Da sempre nelle urne gli italiani puniscono le forze responsabili, le alleanze tra liste e partiti anche se affini, il realismo politico. Meglio “lo schiaffo, il pugno e il bel gesto” di matrice dannunziana, futurista e fascista
Gli ultimi appelli in ordine di tempo sono stati Se non ora, quando?, firmato da alcuni intellettuali, e il Facciamolo! lanciato da parte di varie personalità, tra cui Roberto Benigni, don Luigi Ciotti, don Andrea Gallo e Roberto Saviano (ma vedi anche il nostro Grillini, la grande occasione). Tuttavia, nonostante gli innumerevoli richiami di queste e altre sirene, il Movimento 5 stelle continua a dire no all’appoggio a qualsiasi governo che non sia un proprio “monocolore”.
Eppure l’occasione sarebbe allettante: per la prima volta in Italia è stato eletto un Parlamento con una maggioranza di giovani, donne, laici, “onesti” e neodeputati, in grado di attuare le vere riforme delle quali quali l’Italia necessita (altro che quelle di Mario Monti): reddito minimo di cittadinanza, sviluppo della ricerca, sostegno ai giovani, più tutele sociali, difesa dell’ambiente, efficienza energetica ed energie rinnovabili, difesa dell’acqua pubblica, no a grandi opere inutili come il ponte sullo Stretto, no all’acquisto degli F-35, assegnazione dei soldi dei rimborsi elettorali alle piccole e medie imprese che stanno morendo, alla scuola pubblica e all’università pubblica. Ma Beppe Grillo e il suo “guru” Gianroberto Casaleggio insistono nel non offrire alcuno spazio a un esecutivo di coalizione o tecnico.
Al di là del sogno del comico di “avere il 100%” e del più realistico incubo di perdere tutto, gli italiani tendono da sempre a punire i compromessi, la ragionevolezza, il realismo, il mettere da parte i propri interessi per il bene della nazione, e persino le alleanze tra liste e partiti affini. Il Pci uscì elettoralmente con le ossa rotte dal “compromesso storico” con la Dc attuato nel corso della tragica emergenza degli anni di piombo. Non sono andati diversamente i vari tentativi d’accordo di governo tra forze politiche diverse o di unione tra partiti piccoli e grandi, anche se, com’è logico, molto affini.
Qualche esempio tra le decine che si potrebbero riportare. Nelle famose elezioni del 18 aprile 1948 Partito socialista italiano e Partito comunista italiano si presentarono uniti nel Fronte democratico popolare. Ottennero solo il 31%, mentre alle elezioni del 1946 per l’Assemblea costituente avevano conseguito, da soli, il 20,6 il Psi, il 18,9 il Pci, per un totale che aveva sfiorato il 40%. Nel 1968 il Partito socialista unificato, fusione di Psi e Partito socialista democratico italiano, raggiunse appena il 14,5% (13,8 e 6,1 i rispettivi risultati nella precedente tornata del 1963). Alle elezioni europee del 1999, ecco l’Elefantino, unione di Alleanza nazionale e Patto Segni: pervenne soltanto al 10,3% e a 9 seggi, mentre alle elezioni politiche del 1996 la sola An era giunta al 15,7%. Si arriva così al febbraio 2013.
Ha perso il Partito democratico (pur vincendo, secondo l’ormai noto paradosso), che ha tenuto un profilo basso, tendente all’accordo postelettorale con l’ultragessato Mario Monti. Ancora peggio è andata a chi, sacrificandosi, ha sostenuto direttamente il professore e un progetto moderato: l’Udc di Pierferdinando Casini si è ridotta ai minimi termini e si è dissolto Futuro e libertà per l’Italia, che ha “pagato” il coraggio di Gianfranco Fini e le sue encomiabili svolte, dal Congresso di Fiuggi al distacco con Silvio Berlusconi. (A proposito, chi entra in contatto col Cavaliere muore: cos’è rimasto di Udc e An?). È andata male anche alla variegata coalizione di Antonio Ingroia, perché le alleanze non piacciono agli italiani. E al progetto civile e razionale per la giustizia e contro la barbarie carceri di Marco Pannella e dei suoi radicali: troppo illuminista, anche se Cesare Beccaria era italiano. Ma, purtroppo, una cosa sono i grandi italiani, un’altra è il popolo, sempre privo di “virtù civiche”.
Agli italiani piacciono i rétori, “lo schiaffo, il pugno e il bel gesto” di dannunziana, futurista e fascista memoria. Così, alle ultime elezioni politiche, ecco premiato l’uomo di Arcore, che promette di restituire i soldi dell’Imu e condoni su tutto, e il movimento di protesta di Grillo, basato sul “vaff…”. Insomma, il M5s sa che votare un governo, dover passare dalle parole (e dagli insulti) ai fatti, confrontarsi con la realtà, sempre inferiore ai sogni, in altre parole scendere dal carisma celeste alla terra, gli farebbe perdere quell’alone di mistero, di “vuoto”, che permette una perfetta identificazione dei suoi elettori, ciascuno dei quali vede il movimento a propria immagine e somiglianza, proprio perché esso non si materializza.
Come una donna conosciuta su facebook, di cui si è vista una foto (fittizia?) e che non si è mai incontrata in carne e ossa: appare perfetta perché la si immagina così. Smarrire quell’alone immateriale significherebbe perdere anche un bel mucchio di voti. E la coppia Grillo-Casaleggio lo sa. Che poi si giochi al massacro sul destino della nostra nazione, che rischia non solo di perdere un’occasione unica per liberarsi o almeno contrastare corrotti, delinquenti e mafiosi, ma soprattutto di finire in uno sfacelo di rovine fumanti, poco importa.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)