Sono uomini senza patria, né casa, spesso senza più nulla. Fuggono dalle loro terre con la sola speranza di un approdo sicuro. Non si aspettano molto, ma una terra libera, quella sì. E il loro sogno è di raggiungere l’Italia, è di arrivare a Lampedusa, l’isoletta che apre le porte a un intero continente. Sono i migranti. Uomini, donne, bambini – imperfetti come ognuno di noi -, che lasciano periodicamente i loro paesi d’origine, in fuga dalla povertà senza scampo, dalla ferocia del fondamentalismo religioso e del fanatismo politico, dalla morte. Essi portano nel cuore una delle speranze più pure, quella di trovare una “nuova patria”, che possa offrire loro sostentamento e democrazia.
La ricerca di un luogo migliore – L’emigrazione è in sé un fenomeno “naturale”, come giustamente sostiene Gian Antonio Stella nell’esemplare libro L’orda (Rizzoli), in cui ricorda, tra l’altro, che un tempo “gli albanesi eravamo noi”. Da sempre, infatti, la storia dell’uomo è costellata da spostamenti più o meno massicci di popoli (basti pensare all’epoca delle invasioni barbariche o delle scoperte geografiche). La ricerca ininterrotta degli abitanti del pianeta di luoghi più adatti a vivere è andata di pari passo con l’evoluzione tecnica e con il progresso materiale. Quanti italiani hanno traversato i mari e varcato le frontiere in Europa, in America, in Australia in cerca di un posto di lavoro, che garantisse la sopravvivenza per loro e per le rispettive famiglie? Si è stabilito che dall’unità d’Italia ai nostri giorni circa 30 milioni di persone hanno lasciato la nostra penisola e, considerando i loro discendenti, si è giunti a calcolare che oltre 60 milioni di connazionali vivano attualmente all’estero! Ma questa è una storia che sembra ormai dimenticata, perché a nessuno piace ricordare le umiliazioni, l’emarginazione e i soprusi subiti, quando erano gli italiani a chiedere ospitalità agli altri (a chi ha perso la memoria di questi eventi consigliamo di rileggere il bellissimo dramma del 1955 di Arthur Miller, Uno sguardo dal ponte, che parla appunto della condizione dei lavoratori italiani emigrati a New York nel Secondo dopoguerra). Da molti anni il flusso si è invertito ed è proprio l’Italia ad essere diventata la meta di un incessante fenomeno d’immigrazione. Carrette del mare, gommoni veloci, camion malandati: ogni mezzo è buono per giungere fino all’agognata salvezza. Carri merci che trasportano un’umanità dolente!
Le varie leggi italiane – Nel 1998 il Parlamento aveva approvato la legge n. 40, proposta dagli allora ministri Livia Turco (Solidarietà sociale) e Giorgio Napolitano (Interni), che, allineandosi alle norme europee sull’immigrazione previste dal trattato di Schengen, consentiva l’ingresso regolamentato di un numero ben delimitato d’immigrati, in particolare dei rifugiati politici. Poichè costoro giungono spesso clandestinamente e in condizioni pietose, la legge “Turco-Napolitano” prevedeva la realizzazione dei Centri di permanenza temporanea, dove offrire cure, ristoro e consigli legali agli ospiti, in attesa di definire la loro posizione e destinazione. I Cpt costruiti sono stati 17, concentrati soprattutto nelle regioni meridionali (in particolare in Calabria, Puglia e Sicilia). Nel 2001 le elezioni politiche hanno portato al governo le forze di centro-destra che hanno varato la legge n. 189 del 2002, la cosiddetta “Bossi-Fini”, mediante la quale è mutato il trattamento riservato agli immigrati clandestini. I centri si sono trasformati spesso in una sorta di lager, in cui vengono negati i più elementari diritti di ospitalità e di soccorso. Gli immigrati sono stipati a centinaia in alloggi destinati ad accoglierne al massimo una dozzina e le loro condizioni igieniche divengono talvolta insopportabili, favorendo l’insorgenza di gravi malattie.
Il dramma di Lampedusa – Particolarmente drammatica si è rivelata la situazione del Cpt di Lampedusa, che è stato recintato col filo spinato e in cui la sorveglianza è irremovibile (l’ordine perentorio sembra essere uno solo: “Nessuno osi varcare quella soglia!”). Ma l’inviato de l‘espresso Fabrizio Gatti ha superato – nel settembre scorso – il filo spinato e la fatidica soglia, non come un novello “007”, ma sotto le spoglie di Bilal Ibrahim el Habib, finto clandestino. Gatti è rimasto rinchiuso per otto giorni nel centro e, dopo la liberazione, nel suo reportage del 7 ottobre del 2005 ha denunciato abusi, pestaggi, condizioni igieniche degradanti e umiliazioni di ogni genere, rivolti in particolar modo agli immigrati di religione mussulmana. Il governo, per voce dell’allora ministro degli Interni Giuseppe Pisanu, ha smentito le accuse relative agli abusi, definendole infondate. A questo punto, però, sono fioccate le denunce alla Corte europea per i diritti dell’uomo, che ha aperto ben 300 procedimenti contro l’Italia per le violazioni dei diritti umani!
La messinscena – Oltre al racconto di Gatti, ci sono stati i cronisti di La 7 che hanno filmato di nascosto le immagini del centro. A Lampedusa dovevano giungere i commissari europei, per controllare le condizioni in cui versavano gli ospiti del Cpt. Ma la commissione è stata preceduta dall’arrivo del parlamentare leghista Mario Borghezio, dopo di che il centro è stato ripulito da cima a fondo, su disposizione della prefettura di Agrigento: sono arrivate lenzuola, coperte, cibo abbondante, è stato eliminato il filo spinato, ma, soprattutto, sono spariti gli ospiti in esubero con… un’espulsione immediata e forzata! Sono stati ripresi dalle telecamere di La 7 centinaia di uomini, donne e bambini – rei soltanto di aver cercato invano la “terra promessa” – che, vestiti di stracci, con le mani legate e i volti in lacrime, venivano imbarcati senza spiegazioni su aerei militari e su voli dell’Alitalia e della compagnia croata Air Adriatic. Destinazione: il deserto libico. Cioè il nulla e, molto probabilmente, la morte (tutto questo ci ha agghiacciato, ricordandoci molto la “soluzione finale”). Cosicché, quando sono arrivati, i commissari di Strasburgo hanno trovato un centro di accoglienza pulito, con soli undici immigrati e in ottime condizioni. E il leghista Borghezio, esibendo il Cpt ai commissari, lo ha definito addirittura un “hotel a cinque stelle”!
Le violazioni dei diritti dei minori, il peggiore dei mali – Lo sguardo dell’Occidente civilizzato non ha voglia né tempo per posarsi – e per indignarsi – su ciò che Amnesty International ha denunciato, riguardo all’accoglienza riservata ai minori, che qui riportiamo con sgomento e dolore, più grandi (speriamo) dell’indifferenza. Tra gennaio 2002 e agosto 2005 sono stati detenuti in Italia i cosiddetti “invisibili”, cioè centinaia di bambini giunti col flusso migratorio, soli o al seguito delle loro famiglie. Quello che Amnesty denuncia è un macabro elenco di violazioni dei diritti di questi bambini, avvenute nella prima fase dell’accoglienza. “Invisibili” sono diventati i minori chiusi in luoghi come i Centri di permanenza temporanea ed accoglienza (Cpta) e i Centri di identificazione (Cdi). In realtà, veri e propri centri di detenzione, dove i piccoli vengono sottoposti, anziché a cure e assistenza, ad una lista interminabile di violazioni non solo dei diritti più elementari – persino gli animali di altra specie in genere riservano maggiore cura verso i cuccioli – ma anche di abusi e violenze che ledono la loro dignità e vita (ispezioni corporali, trasferimenti in container, scarsità di cibo e acqua, assenza di un legale). Tante sono le cose che vorremmo non accadessero, ma, poiché avvengono nell’indifferenza generale, a gran voce sosteniamo che almeno le associazioni come Amnesty abbiano libero accesso a questi centri, per poter vegliare sui diritti di tali bambini, la cui sorte ci riguarda quanto quella dei nostri figli.
Ma qualcosa di buono c’è stato – In questo marasma d’intrighi, diritti violati, umanità cancellata, tuttavia, è avvenuto qualcosa di buono, che è passato quasi sotto silenzio. Alcuni paesi della costa jonica e dell’entroterra calabrese, tra cui ricordiamo in particolare Badolato, hanno reso concreto il sogno di tanti immigrati (soprattutto curdi), che sono stati per alcuni anni accolti, accuditi e inseriti come parte integrante di queste piccole realtà, senza pregiudizi, senza razzismo. Gli abitanti locali hanno condiviso con loro il lavoro e le risorse del luogo, senza clamori, mettendo in atto con grande umanità ciò che il mondo civile e democratico chiama “ospitalità”. L’esperienza si è in parte conclusa, perché molti immigrati – come anche diversi abitanti locali – hanno perso il lavoro e sono stati costretti a spostarsi altrove; questa vicenda, nondimeno, rimane un esempio davvero valido della possibile convivenza pacifica fra popoli diversi e della loro fattiva integrazione.
A che punto siamo? – Per tutta questa infuocata estate sbarchi di clandestini si sono succeduti giorno dopo giorno, con un denominatore comune: decine di morti innocenti! La posizione prevalente nell’attuale maggioranza di governo è stata chiarita dal ministro degli Interni Giuliano Amato, che ha recentemente sostenuto di voler mantenere i centri di prima accoglienza – ma solo se questi potranno svolgere la funzione per cui erano stati pensati dalla legge “Turco-Napolitano” – e di voler in parte modificare la “Bossi-Fini”, riguardo soprattutto alla norma che prevede il rimpatrio immediato di tutti i clandestini, senza alcuna distinzione tra le situazioni individuali. Inoltre, Amato, con una lettera inviata al commissario della Ue Franco Frattini, ha chiesto aiuto all’Europa, affinché l’Italia possa fronteggiare e gestire più facilmente l’emergenza immigrazione. E, mentre si discute, il “Caronte” di turno, armato di mitra, continua a trasportare “anime” da un continente all’altro, senza mai badare a quante ne perderà per strada.
L’immagine: Un pomeriggio come tanti del nostro fotografo Martino Gliozzi (per contattarlo clicca qui).
Mariella Arcudi
(LucidaMente, Anno I, n. 9, settembre 2006)