Il sisma del 24 agosto scorso è stato l’ultimo di una lunga serie che ha colpito la nostra penisola. Il più funesto fu quello che il 28 dicembre 1908 devastò, anche con un maremoto, lo Stretto di Messina, con circa 100 mila vittime
Il terremoto che lo scorso 24 agosto ha devastato una parte del Lazio e delle Marche s’inserisce in una lunga serie di gravi eventi sismici avvenuti in Italia. Dal 1908 in poi, infatti, si sono registrati ben 17 terremoti di forte intensità, che hanno provocato complessivamente circa 130 mila vittime (vedi Terremotati).
Il sisma più tragico della storia italiana fu quello che avvenne il 28 dicembre 1908 tra le due sponde dello Stretto di Messina. Alle 5,20 del mattino una scossa di magnitudo 7,2 – durata 37 secondi e seguita da un tremendo maremoto, con onde che in alcuni punti superarono i 10 metri di altezza – distrusse quasi completamente Messina, Reggio Calabria e i paesi limitrofi, provocando circa 100 mila morti (vedi La Calabria terra ballerina). La notizia della tragedia si diffuse rapidamente in tutto il pianeta, suscitando generosi gesti di solidarietà internazionale, come testimonia la presenza tra i soccorritori di marinai britannici, francesi, russi e spagnoli. Il disastro commosse profondamente il mondo della cultura, tanto da indurre intellettuali del calibro di Vincenzo Capuana, Gabriele D’Annunzio, Federico De Roberto, Salvatore Di Giacomo, Antonio Fogazzaro, Arturo Graf, Giovanni Pascoli e Giacomo Puccini a scrivere di getto dei brevi testi sul tragico evento.
Tra i sopravvissuti ci fu Gaetano Salvemini, docente di Storia moderna all’Università di Messina, il quale, in quell’alba tragica, perse la moglie, la sorella e i cinque figli. Così l’intellettuale socialista ricostruì quei tristi momenti in un articolo apparso sul quotidiano Avanti!: «Ero in letto allorquando sentii che tutto barcollava intorno a me e un rumore di sinistro che giungeva dal di fuori. In camicia, come ero, balzai dal letto e con uno slancio fui alla finestra per vedere cosa accadeva. Feci appena in tempo a spalancarla che la casa precipitò come un vortice, si inabissò, e tutto disparve in un nebbione denso, traversato come da rumori di valanga e da urla di gente che precipitando moriva» (vedi Paola Grimaldi, Apocalisse a Messina, il terremoto più drammatico nella storia d’Italia, in Focus.it).
Lo scrittore russo Maksim Gor’kij, allora esule a Capri, si recò prontamente a Messina dove, prodigandosi a scavare tra le macerie, «contribuì a salvare la vita ad alcuni cittadini» (vedi Angelo Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Rubbettino). Il noto geologo Giuseppe Mercalli visitò nell’aprile 1909 Messina e Reggio, dove ebbe modo di rettificare la scala sismica che misurava l’intensità dei terremoti in base agli effetti distruttivi sui fabbricati. Il cineasta e fotografo Luca Comerio documentò il sisma con una serie di fotografie e un cinegiornale di circa 6 minuti, mentre svariati periodici – tra i quali il settimanale La Domenica del Corriere – pubblicarono «“numeri unici” dedicati al cataclisma, con reportage, servizi, inchieste, dei migliori scrittori del primo Novecento» (vedi Rino Tripodi, Tanta produzione sul 1908, ma non l’“opera”…, in Calabria Sconosciuta, n. 119, luglio-settembre 2008).
I soccorsi furono solerti e immediati, ma la ricostruzione delle due città fu molto lenta e occorsero vari decenni affinché fosse portata a termine. Le baracche provvisorie e le tendopoli ospitarono a lungo i superstiti della catastrofe, secondo un canovaccio che sarebbe diventato il leitmotiv di tanti posteriori eventi sismici, come quello che nel 1968 distrusse la Valle del Belice in Sicilia (la cui ricostruzione – mai del tutto completata – è costata alle casse statali ben 6 miliardi di euro). Il terremoto del 24 agosto ha evidenziato ancora una volta le magagne del Belpaese, dove la cultura dell’emergenza – che favorisce le speculazioni – prevale su quella della prevenzione [vedi anche Una risata ci seppellirà (come a L’Aquila) e Terremoto: l’Emilia-Romagna contro il fracking].
Intanto si persevera nei soliti errori (abusivismo edilizio, assenza di una mappa dei fabbricati a rischio, uso improprio dei finanziamenti per le ristrutturazioni degli edifici, ecc.). L’ingegnere sismico Alessandro Martelli ha denunciato in un’intervista che «l’80% dei fabbricati nelle zone ad alto rischio non reggerebbe un terremoto come quello della scorsa notte» (vedi Melania Carnevali, Terremoto: norme permissive, poche risorse e niente mappatura. “In zone a rischio l’80% dei fabbricati crollerebbe”, in ilFattoQuotidiano.it). Un sisma di magnitudo 6 non provocherebbe disastri in Giappone, dove la protezione civile funziona perfettamente. Anche in Italia, però, c’è l’esempio positivo di Norcia: la cittadina umbra, pur colpita il 24 agosto da due forti scosse, ha subito pochi danni perché – dopo i terremoti del 1979 e 1997 – è stata ricostruita come si doveva. Ci auguriamo, dunque, che pure i paesi di Accumoli, Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto siano riedificati in tempi ragionevoli secondo rigorose norme antisismiche.
Le immagini: il corso Garibaldi di Reggio Calabria subito dopo il terremoto del 1908 (fonte: http://pinobrosio.it); la copertina del n. 4 (24-31 gennaio 1909) de La Domenica del Corriere dedicato al terremoto di Messina e Reggio Calabria (fonte: https://ingvterremoti.wordpress.com); veduta di Amatrice prima del sisma del 24 agosto 2016.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XI, n. 129, settembre 2016)
Poteva essere citato anche il terribile sisma di sei anni dopo: quello della Marsica, non lontano da Roma, che provocò la morte di ben 30.000 persone. E il cui centenario, un anno e mezzo fa, passò sotto silenzio sulla stampa italiana. Nella sola Avezzano morirono 11.300 persone, su di una popolazione di 13.000 abitanti.
Non si parla quasi mai di questo sisma, fra i più pesanti per la nostra Italia.
Gentilissimo lettore, grazie per il suo intervento. Purtroppo, essere esaustivi è pressoché impossibile. Continui a seguirci e a segnalarci altre nostre imperfezioni.