Terzo album per i Miriam in Siberia: piccola perla rock autoprodotta (pure in vinile 12”)
La moda di confezionare nuovamente musica in vinile, per riassaporare un’antica tipologia di suoni unici come quelli che fuoriescono da un “disco”, agguanta anche i Miriam in Siberia, gruppo originario di Aversa (Caserta). Infatti, il loro terzo lavoro, Failing, appena uscito (e il primo in lingua inglese), oltre a essere autoprodotto, è caratterizzato pure da un’edizione limitata in vinile 12”.
Una veduta aerea della sterminata tundra siberiana (dal reportage fotografico di Marco Quinti, In Siberia) caratterizza la bellissima copertina del disco. Del resto, il gruppo ha deciso il proprio nome dalla circostanza dell’amica Miriam in partenza per la Siberia, pare per una sorta di Erasmus. Però potremmo affermare che il titolo sia “ingannevole”. Failing, in effetti, significa in inglese “fallimento”, “carenza”, “debolezza”, “disfunzione”. Invece l’opera si presenta come uno dei dischi di rock più “sano e solido” degli ultimi tempi. La chitarra (di Ferdinando “Nando” Puocci, anche “voce”) e i sintetizzatori (di Bartolomeo “Oreste” D’Angelo) sono proprio di quelli “buoni”, così come i meno “aggressivi” bassi e batterie, rispettivamente di Luciano Corvino e Costantino Oliva.
Solo cinque brani, ma di un livello compatto, molto, molto alto, che sarà certamente apprezzato dagli amanti del buon, vecchio, rock. Una girandola di suoni che spazia dallo psichedelico e dal progressive anni Settanta alle ultime sperimentazioni e all’attuale indie. Dolcezza e veemenza, luminosità e oscurità, scenari sconfinati e piccoli spazi intimisti, echi lontani e fragori vicini. Insomma, tutto molto bello. Ma il pezzo conclusivo, Don’t Anyone, è una perla di suoni che avvolgerà e commuoverà l’ascoltatore anche più smaliziato e incallito. Una musica nostalgica e viva, fioca e urlata, un controcanto dell’insondabile e dolente mistero della vita. Ascoltatelo. Più volte.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 108, dicembre 2014)