Concita De Gregorio dedica il suo terzo lavoro letterario – “Così è la vita. Imparare a dirsi addio”(Einaudi) – alla transitorietà dell’esistenza, affrontando una tematica della quale sembra scandaloso occuparsi nel nostro tempo
Tutti i giorni ascoltiamo sui media racconti di morti truci. Da poco siamo reduci da un’inondazione mediatica riguardante la dipartita di due importanti personaggi pubblici: Gheddafi e Simoncelli. Decessi accidentali, frutto di incidenti e di delitti.
Ma parlare di morte naturale, intesa anche come deperimento organico, è proibito, bandito da ogni tipo d’informazione. Concita De Gregorio, scrittrice e giornalista de la Repubblica, nel suo ultimo libro, Così è la vita. Imparare a dirsi addio (Einaudi, pp. 124, € 14,50),rompe questo veto e parla della caducità dell’esistenza (cfr. pure, in questo stesso numero di LucidaMente, il resoconto di Katia Grancara sulla presentazione bolognese del libro: L’odierna rimozione della morte e i bambini). Attraverso una serie di racconti l’autrice esamina esperienze vissute in prima persona, libri e film che l’hanno portata a riflettere sul senso della vita colto dalla prospettiva de “l’ultimo viaggio” dell’uomo.
Nel testo vengono trattati anche una serie di argomenti proibiti come il dolore, la malattia e la fragilità: temi rimossi da ogni dibattito pubblico. Già dalla copertina – nella quale in primo piano, su uno sfondo nero, la mano di un anziano incontra quella di un bambino – si capisce il filo della narrazione: la vita non è altro che un passaggio di consegne; il significato dell’esistenza sta in ciò che trasmettiamo alle persone che ci custodiranno nella loro memoria. Sono pagine, queste, che parlano di chi rimane, di chi sopravvive, di chi deve attraversare il dolore e trasformarlo in forza.
Il libro è dedicato ai bambini e assume uno sguardo infantile. Tramite alcuniracconti per l’infanzia e importanti autori come Wolf Erlbruch, grande illustratore e raffinato scrittore, l’autrice cerca di rispondere a domande spiazzanti come quella di Carmen, sette anni, che, dopo aver studiato l’evoluzione della specie a scuola, chiede: «Ora che so tutto su come si sono estinti i dinosauri posso sapere anche come è morto mio nonno?». Una delle chiavi di lettura è la necessità di ridare un nome alle cose. I bambini hanno diritto alla verità. Se si racconta loro che la persona morta è partita per un lungo viaggio, si metteranno in attesa, magari imputandosi delle colpe e pensando di non essere amati, di essere stati abbandonati senza motivo. La verità è fondamentale. Aiuta a crescere. C’è bisogno di educare alla realtà delle cose e fornire gli strumenti per avere il coraggio di vincere le paure. Molto interessante è l’Appendice. Rassegna incompleta dei libri memorabili dedicata alle migliori opere per l’infanzia – spesso provenienti da altri paesi europei e mai tradotti in Italia – che parlano della morte e la raccontano ai più piccoli.
Questo però è anche un lavoro di contestazione politica. Non poteva essere diversamente per l’autrice, giornalista sempre attenta alla vita pubblica, partendo dall’assunto che la politica è in ogni scelta quotidiana. Concita De Gregorio ha inserito in queste pagine il suo personale j’accuse all’attuale modello culturale imperante. In questa società dove è proibito soffrire, proibito essere fragili, proibito arrendersi, la morte induce a una riflessione che si sposta sulla dimensione fisica e sull’esigenza della nostra società di fermare il tempo. Il modello estetico prevede, attraverso il ricorso alla chirurgia estetica, il congelamento del tempo: «L’estetica dell’eterna giovinezza racconta di un’etica posticcia in cui conta solo il qui e ora, l’incasso immediato, tutto il resto sono scarti da occultare, incidenti di sistema». Interessante la riflessione dell’autrice sul silicone come il burka dell’Occidente che copre, maschera i volti e li deforma. L’obiettivo sembra essere quello di cancellare la storia per vivere un eterno presente. È invece necessario comprendere che l’assunzione delle responsabilità si fonda sulla consapevolezza dello scorrere del tempo, dell’inevitabile fine delle cose, perché “così è la vita”.
Amelia Di Pietro
(LucidaMente, anno VI, n. 72, dicembre 2011)