Da un’analisi dei comportamenti di Namdi, Mancini e Chinyere, emerge un quadro sconsolante
Molto è stato scritto e detto sui noti fatti accaduti a Fermo, che hanno portato alla morte di Emmanuel Chidi Namdi. La maggior parte di tali commenti ha visto le persone schierarsi a difesa dell’uno o dell’altro, tentando di spiegare il fascismo, l’immigrazione e il razzismo. Noi vorremmo riflettere, invece, su un altro aspetto della vicenda, che ci sembra il più drammatico di tutti. Analizziamo, con i dati che abbiamo, i tre protagonisti. Amedeo Mancini insulta gratuitamente la donna, dandole della scimmia.
È un idiota, ma non in senso dostoevskijano; è un idiota provocatore, incline alla violenza, che non comprende la portata delle parole, che coltiva i muscoli lasciando andare il cervello completamente in avaria. In definitiva, un degno rappresentante di masse senza testa, che si muovono teleguidate da pochi, i quali ne traggono vantaggio politico ed economico. Namdi reagisce fisicamente, violentemente, all’insulto verso la propria donna. Anche lui, evidentemente, è incline alla violenza. Anche lui un facinoroso che nella vita ha coltivato poco il cervello; uno che pensa di essere l’unico a subire ingiustizie sulla terra, la quale invece è un luogo di ingiustizie cosmiche, dove la dignità viene insultata a ogni angolo, in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud.
Se ognuno di noi dovesse reagire con forza a ogni insulto che ci prendiamo da tutte le parti (pensiamo solo al traffico automobilistico) probabilmente la popolazione sarebbe già dimezzata, ci sarebbero morti a ogni angolo di strada. E veniamo alla vedova Chinyere. Dice evidentemente il falso. Afferma che Mancini ha sradicato il palo e si è scagliato contro Emmanuel. Si fa riprendere mentre recita la sua straziante litania in ricordo del marito. Poi, viene smentita dai testimoni e allora forse ritratta (non è ancora chiaro).
A ogni modo, Chinyere gioca al meglio il ruolo della vittima, con lucidità, cercando di trarre il massimo vantaggio da quel ruolo. Giova qui ricordare che tutta la nostra società si regge sul sistema della vittima: chiunque riesca ad assumere quel ruolo, risulterà per sempre intoccabile e potrà pretendere ogni cosa. La nostra conclusione, la più amara, è proprio il fatto che tutti e tre i protagonisti della vicenda sono persone immerse fino al collo nel peggior brodo di coltura della nostra società. Intrisi di violenza, ottundimento cerebrale, falsità, astuzia meschina, i tre, pur provenienti da contesti diversi, rappresentano quello che siamo tutti noi e che potremmo rivelarci, da un momento all’altro, non appena ci accada il piccolo incidente che scateni l’orrore.
Alessandro Pertosa e Lucilio Santoni
(LucidaMente, anno XI, n. 127, luglio 2016)