In un’intervista in esclusiva concessa a “LucidaMente”, l’astronauta italiano parla delle tecnologie più avanzate, che consentiranno di mandare uomini alla conquista del sistema solare
Lo scorso agosto, il rover della Nasa, Curiosity, è atterrato su Marte. Nel dicembre del 2012 è giunta la notizia della presenza, sul suolo marziano, di sostanze organiche, ovvero di composti chimici contenenti carbonio. Non abbiamo, però, la certezza assoluta che su Marte vi sia vita. Il carbonio, infatti, potrebbe essere stato portato dalla Terra, a bordo di Curiosity. Bisogna, quindi, cercare altrove. Per parlare dell’importanza delle missioni spaziali e della possibile esplorazione del pianeta rosso, abbiamo incontrato il noto astronauta italiano Umberto Guidoni, protagonista di due missioni Nasa, con lo Space Shuttle Columbia nel 1996 e con l’Endeavour nel 2001. Nel corso della seconda missione, egli è stato il primo europeo a mettere piede a bordo della Stazione spaziale internazionale. Inoltre, dal 2004 al 2009, Guidoni – che attualmente si occupa di divulgazione scientifica – è stato deputato al Parlamento europeo di Bruxelles, eletto nelle liste del Partito dei comunisti italiani.
Benvenuto, dottor Guidoni. Di recente lei ha pubblicato un libro per ragazzi, dal titolo Così extra, così terrestre. A cosa servono le missioni spaziali? (Editoriale scienza, pp. 128, € 12,90). Le missioni spaziali, infatti, tornano utili anche per la vita sulla Terra e in molti campi tecnologici. Ci illustra nel dettaglio il loro ruolo?
«Grazie e ben trovati. Per capire l’importanza di queste missioni, basti pensare a quante nostre azioni quotidiane dipendano dallo spazio: le previsioni del tempo che consultiamo prima di uscire al mattino, le indicazioni del navigatore satellitare che ci guida in città, le immagini televisive che arrivano, in tempo reale, dalle zone più remote del mondo. Forse è meno noto il fatto che la stessa tecnologia che ci permette di porre in orbita satelliti e astronauti e di lanciare sonde al limite del sistema solare è entrata nei prodotti di uso comune. Nell’ultimo libro, scritto con Andrea Valente, abbiamo elencato numerosi esempi di tecnologia extraterrestre diventata molto terrestre. Chi immaginerebbe che il termometro per la febbre derivi dai sensori sviluppati per misurare la temperatura delle stelle? Oppure che i pneumatici radiali delle nostre auto siano stati sperimentati, per la prima volta, sul suolo marziano? Credo che lo spazio sia davvero l’ultima frontiera, l’oceano sconosciuto che l’umanità del futuro dovrà affrontare. La sfida è appena cominciata e sarà il banco di prova della nostra specie».
Esplorata la Terra e visitata la Luna, è ora il momento di affrontare la prova più grande: il nostro sistema solare. Quale missione è attualmente in orbita?
«In questo momento in orbita c’è la Stazione spaziale internazionale, il primo vero avamposto umano nello spazio. Da oltre dieci anni, astronauti di 15 paesi vivono e lavorano a bordo di questo grande laboratorio orbitante, portando avanti sofisticate ricerche e sperimentando nuove tecnologie in assenza di peso. Si tratta di un’esperienza preziosa, se davvero vogliamo avventurarci nell’esplorazione del sistema solare. La prossima tappa potrebbe essere una missione diretta verso un asteroide. I recenti piani della Nasa prevedono di lanciare una sonda automatica, capace di agganciare uno degli asteroidi che incrociano la Terra e di spostarlo su un’orbita di parcheggio intorno alla Luna. Successivamente, un veicolo pilotato potrebbe raggiungerlo, facendo sbarcare astronauti in grado di studiare da vicino il corpo celeste e, magari, estrarne materie prime da riportare sul nostro pianeta».
Sembriamo essere ancora lontani da un possibile viaggio su Marte. Attualmente, la sonda Curiosity sta analizzando il suolo e scattando fotografie, per raccogliere informazioni.Ci parla dei problemi da risolvere e delle difficoltà da superare prima di poter sperimentare un viaggio sul pianeta rosso?
«Oggi sappiamo che su Marte non troveremo omini verdi, ma ancora non abbiamo una risposta certa alla domanda se ci sia, o ci sia stata, vita. Curiosity è l’ultima sonda, in ordine di tempo, inviata sulla superficie marziana per trovare indizi che possano rispondere a tale quesito. Si tratta di un robot assai più grande e sofisticato di quelli inviati finora, dotato di strumenti progettati proprio per analizzarne il suolo e scoprire tracce di attività biologica, presente o passata. Curiosity, infatti, è stato inviato alle pendici del vulcano Gale – dove sono evidenti tracce della presenza di acqua in epoche passate – ed è stato fornito di un trapano per esaminare l’interno delle rocce, alla ricerca di materiale organico. Lo scopo della missione, tuttavia, è anche quello di studiare le caratteristiche fisiche del pianeta rosso, pensando a una futura missione umana».
I problemi più grandi sembrano riguardare la durata del viaggio, la differente gravità e le radiazioni cosmiche e solari, oltre a comprendere questioni economiche, naturalmente…
«Certamente. Occorrono circa nove mesi per raggiungere Marte e altrettanti per tornare indietro. A questo, andrebbe aggiunta una permanenza di almeno sei mesi, in modo da sfruttare l’allineamento dei pianeti, che permette l’avvicinamento con la Terra ogni due anni. In aggiunta, ci sono i rischi connessi alla radiazione cosmica e a quella proveniente dal Sole. Quando si orbita intorno al nostro pianeta, la protezione fornita dal campo magnetico terrestre rende il problema meno rilevante; nel caso dei viaggi interplanetari, invece, bisognerebbe introdurre nuove tecnologie, per schermare i veicoli usati dagli astronauti. Infine, c’è la complicazione della lunga permanenza di questi in assenza di peso. Benché non ci siano effetti negativi duraturi, dalle esperienze della Stazione spaziale internazionale sappiamo che ci sono conseguenze importanti al ritorno sulla Terra. Ad esempio, dopo mesi passati in microgravità, nei primi giorni risulta impossibile camminare. Normalmente, gli astronauti vengono sollevati e trasportati in barella in centri di riabilitazione, dove possono esercitare i muscoli delle gambe e tornare a deambulare in breve tempo. Purtroppo, su Marte non ci sarebbe nessuna équipe medica a soccorrere i nostri uomini che, quindi, dovrebbero cavarsela da soli; l’unico aiuto verrebbe loro dalla gravità marziana, la quale, però, è solo 1/3 di quella terrestre».
Insomma, passeranno ancora anni prima di poter inviare astronauti su Marte?
«Direi proprio di sì. Serviranno, probabilmente, alcuni decenni».
Grazie, dottor Guidoni!
Le immagini: la copertina di Così extra, così terrestre; foto di Umberto Guidoni e della Stazione spaziale internazionale.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 90, giugno 2013)
La Souyz russa è stata adottata come navicella di salvataggio perché, oltre ad essere l’unica scialuppa delle dimensioni adatte allo scopo, in questi anni ha anche dato grandi garanzie di affidabilità: ha una striscia di missioni premiate da successo veramente notevole. La Souyz è divisa in tre sezioni, di cui quella centrale occupata dagli astronauti, che non hanno grandi possibilità di movimento. È infatti una capsula, ben diversa dallo Shuttle della NASA, che è concepito per missioni relativamente lunghe nello spazio indipendentemente dall’esistenza di una stazione spaziale. Parte della navicella è un’ulteriore capsula di salvataggio che gli astronauti possono usare nelle fasi iniziali della missione, se subito dopo il lancio, dovessero accorgersi che qualche cosa sta andando nel modo sbagliato.