Il narratore felsineo conferma la propria amara vocazione “morale” in “Vuoti a perdere” (eclissi editrice)
«Un mondo tanto pieno di gadget quanto vuoto d’anime». Lo scrittore bolognese Massimo Fagnoni ribadisce col suo nuovo romanzo la propria attitudine a gettare un amaro sguardo “morale” sulla società odierna. Nel suo precedente giallo, Il silenzio della Bassa. Un’indagine di Galeazzo Trebbi (del quale ci siamo occupati con la recensione L’assassino? La tv spazzatura!), aveva approfondito lo squallore, la vuotezza e l’insita, ipocrita, celata violenza di certe trasmissioni televisive, della “società dello spettacolo”, dell’intrusione dei media nelle nostre esistenze.
Ora, da attento osservatore del sociale, Fagnoni sofferma il proprio sguardo disincantato su adolescenti, ragazzi e giovani del nostro tempo, viziati, prepotenti, violenti, persi tra divertimenti e droghe di ogni qualità e tipo, all’inseguimento spasmodico e maniacale di auto, moto, vestiti e smartphone alla moda. Insomma, dei veri e propri Vuoti a perdere (eclisse editrice, pp. 296, € 12,00). Ricchissimi o poverissimi, poco conta. I non-valori e i disvalori sono simili o uguali. Ma non è che i genitori siano migliori, costituendo famiglie che potremmo definire, con un termine antipatico, che non ci piace, “disfunzionali”: «Genitori distratti, bambini dimenticabili, cervelli impregnati da troppe informazioni, sistemi nervosi in tilt fra miserie quotidiane, tempi stringati, debiti inevasi e solitudini incolmabili, dove anche i figli, che dovrebbero essere i più amati, non riescono a riempire i vuoti».
La vicenda si svolge a Bologna, durante un autunno cupo e grigio, e ha al proprio centro il Liceo scientifico “Righi” del capoluogo emiliano; quindi molti personaggi del romanzo sono studenti, coi loro genitori, per lo più appartenenti alla ricca borghesia felsinea. Ed è proprio la casuale scoperta del cadavere di una liceale di tale istituto scolastico, Laura Vannini, a dare l’avvio al multiforme tessuto narrativo del libro. Sarà “la strana coppia” costituita dal carabiniere Giuseppe Greco e dall’agente della polizia municipale Marco Belli a ricevere l’incarico di sbrogliare l’intricata matassa. Protagonisti atipici, tutt’altro che perfetti, fragili di fronte al tempo che passa, coinvolti emotivamente; e, ovviamente in relazione, com’è tipico della narrativa di Fagnoni, con un turbinio di altri personaggi, tutti molto realisticamente credibili.
E, come se gli opposti si attraessero, alcuni allievi (e non solo loro) della Bologna-bene sono in stretto, rischioso, contatto col sottoproletariato del rione Pilastro, costituito dai figli dei meridionali immigrati decenni prima: ragazzotti feroci, delinquenti, col mito del crimine come ascensore per il successo. La tematica centrale del libro è dunque ben inserita, com’è tipico di Fagnoni, nel contesto della città dello scrittore. E nella sua critica alla borghesia bolognese il narratore va giù duro: «Ha un fiuto eccezionale per i bolognesi doc. Sono bravi, di sinistra, spaventosamente ricchi, straordinariamente intolleranti, adottano a distanza qualsiasi forma di vita, ma non tollerano chi decide di andare a pisciargli davanti al portone di casa».
L’osservazione si fa analitica, spietata: «I bolognesi si spostano, vanno a prendere i figli che escono dalle scuole. Sono cortei di grossi fuoristrada lucidi e neri, guidati spesso da casalinghe abbronzate che staccano dalle loro occupazioni del mattino per il recupero dei figli. Fra poco intaseranno strade, bloccheranno il traffico in prossimità degli accessi ai diversi istituti. Lasceranno le loro auto inutili, ingombranti e inquinanti, in doppia fila, perderanno tempo a chiacchierare della prossima settimana bianca, della festa di compleanno, dell’ultima moda. Mamme bolognesi».
Accanto all’attenzione per il dato sociale, Fagnoni conferma la propria particolare sensibilità nei confronti del paesaggio bolognese, urbano e naturale. Piazza Maggiore è descritta quasi espressionisticamente: «La piazza s’è cambiata d’abito per il pomeriggio. È una pista di pattinaggio gigante, dove alcuni anziani bolognesi si vomitano addosso dichiarazioni in dialetto sui mali che affliggono il mondo, è una base d’atterraggio per dischi volanti, è la piazza più rossa del mondo dopo quella di Mosca, è un monumento ai vivi e ai morti di mille stragi. È la “piazza grande” di Lucio Dalla, è la “piazza bella piazza” di Claudio Lolli». Una Bologna tutt’altro che paciosa e allegra: una «terra schiacciata al suolo da un clima depresso».
La natura assume aspetti angoscianti: «Ha smesso di piovere, il cielo plumbeo sembra scolpito, è pietra nero fumo, incollata al soffitto del mondo». Talvolta Fagnoni la descrive con sembianze antropomorfe che segnalano gli stravolgimenti climatico-ambientali: «L’autunno fa meno paura nel primo decennio del Duemila. È stagione malata, temperatura elevata, colorito giallastro, è un autunno con l’itterizia, con il fegato a pezzi. La natura impazzita muta d’aspetto, solo lei alza la testa, indignata, mentre l’uomo caparbiamente sputa in faccia agli elementi, nella completa indifferenza. Non importa se ai primi di novembre ci sono venti gradi e la campagna esplode di colori che poco hanno a che fare con la stagione. Sono tutti contenti del gas risparmiato. Come contenti sono i becchini dei morti quotidiani, falcidiati da inspiegabili tumori che arrivano probabilmente dall’aria stessa. […] La natura s’è stancata dell’uomo, ha cominciato a dare segni d’insofferenza». Sicché, in conclusione, si ha quasi l’impressione che gli snodi del poliziesco per Fagnoni siano anche un pretesto per critiche considerazioni complessive sul nostro mondo e sulle direzioni che ha intrapreso. Riflessioni tutt’altro che banali o superficiali.
Le immagini: la copertina del libro e lo stesso Massimo Fagnoni.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 115, luglio 2015)