L’intrattenimento delle masse è indice del progresso culturale della società? Un approfondimento sulla risata televisiva a metà strada tra la “comicoterapia” di gruppo e la crisi malinconica della nazione
«Signor Motosega, può anche uscire, non si preoccupi» e poi, tra sé e sé: «Ahó, s’è rotta la sega». Così Ilary Blasi prova a tagliar corto sull’inconveniente capitato a un attore travestito da Jason Voorhees che provava a spaventare un Cristiano Malgioglio palpitante. In studio ridono tutti; anche la signora che scaccia via con il mignolo una lacrima all’angolo dell’occhio. Sul divano ridono tutti; anche il mio coinquilino, che versa il fondo di birra in una tazza. Ci penso un attimo e decido di ridere anch’io.
Vado a contestualizzare, per coloro che trascorrono un lunedì sera intellettualmente meno deleterio del mio: siamo al Grande Fratello Vip. Cristiano Malgioglio e Aida Yespica si stanno sfidando all’Emozionometro: sono bendati e sottoposti a un elettrocardiogramma istantaneo mentre una sfilata dei casi umani più disparati scherza con il loro sistema nervoso nell’intento di accelerargli il ritmo cardiaco. Lei – atarassica di ferro – è la personificazione della calma olimpica, lui è in fibrillazione. Il dramma catodico messo in scena è un minestrone emotivo piuttosto eterogeneo: c’è il grottesco, il demenziale, il tragicomico, il gusto perverso di godersi le difficoltà di qualcun altro e un eccentrico attempato capace di emettere urla al di sopra della soglia dell’acuto. Per un motivo o per un altro, ci siamo divertiti in tanti.
Non illudetevi: che si assista allo spettacolo per interesse socioantropologico o per sostenere il proprio beniamino, che si rida con loro o si rida di loro, non fa alcuna differenza. La risata trash si spalma trasversalmente su tutta la scala sociale. In un remake postmoderno de ’A Livella di Totò, essa potrebbe tranquillamente ricoprire il ruolo della morte. Allo stesso tempo, se sorprendiamo noi stessi a ridere per un tale harakiri neuronale, due domande sarebbe bene porsele.
Esiste una sede distaccata dalla medicina tradizionale, situata nella periferia più profonda del fondamento scientifico che studia gli effetti curativi della risata: la gelotologia. Una parascienza che deve tanto a Norman Cousins, giornalista che ha sconfitto la spondilite anchilosante con una terapia a base di vitamina C e Fratelli Marx. Certo, si tratta di un dato empirico isolato e non può far scuola. Ma resta la via di fuga più confortante dal labirinto delle fisime sui limiti della medicina e i guai della sanità. Speranza fulgida in un presente opaco. E se i gelotologi non riusciranno a curare il cancro, almeno potranno spiegarci perché Patch Adams ha avuto tanto successo. Clinicamente qualcosina possiamo senza dubbio affermare: il riso aumenta la produzione di adrenalina e dopamina liberando endorfine, encefaline e il resto delle nostre scorte di morfine naturali. Questo determina lo scioglimento delle tensioni e l’apertura salvifica a uno stato di benessere.
Potremmo giustificare (anche) così l’immensa fortuna di cui hanno goduto e godono ancora i cinepanettoni: dopo undici mesi e ventitré giorni di stress e frustrazioni accumulate, si può scaricare tutto con un’oretta di film. Il bozzo nero di ansia e insoddisfazione custodito nello stomaco può essere sostituito con la poltiglia dal retrogusto metallico di pop corn e Coca Cola del multisala. È comunque un passo avanti. In più, tutto gratis: offre la tredicesima! Sicuramente la fine dell’idillio artistico Massimo Boldi–Christian De Sica è stato un duro colpo per la serenità mentale di tutti noi, ma, in quest’epoca di reboot, sequel del sequel, spinoff dello spinoff e grandi ritorni, possiamo permetterci di credere nel miracolo. Gli anni Novanta-2.0 ci hanno restituito due capisaldi del nostro passato recente: Ciao Darwin e Chi ha incastrato Peter Pan.
A distanza di tempo, però, ci siamo ritrovati a guardarli con una coscienza diversa, con occhi altri. Il format non è cambiato di una virgola, le gag rispolverate risultano aggrinzite, l’immagine tanto agognata di Madre Natura è dannatamente inflazionata e noi abbiamo scoperto il trucco becero che ci aveva incantati. Abbiamo smascherato la truffa a noi stessi e siamo caduti nel baratro della consapevolezza: adesso rivogliamo quel bozzo nero di cui sopra e mezzo litro di Valium con ghiaccio e limone in omaggio. A descrivere meglio di mequesta sensazione di impotenza di fronte all’inganno televisivo è Nicola Lagioia che, in due pagine di Riportando tutto a casa [romanzo del 2009 edito da Einaudi, ndr], racconta la subdola trappola messa in atto dal «variopinto crematorio di Drive In». Comicità insulsa in mano a comici che non facevano ridere, eppure – dalla provincia lombarda a quella pugliese – ridevano tutti. Non accorgendosi che la loro era proprio la famosa risata che un giorno ci avrebbe seppelliti.
Guardando il passato con gli occhi del presente di solito si finisce col proiettare ombre grigie sul futuro: a posteriori è impossibile reagire subito al raggiro. Se poi i programmi-trappola tornano dopo anni per dimostrarci che siamo anche recidivi, la malinconia è servita ed è in prima serata. Qui e ora. Siano benedette le pause pubblicitarie. Quella che sembrava panacea si è rivelata essere veleno. Ce l’hanno somministrato gli stessi medici nello stesso ospedale, ma l’organismo ha deciso di resistere al farmaco. Semplicemente esso non ne riconosce più l’effetto curativo e il rischio distopico in agguato è l’overdose di placebo, ossia la morte dell’intelletto (vedi anche Reality show e altra tv trash e Vite da reality: affetti venduti come merci).
È necessario fornirsi di una protesi capace di attivarsi nei momenti di rigetto e disorientamento: prenotare prima di subito un trapianto di umorismo perché la lista d’attesa è lunga. In tanti hanno pubblicato saggi e studi a riguardo, ma – vista la natura nazionalpopolare della tv – credo sia doveroso rivolgersi al medico di fiducia. Il dottore che, stando alla mia immaginazione, riceve subito dietro il fruttivendolo, a due passi dalla chiesa con il campanile dissestato: Giovannino Guareschi. Lui scrive: «L’umorista è chi sa vedere oggi con gli occhi di domani» e poi chiarisce: «fa’ che domani tu non debba ridere di te stesso. Ridi oggi. Domani è troppo tardi». Ecco risolto lo squilibrio tra gli stati del tempo: accartocciare il passato che si ostina a tornare e leggere il presente come se fosse una bozza del futuro. Ecco qual è la forma del cuscinetto che serve ad ammortizzare ogni ipotetico capitombolo cerebrale. Tenerlo a portata di mano si rivelerà utile perché, sia adesso che tra poco, ci sorprenderemo ancora una volta a ridere.
Le immagini: i loghi del Grande Fratello Vip e dell’ultima stagione di Ciao Darwin, dal sottotitolo eloquente; foto di Cristiano Malgioglio e di Giovannino Guareschi, concorrente dell’edizione 2017, in corso, del reality di Canale 5.
Orazio Francesco Lella
(LucidaMente, anno XII, n. 143, novembre 2017)
Bravo, lucida analisi. In pochi riescono ancora rendersi conto di quello che lei denuncia. Ma fa piacere scoprire che ci sono ancora. E che non siamo rimasti soli.
Gentilissimo lettore, grazie per averci scritto.