Tra jazz, flamenco e suoni mediterranei: le preziose sonorità di Stefano Mirandola
Qualcosa si muove nel panorama musicale bolognese. E questa volta non si tratta di mediocri pezzi da hit parade, ma di musica “di nicchia”, destinata ad ascoltatori attenti e raffinati.
A parlarcene è l’autore, il musicista bolognese Stefano Mirandola (in concerto a San Lazzaro di Savena il prossimo 28 giugno). Dopo il suo esordio come chitarrista classico, ha poi contaminato la sua musica con sonorità jazz, flamenco, brasiliane ed etniche, dai colori molto mediterranei. All’attivo, già tre cd pubblicati (è compositore Siae dal 1986): Vagogirando del 1997, in cui al suono della sua chitarra dalle corde di nylon si affianca quello della chitarra elettrica di Guido Premuda; segue nel 2003 l’album solista Oltre il mare, pubblicato da una prestigiosa casa discografica tedesca (l’Acoustic Music Records), che lo fa conoscere all’estero, dove ottiene ottime critiche; infine, Ten Strings del 2005, in duo con Enrico Guerzoni al violoncello.
Come si è sviluppato il tuo interesse per la musica senza frontiere? Hai viaggiato in giro per il mondo?
Certamente i viaggi hanno alimentato la mia curiosità verso la musica internazionale, ma non è sempre necessario allontanarsi per ricevere nuovi stimoli, soprattutto perché la musica è evocativa, nel senso che, a prescindere da dove ci si trovi, è il suono a richiamare luoghi ed atmosfere. Gli stimoli esterni sono sempre utili a far nascere cose nuove: rielaboro questi spunti, trasformandoli in punti di partenza per composizioni personali, e la chitarra è uno strumento che si presta molto a questo scopo…
In che senso?
Nel senso che si tratta di uno strumento molto particolare, che offre svariate possibilità sonore ed interpretative. Ad ogni chitarra corrispondono nuove potenzialità: le corde di nylon hanno colori differenti da quelle metalliche, inoltre mi piace esplorare le varie tecniche esecutive e svilupparne delle nuove. Ultimamente mi sono avvalso anche di uno strumento singolare: una chitarra a due uscite, che pilota tutta una generazione di nuovi suoni; oltre ad emettere le sonorità proprie di una chitarra classica, riesce, infatti, a propagare suoni di altri strumenti. Inizialmente ne avevo sottovalutato le potenzialità espressive, considerandola solo come elemento ludico, invece ora la uso per arricchire le mie interpretazioni.
Nella tua discografia hai alternato album solisti ad altri nati da interessanti collaborazioni: qual è la differenza tra il lavorare in gruppo ed il confrontarsi solo con se stessi?
Diciamo che c’è un momento per stare da soli ed un altro per collaborare. Io ho cominciato a suonare quando avevo dodici anni, era il 1972, e all’epoca quello del musicista era uno status symbol: molti provavano a suonare, ma solo pochi ci riuscivano. Inizialmente si suona in gruppo quando ancora non si è artisticamente maturi per lavorare da soli, ed io a quell’età ho subito preso parte ad una band. Suonavamo soprattutto brani di altri…
Il 1972? E quali erano le influenze musicali?
Tutto ciò che veniva dal pop e dal rock. Avevamo degli ottimi maestri: i Deep Purple, i Genesis, i Led Zeppelin… Era musica di altissima qualità. Ora in giro non c’è quasi più niente del genere…
Come mai?
Inizialmente è stata colpa del punk, che ha comportato la decostruzione del suono. Su questa scia sono intervenute le case discografiche, ritenendo un’ottima mossa commerciale quella di azzerare i gusti del pubblico, togliendo di mezzo tutto ciò che c’era di qualità. Sul piano economico, infatti, era troppo dispendioso continuare a registrare album come quelli dei Led Zeppelin. E poi è venuto il video, ad indebolire ulteriormente la musica.
Dunque, costruire musica a supporto di immagini non può generare capolavori?
Non è sempre così. Ad esempio, lavorare per le colonne sonore può essere utile e stimolante; a me è capitato di creare musiche per il film di Jean Renoir La piccola fiammiferaia (1928) e in quell’occasione ho capito che, se usate sapientemente, le immagini possono amplificare il potenziale della musica, e viceversa.
Tornando alla domanda di partenza, com’è lavorare da soli?
E’ molto diverso dal collaborare in un gruppo. Io mi sono dato all’attività da solista solo quando ho ritenuto di essere in grado di farlo. La maggior soddisfazione, in questi casi, consiste nell’accorgersi di essere in grado – da solo – di mantenere vivo l’interesse del pubblico. Lo svantaggio è che non c’è possibilità di confronto. In ogni caso sono tanti gli elementi che regolano le dinamiche di un gruppo. Band troppo numerose fanno fatica a stare insieme; è importante essere legati, oltre che dalla professionalità, anche dall’amicizia, come accade tra me e Guerzoni.
E com’è nato il duo con questo violoncellista?
Apparentemente la chitarra ed il violoncello sembrano due strumenti che non hanno molto in comune ma, dopo un po’ di prove, abbiamo capito come sposare al meglio le loro sonorità, coinvolgendole in una danza al limite della lotta. I suoni si rincorrono, si susseguono, si scontrano, raggiungendo sempre maggiore espressività. In questo mi ha molto aiutato l’esperienza di Guerzoni, musicista poliedrico, che sa usare il violoncello in maniera versatile.
Ma cos’è che ispira le tue composizioni?
Nel caso di Oltre il mare, il titolo è nato prendendo spunto dal mar Adriatico. Ero rimasto profondamente colpito da ciò che stava accadendo in Jugoslavia per via della guerra ed il mare era ciò che ci separava da essa. Altro tema centrale per la scrittura di quell’album era la nebbia: quella padana, ma anche la nebbia concepita come il fumo della guerra. Fari nel muro è stata ispirata dalla nebbia in autostrada: ad un ritmo concitato corrisponde la tensione del motore della macchina. Poi c’è il vapore acqueo termale che ha suggerito l’idea per Agua caliente, mentre Azzurro disperso dal vento è dovuta all’immagine dell’azzurro che in montagna si staglia immenso oltre le nuvole in movimento.
Quindi, alla base delle tue composizioni, ci sono soprattutto elementi naturalistici.
Sì, ma non solo, è tutta una combinazione di cose. In realtà anche la mia famiglia mi condiziona molto. Ad esempio, quando mia figlia ha cominciato a camminare ho composto Walking Elena, rifacendomi al walking bass, che è appunto una tecnica chitarristica. Diciamo che vengo colpito spontaneamente da una serie di elementi, che poi si manifestano sotto forma di ispirazione.
Però non ti occupi solo di musica. Hai una laurea in Ingegneria elettronica, sei autore di libri di testo scolastici e tu stesso insegni. In che modo la musica si sposa con il tuo interesse verso la matematica?
La musica si basa su fondamenti scientifici; prima della creatività viene la teoria e le armonie e gli accordi sono anch’essi retti da principi matematici. Ma, al di là di questo, cerco continuamente di conciliare le mie due passioni. A scuola, ad esempio, prendo spunto dall’analisi e dall’elaborazione dei segnali audio per aiutare i miei alunni a capire l’elettronica. Traggo dalla musica stimoli nuovi per l’insegnamento.
Cosa pensi della diffusione dirompente della multimedialità nella vita di ogni giorno? Mi spiego: l’informazione oggi avviene soprattutto in rete – la nostra, infatti, è una rivista multimediale. Questo discorso riguarda anche la musica, che viene continuamente ad incontrarsi e scontrarsi con i diversi mezzi di comunicazione di massa. Molti musicisti lottano contro la possibilità di scaricare in rete – gratis – i loro brani; lo concepiscono come un furto. D’altro canto, però, internet è ormai la miglior vetrina per pubblicizzare e far circolare i pezzi. Qual è la tua opinione a riguardo?
Io per primo ammetto di essere un fruitore delle possibilità offerte dalla multimedialità, tuttavia sono allarmato dal sovraccarico informativo che questa comporta. E’ molto difficile, in rete, captare la profondità e la densità di alcuni brani (qualità impossibili da riconoscere al primo ascolto). E’ importante tornare alla lentezza e a dinamiche del vivere meno frenetiche; solo così si possono davvero cogliere ed apprezzare i vari aspetti presenti in un pezzo musicale. Tutti questi mezzi di comunicazione ed informazione di massa sono comodi da sfruttare, però bisogna farlo con coscienza. E’ impossibile pensare di poter crescere come ascoltatore – ma anche come musicista – in maniera completa avvalendosi solo della multimedialità; non è così che si acquisisce la genialità. Personalmente credo che la ragione di un tale abbassamento qualitativo della musica vada ricercata anche nell’intenzione di costruire pezzi destinati principalmente alle masse. Dunque, alla errata gestione di tutte queste risorse, corrisponde un abbassamento generale del livello di crescita personale.
L’immagine: copertina del cd Ten Strings di Stefano Mirandola ed Enrico Guerzoni.
Claudia Mancuso
(LucidaMente, anno I, n. 6, 15 giugno 2006)