Una dura requisitoria, non convenzionale, contro i “vizi” della contemporaneità ne “Il profumo del nichilismo” (Solfanelli) di Luigi Iannone
Dopo Manifesto antimoderno (vedi la nostra recensione Il lento, triste disorientamento del mondo “globale”), libro nel quale poneva l’accento sullo smarrimento spirituale e sul reale deficit democratico del mondo contemporaneo, Luigi Iannone torna sul luogo del delitto con Il profumo del nichilismo. Viaggio non-moralista nello stile del nostro tempo (con una bella Presentazione di Alain de Benoist, Solfanelli, pp. 144, € 11,00). La nuova pubblicazione è divisa in quattro capitoli («Il paese dei balocchi», «Civili e democratici», «L’insostenibile leggerezza delle idee», «La comunicazione globale»), ognuno dei quali esamina un “campo” della crisi contemporanea: i costumi, la società, la cultura, la comunicazione.
Si inizia con l’analisi delle facce del consumismo, il cui risultato peggiore non è tanto lo stimolo continuo alla catena produzione-acquisto-produzione di oggetti tutt’altro che indispensabili, quanto la spinta al conformismo. Ecco, dunque, i centri commerciali e i meccanismi psicologici che ne costituiscono la linfa: «Siamo perciò alla teologia del consumo, al pellegrinaggio verso il tempio dell’edonismo, al fedele ossequio dell’oggetto e all’uso di un artificioso linguaggio comune. […] Ma tutto è vissuto all’interno di un contesto che nulla ha di sacrale e si ripete in maniera ossessiva».
Iannone esamina alcuni dei fenomeni e delle attività del mondo attuale (e le loro trasformazioni rispetto al passato), quali il calcio, la beneficenza, i funerali. In particolare, visto che nella società odierna il comune denominatore è il «tentativo di rendere inoffensivi anche i capricci del destino», l’autore sottolinea il pessimo costume degli applausi durante e dopo le cerimonie funebri, anche in chiesa: «una sorta di differimento della felicità dinnanzi alla crudeltà del dolore; una inevitabile conseguenza dell’inettitudine e dello stato di rinuncia verso ogni tipo di approfondimento sui grandi temi; il tentativo di traslare la materialità di un fatto tremendamente umano nella astrattezza elusiva dell’applauso […] Da quando la morte non fa più parte dello scenario dialettico degli uomini, cioè da quando tentiamo in ogni modo non solo di non nominarla ma addirittura di sconfiggerla, anche il trapasso è diventato una sorta di spettacolo da considerarsi marginale rispetto alla vita che invece è ritenuta la commedia in cui ogni cosa si rappresenta e si compie». Insomma, si tratta di «un tentativo pervicacemente grottesco e barbarico di padroneggiare l’ignoto».
Se pensiamo che nei funerali «il silenzio non è più di moda perché ci lega al trascendente mentre il rumore ha una funzione orizzontale», allora l’inquinamento sonoro, «l’orgia dei suoni», tanto più ci sommerge nel resto della vita e delle nostre giornate: «il silenzio che è di per sé lacerante potrebbe rappresentare una forza di aggregazione per una società caotica e rinviare a un confronto diretto con i grandi temi, inclusa la morte».
Nelle società occidentali, apparentemente “democratiche”, in realtà «è tutto un susseguirsi di divieti e di proibizioni che in gran parte dei casi non percepiamo perché li abbiamo somatizzati e si integrano nel vivere civile e nella geografia del nostro immaginario». Con intelligenza il saggista de Il profumo del nichilismo mette in luce l’eccesso di legiferazione e di divieti («di proibizione in proibizione si va avanti all’infinito, nell’intento di garantire gli altri, sacrificando la libertà di ognuno. […] in una società che si vorrebbe senza rischi e in cui il primato della ragione dovrebbe sovrastare ogni cosa, la libertà personale è sempre minata da divieti moralizzatori che tentano di influenzare nel profondo il modo di agire e di pensare, palesando una impercettibile ma incombente tendenza totalitaria»), le follie del salutismo, i meccanismi apparentemente “democratici” del televoto.
Non si salvano gli intellettuali, gli opinionisti, gli economisti, involucri vuoti ma ben pagati. Per non dire della presunzione dilagante secondo la quale tutti possono essere artisti o letterati, visto che «uno dei tratti del contemporaneo è la refrattarietà a basarsi sui precedenti illustri». Infine, i guasti della comunicazione globale, con le analisi del caso di Lady Diana, dei meccanismi del gossip, fino a giungere alla reale perdita della privacy, nonostante tutte le “garanzie” che dovrebbero tutelarla. Insomma, un altro libro “scomodo”, che mette allo scoperto la stupidità e il vuoto della nostra civiltà desacralizzata, la disumanizzazione, la perdita di valori fondamentali, il trionfo della massificazione, del capitalismo più gretto e materialista, del consumismo.
Nel corso del tempo, abbiamo recensito altri libri che denunciano con durezza e ardore polemico l’idiozia del mondo contemporaneo postmoderno. Tra gli altri: Fantasie erotiche (e critica sociale) oltre ogni limite «Le donne sono per noi un peso» Religioni? Il cancro del genere umano «Gli uomini sono come una lebbra»I tanti, troppi pregiudizi dei “progressisti” bigotti
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VII, n. 79, luglio 2012)
Comments 1