Nunzia Manicardi in “Amori, passioni e segreti di un grande antiquario” (Edizioni Il Fiorino) ricostruisce l’esistenza del celebre antiquario di Sassuolo. Con molte belle pagine dedicate al Kenya
Abbiamo già più volte segnalato su LucidaMente le pubblicazioni di Nunzia Manicardi, tra impegno umano e civile e passione per i motori (Quando le istituzioni umiliano il cittadino; No alla contenzione: legàmi, non legacci; «Una donna che decise di mettere la propria esperienza al servizio degli altri»; La prestigiosa Mondial di Drusiani; Protesta per i bambini sottratti alle famiglie; Il mito F.B Mondial). Ci sembra che col suo nuovo Amori, passioni e segreti di un grande antiquario (Edizioni Il Fiorino pp. 224, € 14,00) la scrittrice modenese abbia raggiunto un perfetto equilibrio tra biografia, descrizione, narrativa. L’opera è dedicata all’avventurosa esistenza di Roberto Camellini, divenuto per passione uno dei più importanti antiquari internazionali, e della sua prestigiosa galleria di Sassuolo. Importante, nella vita del protagonista e, quindi, nell’economia del libro, è il Kenya. Ecco, di seguito, un brano dell’ottavo capitolo del libro, ambientato nel paese africano. Notevoli sono, nella Manicardi, l’empatia e la capacità di cogliervi e descriverne gli aspetti umani, culturali e naturali.
Qui tutto è naturale. Trovare qualcosa che sia incollato o anche fissato con un chiodo è molto difficile. Tutti, anche i più giovani, sono ancora esperti nell’arte primitiva di utilizzare quello che la natura offre, a partire da quei tronchi scavati trasformati in barche da pesca che ieri ho visto scomparire dentro l’Oceano. Infatti stona vedere lungo la strada le donne con le taniche di plastica gialla sulla testa, così come stona la lunga fila di contenitori sempre in plastica che vengono esposti davanti alle baracchine di commercio. Sono veri e propri pugni nello stomaco, oltre che di sgradevole impatto visivo, che ci ricordano ad ogni momento – ogni anno con sempre maggiore frequenza, mi ha confermato Brunella – che la civiltà, la nostra civiltà, sta avanzando inarrestabile.
Al momento però la natura la fa ancora da padrona e quindi è piacevole vedere questi “bagnini” che al mattino portano ai loro primi occasionali clienti il the caldo servito su vassoi rudimentali di legno intagliato a mano e fa pure piacere vedere che per portare un bicchiere percorrono ogni volta decine e decine di metri, dal braciere accantonato di fronte ad un’altra villa al momento disabitata fino all’ospite che l’ha richiesto. Non farebbero prima ad avere tutto a portata di mano? Sì, ma questo sarebbe normale per noi. Loro, come vi aveva ricordato anche l’iguana del Casinò di Malindi, hanno un altro concetto di tempo, di spazio, di normalità…
Un po’ alla volta quest’altro concetto avvolge anche te, che pure sei predisposto, abituato, programmato per un’altra vita, per altri ritmi. Avvolge perfino me, notoriamente dinamica. Diventa affascinante seguire semplicemente con lo sguardo il loro girovagare avanti e indietro impiegando decine di minuti in attività che noi sbrigheremmo in quaranta, cinquanta secondi, con quel loro incedere morbido, comune sia ai maschi che alle femmine.
Il popolo di Watamu, di questa parte della costa kenyota, è quello dei Kiriama. Popolo gentile, pacifico, armonioso, un po’ disprezzato da altri popoli kenyoti, più bellicosi e intraprendenti, proprio per queste caratteristiche pacifiche e accomodanti. Ma non va dimenticato che è un popolo della costa, abituato alle frequentazioni con altri popoli, all’adattamento, forse anche alla sottomissione. E c’è di più. Dall’altra parte dell’Oceano, che non a caso si chiama Indiano, c’è quell’Oriente che invita alla meditazione, alla sospensione del tempo, all’attesa. La stessa attitudine che i “beach boys” di Watamu dimostrano quando dalle sette, otto del mattino, dopo aver sbrigato quelle incombenze che ho appena descritto, si mettono a sedere sotto le loro tettoie, come fossero essi stessi i turisti, e restano lì, in illimitata attesa che qualcuno passi e decida di fermarsi per quel loro bicchiere di the. […]
Ma oggi pomeriggio c’è davvero un’insolita agitazione perché già da alcune ore è arrivata una comitiva di kenyoti arabo-musulmani. Di ricchi arabo-musulmani. I kenyoti arabo-musulmani li trovi dappertutto ai posti di comando, te ne accorgi facilmente anche da piccole cose. Entri, per esempio, in una banca per un cambio e, dietro un cancelletto in ferro battuto che ricorda gli edifici dell’India di Kipling, c’è una ragazza arabo-musulmana velata che dalla stretta fessura del mantello nero ti conta i soldi (e dire che le limitazioni al lavoro in pubblico sono per le donne arabo-musulmane pressoché totali!) con le dita velocissime ricoperte di moltissimi anelli d’oro e decorate con quel loro nero cosmetico che forma come tanti piccoli tatuaggi sulle falangi. Stessa cosa nelle agenzie turistiche, nei centri di servizi. Dove ci sono soldi, ruoli pubblici, contatti commerciali ci sono loro, i kenyoti di origine araba e di religione musulmana, e non i kenyoti indigeni di pelle nera e di fede nello stregone. C’è anche da dire, a onor del vero, che tutte queste città, come Malindi, sono nate innanzitutto come scali commerciali, fondate propri dagli Arabi.
Quelli che, dal nostro muricciolo, Brunella ed io osserviamo davanti a noi sono giunti su alcune lunghe, nere, lucenti automobili da film americano degli anni ’50 (ma si tratta in realtà di modelli modernissimi, e costosissimi!), con i vetri oscurati come quelli del taxi di Mohamed, e hanno preso completamente possesso della spiaggetta davanti a noi. Le donne, tutte coperte dei loro abiti neri lunghi fino sotto i piedi e anche del burqa, ad ogni movimento delle braccia facevano sfolgorare bracciali d’oro enormi e sovrapposti. Altre donne, queste in abiti dai colori sgargianti, quasi dei sari indiani, con la faccia scoperta e senza bracciali d’oro, mi sono resa conto dopo un po’ che le osservavo che erano le serve di casa.
Gli uomini delle donne ricche erano tutti vestiti all’occidentale, poi ad un certo punto si sono allontanati lasciando lì il loro gineceo, composto anche una gran quantità di bambini. Osservare questi bambini mentre giocavano è stato per me un autentico piacere. Non avevano giocattoli; o, meglio, i giocattoli erano quello che era a portata di mano. Quello, anche in questo caso, che la natura offriva, o il caso, o le circostanze. Sono stati lasciati nella libertà più assoluta, che hanno saputo godersi senza alcun problema.
Il loro gioco era tutto incentrato sull’arrampicarsi e poi saltar giù da una barca da pescatori, in questo caso somigliante a quelle che si trovano pure nel nostro Adriatico anche per via del suo colore bianco ravvivato da strisce sbilenche blu e rosse, qua e là con una pennellata incerta di verde scuro. Sulla barca i bambini non hanno fatto altro, per ore, che salire dalla parte più bassa, quella della poppa, percorrere camminando oppure – i più svelti e agili – correndo tutto il bordo fino alla sommità della prua, da cui lasciarsi cadere con gridolini di gioia nella sabbia sottostante. Il bello è che lo facevano anche bimbetti che avranno avuto sì e no due anni, forse anche un anno e mezzo. E che nessuna delle donne, né delle ricche ammantate di nero (presumibilmente le madri) né delle serve ricoperte di stoffe vivaci (presumibilmente le loro balie o sorveglianti), faceva caso a loro. Nemmeno il proprietario della barca, che quasi sicuramente era sotto una delle capannine in compagnia dei “bagnini”, ha trovato niente da ridire.
Nessuno dei bambini, d’altra parte, si è mai fatto male. Nessuno ha strillato, se non per quei gridolini di gioia. Nessuno ha litigato. Nessuno ha rubato il posto all’altro. Anzi, i più grandicelli – pur impegnati anche loro al massimo nello sforzo di conquistare la prua senza cadere – quando si accorgevano che uno dei piccoli era in difficoltà tornavano indietro ad aiutarlo a salire. Ma non mettendolo sulla barca di loro iniziativa, bensì semplicemente assecondandolo negli stentati movimenti. E dire che per piccini di quell’età quell’arrampicata non era certo né facile né immune da pericoli! Li ho guardati a lungo, incantata, ammirata, amareggiata per quel qualcosa che nei nostri bimbi è ormai impossibile riuscire a rintracciare.
Poi le donne ricche si sono allontanate lungo la spiaggia e a un certo punto sono anche entrate in acqua, sempre con i loro abiti lunghissimi fin sotto i calcagni e con il burqa con la sua sottile fessura solo per lo sguardo, e solo orizzontale. Ridevano, si spruzzavano a vicenda, e i bracciali d’oro sotto il sole scintillavano più che mai.
(da Nunzia Manicardi, Amori, passioni e segreti di un grande antiquario, Edizioni Il Fiorino, per gentile concessione dell’autrice)
In occasione della mostra Modenantiquaria, il libro sarà presentato a Modena domenica 17 febbraio, alle ore 16, presso Unica Fine Arte Expo.
(r.t.)
(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)