Frequentemente ci si domanda come mai dal “ceppo” cristiano sorgano correnti inneggianti sia alla libertà-uguaglianza-fraternità che al suo contrario, sia la dipendenza che la coercizione. Storici e sociologi hanno difficoltà a spiegare la presenza di movimenti violenti come le Crociate accanto a raggruppamenti nonviolenti come i seguaci di Francesco, i preti-martiri per la liberazione e i preti-pedofili. In questi casi non sono in gioco le diversità, proprie di ogni religione, ma vere e proprie contrapposizioni, come tra Riforma (protestante) e Controriforma (cattolica), che hanno dato luogo a guerre fratricide, o come quelle che si sono snodate tra Chiese orientali (ortodosse) e Chiese occidentali (cattoliche).
Questa inveterata e accanita lotta tra fazioni cristiane, che si contendono una superiorità etica e che gareggiano per il monopolio della verità, appare tanto più insensata se si pensa che tutte si rifanno allo stesso fondatore storico, il cui messaggio e la cui crocefissione escludono qualsiasi sentimento di inimicizia verso i “diversi”, siano essi pagani, donne o stranieri. Per tentare di comprendere le radici delle perduranti inconciliabilità che segnano il Cristianesimo occorre imboccare una strada che scenda dal livello “razionale”, tipico della cultura occidentale, a quello “non-razionale”, che non obbedisce alle regole del tempo-spazio né al principio di non-contraddizione. Tale transizione è analoga a quella che la scienza ha dovuto compiere nel corso dei secoli riconoscendo che non c’è ordine senza caos e che, ad esempio, l’andamento della fisica quantistica non va di pari passo con quello della meccanica newtoniana. Similmente i processi coscienti della mente non sono omogenei a quelli “inconsci”, per cui le regole che presiedono al sogno e alle fantasie non valgono per quelle che consentono di adattarci alla realtà quotidiana.
Nel libro Psicoanalisi del Cristianesimo (pp. 224, euro 18,00, Di Girolamo Editore) Luigi De Paoli intende dimostrare che la divaricazione tra le correnti cristiane diventa sempre più macroscopica man mano che ci si allontana dalla vita di Gesù di Nazareth. Va tenuto presente che egli non fonda alcuna chiesa, non lascia alcun messaggio scritto, non istituisce gerarchie sacerdotali, non consacra liturgie né dogmi. Si limita a sottolineare che, a differenza dei capi religiosi, il buon Padre non predilige i devoti frequentatori del tempio, ma chi pratica le Beatitudini e un amore disinteressato verso affamati, assetati, prigionieri e malati. La sua breve predicazione è affidata non al libro ma alla semplice comunicazione personale, non alla lettera ma allo spirito. Le cose diventano problematiche quando discepoli ed evangelisti cominciano a mettere nero su bianco e a definire il Nazareno come “l’uomo che viene a togliere i peccati del mondo”, “esaltato da Dio al di sopra di tutti gli esseri”, “l’Alfa e l’Omega”, “Figlio di Dio”, “Redentore”, e “Messia”. Allo stesso tempo nelle prime comunità cristiane si fa largo una credenza opposta, incorporata nei Vangeli, che lo degrada a “figlio obbediente”, “Agnello di Dio”, “inviato del Padre”, “che a lui si immola”.
In sostanza, i discepoli dell’ebreo-falegname iniziano un doppio movimento che deforma la sua identità psico-storica, dato che per un verso lo idealizzano fino a divinizzarlo, mentre dall’altro lo degradano a “servo di Dio” e a vittima sacrificale, “il cui sangue purifica la nostra coscienza”. Pur contrastando il culto dell’imperatore, fino a rischiare esclusioni e persecuzioni, i cristiani non riescono a evitare di catalogare Gesù secondo l’assetto ideologico dell’Impero romano, che prevede da un lato una realtà divina e dall’altra una sub-umana. A fronte di un Sommo Pontefice, Filius Dei (Figlio di Dio) c’è il popolo disumanizzato e privo di diritti.
Quando, tre secoli dopo Gesù, Costantino concede la libertà di culto ai cristiani con l’editto di Milano (313), la condizione di quest’ultimi muta progressivamente fino a capovolgersi: la religione cristiana, ad opera dell’imperatore Teodosio (380), diventa religione di Stato, la disobbedienza al dogma è considerata “delitto di Stato” e la Chiesa diventa imperiale, suddivisa in due settori. Uno è rappresentato dalla Sacra Gerarchia, che parla ed agisce come se fosse Dio, continuazione del Cristo trionfante, onnisciente e dotato del potere di giudicare e amministrare anche le realtà terrene. L’altro è costituito dal popolo, ignorante, obbediente e muto, in parole povere, vittima sacrificale.
Con Agostino tale dissociazione è teologizzata, diventando ancora più profonda. A seguito del (presunto) “peccato originale”, commesso dai progenitori e trasmesso sessualmente a tutte le generazioni, solo i battezzati hanno la fortuna di accedere ai piaceri del Paradiso, mente i miliardi di non battezzati sono condannati al fuoco eterno. Il solco agostiniano tra fedeli e infedeli divide anche l’uomo (padrone) dalla donna (serva), la verginità dal matrimonio, l’anima dal corpo, la Città di Dio da quella Terrena, la Religione vera da quelle false.
A partire da Costantino e da Agostino la scissione verticale tra il Gesù-Messia-Figlio-di-Dio e il Servo-Agnello-di-Dio si riproduce inconsciamente all’interno dell’organizzazione cristiana. Compare la spaccatura tra una Chiesa di serie A (cattolico-romana) e una di serie B (protestante-ortodossa), tra l’Unico vero redentore (Gesù Cristo) e quelli non affidabili, tra le persone rivestite di potere sacro e quelle (profane) che ne sono completamente prive. La separazione non è dovuta a ragioni teologiche, meno ancora a quelle dell’amore fraterno, ma a quella oscillazione psico-dinamica tra i due eccessi, l’idealizzazione e la denigrazione, che vengono clandestinamente attribuiti a Gesù dopo la sua morte.
Tale vertiginoso squilibrio genera due conseguenze. Avendo perso le proprie caratteristiche psichiche al Nazareno non viene riconosciuto il duro lavoro della propria evoluzione umana e spirituale, essendo dotato di una presunta natura magico-divina, che gli consente di conoscere eventi e di operare miracoli che vanno al là di ogni capacità umana. Al tempo stesso egli non può assurgere a modello significativo per quanti si battono per la giustizia e la riabilitazione dei poveri e degli oppressi, dal momento che gli viene attribuita una personalità degradata, completamente telecomandata dal Padre, di cui è un puro messaggero e servo.
La distorsione di Gesù, e qui siamo alla seconda conseguenza, non può far altro che generare cristiani affetti da un “disordine narcisistico”, al cui interno l’idealizzazione coesiste con la denigrazione, tanto di se stessi che dell’altro. Il nucleo pericoloso del “disordine narcisistico” sta proprio in quel mix di auto-svalutazione e di auto-divinizzazione che sono i motori fondamentali della violenza, tanto più minacciosi in quanto sottraggono energie all’IO e a quell’esame di realtà che consente di accedere alla fase adulta, abbandonando entrambi i residui di una mente infantile.
Un esame delle dinamiche inconsce del Cristianesimo è indispensabile per capire perché anche l’Occidente si trovi diviso e incapace di avviare una conciliazione al proprio interno e con le altre civiltà. Si rifletta su due creature partorite in terre che si vantano di avere “radici cristiane”: il capitalismo e la democrazia. Entrambi si pavoneggiano di essere i migliori sistemi del mondo e di avere un mandato pressoché divino ad imporre la loro Buona Novella. Si dà il caso che essi abbiano generato non solo guerre mondiali e rivalità fratricide sconosciute a qualsiasi altro sistema sociale, ma anche una spoliazione della terra e una perversione della biosfera che minacciano tutte le future generazioni. Non appare, quindi, fantomatica l’ipotesi che Cristianesimo e Occidente abbiano in comune il fatto di aver ereditato e trasmesso il peccato originale del “disordine narcisistico”.
L’immagine: la copertina di Psicoanalisi del Cristianesimo.
Simone Jacca
(LM MAGAZINE n. 13, 15 settembre 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 57, settembre 2010)