“Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948” (il Mulino) di Giuseppe Parlato
Quando, nel novembre 2006 giunse nelle librerie il volume dello storico Giuseppe Parlato Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948 (il Mulino, pp. 440, € 25,00), esso andò a colmare un vuoto che durava ormai da sessant’anni. A conferma dell’interesse del pubblico per l’argomento il fatto che, in pochissimi mesi, il libro dovette essere ristampato.
Per redigere quest’opera, l’autore ha scritto pagine stimolanti e sorprendenti, ma sempre con costante rigore scientifico, ovviamente scevro da ogni ombra di partigianeria, facendo riferimento a diverse fonti, edite ed inedite. Si è servito, infatti, sia dello speciale archivio della Fondazione Ugo Spirito, sia di molti archivi privati, senza tralasciare neanche le testimonianze dirette. Fondamentale è stato il ricorso alla bibliografia sulla materia, che ha reso possibile un rovesciamento della tradizionale visione che si ha del neofascismo, considerato molto spesso un movimento puramente nostalgico.
Storie ignote e ignorate – Leggendo queste pagine ci si trova davanti a retroscena sconosciuti, che prendono le mosse dagli eventi immediatamente successivi al 25 luglio 1943, momento in cui Mussolini fu arrestato. L’autore riferisce e documenta le vicende, soprattutto dopo l’8 settembre, quando alcuni gruppi cominciarono a operare clandestinamente nelle terre occupate dagli Alleati. L’intero Sud Italia fu testimone delle iniziative di uomini e donne, sdegnati sia del servilismo nei confronti degli angloamericani, sia del trattamento riservato al Duce. Parlato ha anche il merito di aver scritto, per la prima volta, la storia dei fascisti clandestini di Roma, un gruppo numeroso e organizzato, che poteva ottenere finanziamenti da esponenti locali, riuscendo anche a pubblicare con notevole successo il giornale clandestino Onore. Tuttavia, fu facile infiltrare nell’organizzazione due sottufficiali dei carabinieri che, assieme alla polizia alleata, riuscirono a rastrellare alcuni presunti capi dell’organizzazione.
Il dopoguerra – Nel dopoguerra si passa dal rapporto antifascismo-fascismo al rapporto anticomunismo-comunismo, e in questo gioco si inseriscono i fascisti, che si coagularono presto in un’unica organizzazione: i Fasci d’azione rivoluzionaria (Far), con a capo il cosiddetto “Senato”, composto da alcune personalità della Repubblica Sociale Italiana (Rsi), ritrovatesi a Roma. Tra essi spiccava Pino Romualdi, ex vicesegretario del Partito fascista repubblicano, sul quale pendeva una condanna a morte, ma non era il solo. Condannati, latitanti e perseguitati dalle squadre di antifascisti che imperversavano al Nord, trovarono rifugio nel Sud, all’estero e a Roma, in conventi e residenze che godevano dell’extraterritorialità vaticana. Prelati, monsignori, cappellani militari, che vedevano negli ex fascisti tanti sicuri anticomunisti, li aiutavano proprio come avevano già fatto con molti antifascisti prima del capovolgimento delle parti. Ne approfittarono pure i monarchici che, sentendosi minacciati dalle sinistre, arruolarono a prezzi stracciati in formazioni paramilitari tanti fascisti diseredati. Costoro riuscirono a trattare con i vari partiti al potere, con i massoni e con la Chiesa, per ottenere un’amnistia che salvasse moltissimi camerati che erano in carcere, già condannati o in attesa del persecutorio giudizio delle Corti d’Assise Straordinarie. Alcuni furono risucchiati nei ranghi dei partiti democratici e tanti altri, in seguito all’apertura di Palmiro Togliatti e alle profferte di Giancarlo Pajetta, finirono addirittura nel Partito comunista italiano (Pci) e, di conseguenza, inevitabilmente in odio agli americani.
La risposta degli Alleati – I servizi segreti alleati e, in particolare l’Office of Strategic Service (Oss), non vedevano favorevolmente l’affluenza di tanti ex fascisti nei ranghi del Pci e pertanto non si opposero, anzi non furono del tutto estranei, alla formazione di un partito legalmente riconosciuto che calamitasse tutti gli ex fascisti. Così, per iniziativa del Senato (e quindi del Far), fu lanciato un appello sul settimanale Rivolta Ideale e nel dicembre 1946 nacque il Fronte dell’Italiano che, su sollecitazione di Romualdi e dello stesso Senato, confluì nel Movimento sociale italiano (Msi), fondato subito dopo. Riunire molti potenziali ribelli nelle fila di un partito legale permetteva di poterli tenere tutti sotto stretto controllo, ciò anche grazie alle minacce di un possibile scioglimento di tale movimento e, conseguentemente, una probabile ricostituzione del Partito fascista.
La principessa fascista – Nel frattempo la principessa Maria Pignatelli (fedelissima sostenitrice del regime) aveva fondato il Movimento italiano femminile fede e famiglia (Mif) con compiti di assistenza ai fascisti perseguitati e alle famiglie degli stessi ridotte all’indigenza, ma anche con precisi intenti ideologici e politici. Al Mif aderirono, oltre alle tantissime signore dell’aristocrazia e della borghesia, le sopravvissute ausiliarie, scampate ai massacri del Nord, e moltissimi fascisti che affiancarono le donne, specialmente nell’assistenza legale gratuita ai tanti condannati dalle Corti di Assise Straordinarie. Tuttavia, questo movimento svolse anche un’attività politica fedele ai dettami più ortodossi del fascismo tenendo contatti con gli altri movimenti europei similari e con quelli sviluppatisi in Sud America. Ovviamente il Mif era in contrasto con il Msi, giudicato “troppo inserito nel sistema democratico”. I molti documenti relativi a questo argomento sono custoditi nell’Archivio di Stato di Cosenza.
La Decima Mas e i profughi ebrei – Un particolare marginale, ma stupefacente, rimasto finora nell’ombra, è che proprio uomini dalla Decima Mas condussero le navi cariche di profughi ebrei che sbarcarono clandestinamente in Palestina, mentre altri camerati della medesima flottiglia addestrarono in questo territorio dei reparti d’assalto, in odio agli inglesi che ne detenevano il possesso. Anche in queste vicende Parlato mette in luce la pressione discreta dell’ammiraglio Agostino Calosi (capo del servizio segreto della Marina), influenzato da James J. Angleton (capo dell’ufficio controspionaggio dell’Oss). Costui, in questa occasione, dimostrò decise simpatie sioniste le quali, in realtà, non è esagerato dire che furono in qualche modo condivise anche dal Msi.
Vite e vicende legate al Msi delle origini – Tra le tante, complesse vicende che Parlato documenta, voglio riferire la polemica che si svolse tra il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara (sostenitore fino all’ultimo del fascismo) e il professor Biagio Pace, uno dei fondatori del Msi. Il principe aveva letto in una pubblicazione ufficiale dell’Arma dei carabinieri che Pace aveva sovvenzionato la resistenza degli stessi nella Roma occupata dai tedeschi, fornendo perfino informazioni di carattere politico e militare. Poiché il professore si rifiutò di smentire in maniera chiara e netta la notizia, Pignatelli lo denunziò alla Commissione centrale di disciplina del Msi, che comunque non prese provvedimenti. Successivamente il focoso principe si dimise dal movimento, ipotizzando in un suo icastico opuscolo la presenza di massoni al vertice del partito. Parlato ci racconta ancora i primi sviluppi del nuovo partito, la nascita delle Federazioni provinciali, le adesioni di tanti, ma anche le dimissioni di Ezio Maria Gray, vecchio nazionalista che non sopportava sentir parlare di socializzazione, l’uccisione di Franco De Agazio da parte di comunisti, il confino per Gray e Giorgio Pini, l’arresto di Nino Buttazzoni e di Romualdi, rilasciato soltanto dopo aver scontato tre anni e mezzo di carcere.
L’ascesa di Giorgio Almirante – Tante coincidenze durante il 1947 finirono per decapitare il cosiddetto Senato che prima aveva continuato a esercitare una specie di tutela sul neocostituito movimento, nominando primo segretario della Giunta esecutiva Giacinto Trevisonno, che però non poteva impegnarsi a tempo pieno essendo funzionario ministeriale. Pertanto, per le funzioni organizzative e di segreteria si era offerto Giorgio Almirante. In effetti chi guidava il partito era Romualdi con la collaborazione di Arturo Michelini, i quali, però, non potevano comparire ufficialmente, dice Parlato, “per ragioni giudiziarie, il primo, e di opportunità, il secondo”. Così Almirante restò padrone unico del partito. E veniamo a scoprire che anch’egli fu inviato al confino nel novembre 1947, ma, lo stesso giorno in cui si era trasferito al confino in una località campana, riuscì a tornare libero per l’intervento di Renato Angiolillo, il direttore de Il Tempo: fu riaccompagnato a Roma da zelantissimi, anche se impacciati, carabinieri. Prima delle elezioni è documentato l’interesse della Democrazia cristiana (Dc), dei carabinieri, del Ministero dell’Interno per un Msi “di battaglia se la situazione fosse degenerata”. In effetti negli ambienti di sinistra si sentiva prepotente la bramosia di prendere il potere con ogni mezzo: armi anche pesanti, perfino cannoni e carri armati “Tigre”, furono ripescati dai nascondigli nei casali e nelle fabbriche. Perciò, forse non del tutto giustificatamene, si faceva molto affidamento sui missini per contrastare il pericolo rosso, ma “l’ora X” per fortuna non scoccò mai.
La parabola missina – Una penosa vicenda coinvolse l’avvocato Luigi Filosa, che era stato a capo del fascismo clandestino calabrese. Dopo un’entusiastica campagna elettorale per il Msi, condotta con il consenso corale e affettuoso di tanti calabresi, risultò eletto alla Camera dei Deputati, ma il primo dei non eletti della stessa lista lo denunciò per aver svolto “attività sovversiva” nel 1944. La Camera dei Deputati dichiarò decaduto Filosa e proclamò eletto Luigi Palmieri, ma almeno questa volta il Movimento sociale italiano reagì e Palmieri fu espulso. Così il Msi restò con soli cinque deputati eletti più un senatore. Da questo momento il Msi veleggiò democraticamente, sempre più allineato alla politica atlantica, fino a trasformarsi, dopo la morte di Romualdi e Almirante, in un partito iperliberista e antifascista al servizio del dio mercato, cioè – diciamolo pure – al servizio del dio danaro.
La vittoria del liberismo e i finanziamenti occulti – Esiste un argomento tabù, che non possiamo pretendere ci venga spiegato da un professore universitario, il quale non può continuare a navigare controcorrente fino ad intaccare le basi dei cosiddetti “poteri forti”. Si tratta della questione relativa ai finanziamenti occulti ai partiti. E’ documentato che il Pci riceveva un forte finanziamento dall’Urss e che, in contrapposizione, gli Usa finanziavano la Dc e anche altri partiti e partitini anticomunisti. Con l’implosione dell’Urss venne inevitabilmente a cadere il finanziamento al Pci; ma un partito politico, oggi più che mai, con il progresso tecnologico dei media e dell’organizzazione del consenso, non può tenersi al passo con gli altri senza disporre di adeguati, enormi mezzi. Conseguenza inevitabile è stata che postfascisti e postcomunisti son tutti diventati iperliberisti e iperatlantici e queste considerazioni ci permettono di contestualizzare meglio il quadro politico e storico appena analizzato. Bisognerebbe avere la forza di denunciare da dove arriva il fiume torrenziale di denaro che alimenta, condizionandoli, i partiti italiani e quelli di mezzo mondo, in special modo in questo dopoguerra infinito. E denunciare con quali mezzi e sistemi si alimenti tanta ipocrita plutocrazia.
Giuseppe Parlato, nato a Milano nel 1952, insegna Storia contemporanea presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere della Libera Università San Pio V di Roma, di cui è anche rettore. Con il Mulino ha pubblicato anche La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato.
L’immagine: la copertina del volume recensito.
Francesco Fatica
(LucidaMente, anno III, n. 26, febbraio 2008)