Gli scienziati suggeriscono importanti modifiche sulle politiche ambientali per combattere il riscaldamento globale
Gli specialisti del clima lanciano l’allarme su ciò che ormai la politica non può continuare a ignorare: il riscaldamento globale. Quest’anno eventi naturali assolutamente straordinari si sono verificati in varie zone del pianeta sottolineando quanto le emissioni di gas serra stiano modificando radicalmente il nostro ambiente.
Il 29% dei siti patrimonio dell’Unesco ha «minacce significative» e il 7% addirittura «critiche». È quanto si trova scritto nel rapporto redatto dalla Iucs (Unione mondiale per la conservazione della natura). Il cambiamento climatico minaccia, oltre al tessuto della stessa società, la ricca e diversificata composizione del nostro patrimonio naturale. Le conseguenze del continuo inquinamento, della cementificazione selvaggia, del turismo scomposto e invasivo, dell’estinzione di razze animali e della pesca selvaggia sono diverse: dall’acidificazione degli oceani, con conseguente distruzione delle barriere coralline, a cicloni tropicali nettamente più distruttivi di quelli di qualche anno fa, da nevicate e piogge violente in zone di solito secche a caldi anomali in zone normalmente fredde Il tutto incide su piante e animali, spesso in modo tragico.
Il Trattato di Parigi, non ancora a pieno regime e messo in crisi soprattutto dalle diverse capriole politiche del presidente Usa Donald Trump, si prefissa di mantenere l’aumento della temperatura mondiale sotto i 2 gradi; ma questo, secondo gli esperti, potrebbe non bastare. Si concorda, invece, sull’opzione di investire massicci capitali su fonti di energia pulite che devono sostituire l’uso sproporzionato di petrolio e fossile, strettamente correlato a molti dei danni che sta subendo il nostro pianeta. L’obiettivo dell’Unione europea per il 2030 sugli impianti rinnovabili sul totale delle fonti energetiche è del 35%, e l’Italia guida la classifica dell’uso di tale energia, che si attesta intorno al 40%.
La “morte del carbone” potrebbe arrivare troppo tardi rispetto agli obiettivi prefissati a livello globale perché alcune nazioni in fase di sviluppo industriale potrebbero aumentare drasticamente le loro emissioni da qui al 2030. Ad annunciarlo è il Mercator Research Institute on Global Commons e Climate Change di Berlino. Anche il buco dell’ozono, che sembrava dare buoni segnali sul suo restringimento, preoccupa ancora. Infatti, secondo gli ultimi studi, lo strato di ozono che ci protegge dai raggi ultravioletti si sta assottigliando in corrispondenza delle regioni del mondo densamente popolate. Per avere un altro riscontro concreto della problematica, invece, dobbiamo dirigere la nostra attenzione sull’Alaska.
Cosa c’entra il più settentrionale e disabitato degli stati americani? Una nuova ricerca della United States Geological Survey ci dice che sotto i ghiacciai dell’Alaska ci sarebbe il più grande serbatoio di mercurio del mondo, ovvero il doppio di tale metallo presente in tutti gli altri suoli e oceani della Terra messi insieme. Il cambiamento climatico e lo sciogliersi dei ghiacciai possono agire da sveglia e causare il rilascio della più grande quantità di mercurio della storia dell’uomo, influenzando gli ecosistemi anche a chilometri di distanza; senza contare gli effetti neurologici e riproduttivi sugli animali che, attraverso la catena alimentare, che verrebbero ad assumere il dannoso elemento chimico in grosse quantità.
In definitiva, secondo gli scienziati, si dovrebbe cominciare a dare veramente peso al problema dei cambiamenti climatici, spesso evaso da scettici e da ricerche assolutamente non attendibili, che minano i pochissimi sforzi fatti fino ad ora per la costruzione di una realtà sostenibile. Circa 1.500 scienziati (fra cui il maggior numero di premi Nobel ancora in vita) si sono espressi a favore per «cambiamenti significativi sulle politiche climatiche», avvertendo sulla prossimità di compiere un «danno irreversibile» al pianeta. A loro parere, si stanno superando i limiti di tollerabilità della biosfera. E le cause sarebbero da attribuire non solo a inquinamento industriale, ma anche alla deforestazione (circa 122 milioni di ettari di foresta in 25 anni), alla non tutela delle specie animali (dal 1992 a oggi si sono estinti il 29% delle specie animali) e all’aumento esponenziale della popolazione umana, cresciuta più di 2 miliardi in pochissimi anni.
Fernando Candido
(LucidaMente, anno XIII, n. 147, marzo 2018)