secolare della famiglia patriarcale, che identificava il capo famiglia col padrone della moglie, dei figli, degli schiavi (se si fa riferimento all’età antica dei Greci e dei Romani, per esempio) e degli animali. Da tutto ciò, si ricava che l’esistenza secolare dell’etica dell’avere sia stato l’elemento caratterizzante della società occidentale. D’altra parte, l’avvento dell’industrializzazione prima, l’esplosione del boom economico poi (ricordiamo che quest’ultimo caratterizzò l’Italia di fine anni Cinquanta), hanno condotto all’esasperazione alcune caratteristiche negative di essa, tra le quali lo stesso concetto di proprietà privata, estesosi ormai a tutto, non più solo alle cose, ma anche ai rapporti generali tra le persone e persino con se stessi.
Il possesso dell’io – Oggi l’individualismo non coincide con la positività illuministica, ossia con la capacità dell’uomo di liberarsi dalle catene delle convenzioni sociali e dei dogmi della tradizione, ma col suo carattere peggiore: il possesso di sé, che si traduce nell’investimento delle proprie energie per il successo personale; con la parola io, il soggetto oggi intende un corpo, un nome, il rango sociale, i propri possessi (incluse le cognizioni), l’immagine che ha di se stesso, immagine che si rapporta sempre ed esclusivamente a modelli esterni, piovuti dall’alto. L’io è avvertito come una cosa che si possiede: è il concetto di possesso che domina dappertutto; non siamo soddisfatti di noi stessi se non ci possediamo come vorremmo, se non possediamo tutte quelle qualità ritenute idonee a questa società del consumo parossistico, che tutto crea e tutto distrugge in continuazione, che produce e macina come una sorta di coazione a ripetere; e tutto questo per la mancanza di sicurezza insita nell’individuo moderno, il quale aspetta sempre un O.K. dall’esterno, per sentirsi a posto con se stesso e con la propria coscienza, coscienza che è diventata subdolamente schiava del conformismo edonistico di oggi. Possediamo noi stessi per autoostentarci, riducendoci a merce: vogliamo far bella figura agli occhi degli altri, vendendoci alla medesima stregua di un prodotto industriale, per comperare le altrui simpatie.
Un’identità a rischio – Ma una sicurezza sulla propria identità che viene esclusivamente dall’esterno comporta il grossissimo rischio di perdere completamente l’orientamento, di dimenticare quanto vi possa essere di autenticamente sentito e voluto, negando così proprio quell’identità genuina che tanto disperatamente si cerca, poiché si finisce, in modo inerte e passivo, con l’accettare pregiudizi radicati nella quotidianità del vivere, fondati sulla cosiddetta filosofia del “si fa perché si dice” e “si pensa perché si crede generalmente così”. L’uomo è caduto nel vortice della noia consumista che, secondo Fromm, si divide in quattro fasi: acquisizione; possesso e uso transitori; eliminazione; nuova acquisizione. Solo il nuovo può dare sostegno significativo al vivere di ciascuno di noi; il vecchio, proprio in quanto tale, viene seppellito nel dimenticatoio dell’inutilità.
Rapporti interpersonali falsati – Il soggetto non è più l’io, il mio io, bensì: io sono io perché io ho x; intendendo per x:
a) oggetti naturali;
b) persone con le quali istituisco un rapporto tramite il mio potere di controllarle e farle permanentemente mie.
Ciò fa sì che tra persone non si istituisca un rapporto di genuina fraternità, ove ancora abbiano dimora sentimenti di altruismo e umanità che portano alla condivisione di interessi sinceri; il rapporto comunicazionale e sentimentale è divenuto ormai scambio fondato sul fine meramente egoistico di possedere l’altro, usufruendo di tutte le energie possibili per apparire migliore e demolendo, come in un gioco di specchi, l’immagine dell’altro. Oggi, infatti, si parla solo di immagine.
Una società subdola e l’originalità pasoliniana – Fromm ripercorre anche la teoria psicoanalitica freudiana, interpretando questa stessa realtà sociale e attribuendole un carattere subdolo. Una realtà che è resa tale dall’imposizione alla persona che sta crescendo di una volontà e di moduli mentali ed emozionali conformisti, unitamente alla repressione di ricompense, punizioni e di un’ideologia ad hoc, mediante un complicato processo di indottrinamento. E Pasolini, nella doppia veste di regista e scrittore corsaro, si fa aspro accusatore nei confronti di tale società, che aveva, a suo giudizio, creato dei mostri, deturpando gli animi delle nuove generazioni, rendendoli simili a sterpaglie secche, sterili, morte. Era questa stessa società che aveva reso le nuove generazioni ansiose di raggiungere modelli ideali irraggiungibili e, con l’oblio dei vecchi valori e il conseguente disorientamento nell’assegnare un senso razionale alle cose, aveva finito col provocare in loro forme di violenta e profonda esasperazione, destinate a scaturire in fenomeni di brutalità interpersonale. I delitti passavano indifferenti sulle cronache nere dei giornali, genere di consumo per la curiosità pettegola dei lettori medi che si accontentavano di informarsi sulla banalità del quotidiano, senza riflettere e sentire l’appartenenza esistenziale al genere umano. L’originalità pasoliniana sta nell’aver fatto della scoperta del pensiero marxista del feticismo delle merci o dell’uomo a una dimensione di Marcuse, una scoperta esistenziale: il suo strumento era la sua esistenza, la vita che gli veniva imposta dalla sua diversità.
Esiste una via d’uscita “Totalmente Altra” – Come ritornare, allora, all’autenticità dell’esistenza, affinché tra uomo e uomo si restauri un rapporto di reciproco rispetto? Secondo il pensiero di Fromm, è l’etica dell’essere quella che può riportare l’uomo alla soddisfazione di un sé che non si fondi sul possesso, ma sull’espressività delle proprie facoltà e capacità, sulla valorizzazione della molteplicità di doti che ogni essere umano possiede, in vario grado. L’individuo deve diventare una persona libera e una metamorfosi in questo senso può avvenire solo se impara a interrogarsi, scoprendo di avere dentro di sé l’origine delle proprie azioni, così da essere anche in grado di darsi autonomamente una morale. L’individuo, quindi, diventa responsabile dei propri vissuti, impara a cambiare e a trascendere se stesso. È colui che presta attenzione e si rende conto che occorre fare una distinzione tra pensiero e reale, poiché il reale è immensamente più grande del pensiero che lo pensa, di guisa che va a comprendere anche ciò che non riesce a pensare. Dicendo questo, occorre riallacciarsi al concetto di Horkheimer sul “Totalmente Altro”: esso è tale fino a quando non è descrivibile e non può essere assorbito nella nostra identità.
Pasolini e un'”altra” dimensione esistenziale – Torniamo allora a Teorema: l’Ospite, che, nella vicenda del film, s’insinua in una famiglia borghese, sconvolgendola, può essere considerato il “Totalmente Altro”? A questa domanda, risponderei affermativamente, se però ci si allontana dall’immagine di mera fisicità dell’Ospite, visualizzando invece la capacità di quest’ultimo di provocare turbamenti spirituali, sconvolgimenti psicologici ed emozionali ai membri familiari. Turbamenti e sconvolgimenti che non possono essere descritti analiticamente con il linguaggio convenzionale, ma si possono solo intuire empaticamente, attraverso la comunicazione degli sguardi, dei giochi teneri e amorosi o la ludicità degli atteggiamenti che intrecciano i personaggi del film. Allo spettatore arriva il messaggio di una realtà vista e vissuta in un’altra ottica, in una dimensione esistenziale “altra”, in cui centrale diviene la condivisione sentimentale delle esperienze e delle sue più piccole e semplici particolarità, dovute per esempio al tumulto emozionale scaturito da una poesia, da un racconto, da una pittura, alla capacità di dar vita a tutto ciò che si sfiora con la fisicità del tatto, ma anche solo con lo sguardo trasognato di un poeta o con l’intelletto di un pensatore che vuole superare, nella consapevolezza dell’illimitatezza delle angolature conoscitive, la mediocrità delle presunzioni e delle pigrizie culturali del mondo odierno.
Antonella Di Luoffo
(LucidaMente, anno III, n. 31, luglio 2008)