Un paese come l’Italia sa ancora sorprendere, non solo con eventi eclatanti e grandi monumenti, ma anche con scorci e angoli sconosciuti alla moltitudine e per questo ancora più suggestivi. Così accade quando si iniziano a scorgere da lontano l’Abbazia di San Galgano e l’Eremo di Monte Siepi, in provincia di Siena: antico e solitario, il monastero si erge nel bel mezzo di una piana brulla, sotto l’ombra vigile dell’eremo.
Dicono che nel XII secolo un tal Galgano Guidotti, cavaliere libertino e dedito ai divertimenti più sfrenati, si stancò di una vita fatta di alcool e lussuria e, in seguito ad alcune visioni, decise di stabilirsi definitivamente all’Eremo di Monte Siepi, facendone sua dimora e luogo di preghiera. Come segno tangibile di rinuncia perpetua a ogni forma di violenza, prese la sua spada e la conficcò in una roccia che affiorava dal terreno, così da farla apparire una croce perfetta a chiunque la guardasse.
Oggi la spada è protetta da una teca di vetro per evitare che un altro vandalo si chiuda nella cappella e provi a estrarla, come accadde non troppo tempo fa. Si narra anche che, quando Galgano era ancora in vita, un ladro, nel tentativo di rubare la spada, la ruppe in due pezzi e, fuggendo, ebbe la sua punizione: dal bosco un lupo lo raggiunse e gli strappò a morsi le mani, che sono tuttora conservate nella cappella. Entrare nell’eremo è già di per sé suggestivo, tra la penombra dei vetri opachi e l’odore misto di incenso, muffa e polvere, ma trovarsi di fronte un paio di mani sbranate diventa inquietante: se è tutta una leggenda, è stata creata ad opera d’arte.
Senza contare che la vicenda di Galgano ha molti punti in comune con quella di re Artù, sia per il periodo storico in cui è accaduta, sia per il nome di uno dei cavalieri arturiani, Galvano.
L’Abbazia, costruita dopo la morte di Galgano nella piana sottostante l’eremo, è stata fino al XIV secolo un grande monastero, addirittura conteso dal papato. Dicono sia stata costruita seguendo la Geometria sacra, ovvero secondo la scala diatonica naturale: capitelli, modanature, chiavi di volta e altri particolari architettonici si trovano esattamente agli stessi livelli suggeriti dalla scala musicale.
Dopo decenni di splendore e prestigio, però, il monastero si trovò a dover affrontare un lungo periodo di decadenza: dal trasferimento dei monaci a Siena, alla vendita del tetto in piombo dell’abbazia per ricavarne munizioni. Fino a quando, nel 1789, la costruzione venne definitivamente sconsacrata e lasciata alla clemenza del tempo.
Ora si presenta così, come un vecchio solitario e stanco che resiste ai giorni che passano e, immutabile, li guarda scorrere. Accoglie i pellegrini curiosi da un lungo viale alberato per condurli, attraverso una facciata spoglia, a un vero e proprio tempio a cielo aperto: intatte le navate laterali con gli archi e le colonne in pietra, così come quella centrale che conduce all’altare, sormontato da ampie finestre che una volta riflettevano la luce attraverso vetrate colorate mentre ora lasciano urlare il vento. Volgendo in alto lo sguardo si incontra subito il cielo e si rimane confusi dalla sensazione di essere contemporaneamente all’interno e all’esterno dell’abbazia: si mescolano le percezioni.
Sul fianco del complesso monastico l’orto, il pozzo, le stalle e i forni parlano di un’era che non ritornerà, ma che ha lasciato loro come testimoni e custodi di una magia che si ripete a ogni sorgere del sole.
L’immagine: l’Abbazia di San Galgano.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 8, 17 agosto 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 44, agosto 2009)