La neve cadeva, lenta, implacabile, in grossi fiocchi pesanti, e, col passare delle ore, ogni cosa a Breack Sting finì per sparire sotto una coltre bianca. La peggiore nevicata negli ultimi dieci anni. Johnny Bull se ne stava fermo dietro la finestra della cucina, a osservare quel biancore.
Bull aveva quell’età in cui ogni cosa sembra ormai alle spalle.
La casa dietro di lui era trascurata e sporca. Il gelo, che l’impianto di riscaldamento scadente non riusciva a fugare, era palpabile nelle nuvolette di vapore che il fiato dell’uomo produceva.
Egli stesso era ricoperto di molti strati di indumenti sgualciti e deformati sul corpo infiacchito.
Anche il suo viso era estenuato. Occhiaie e rughe contornavano piccoli occhi di un azzurro smorto.
La linea delle labbra era amara e sottile e pochi capelli spettinati di un grigio incerto, gli coprivano il cranio lucido.
Bull si allontanò dalla finestra, dirigendosi verso il frigorifero. L’aprì.
All’interno, ben allineate, svariate lattine di birra, e confezioni di salumi ancora chiusi. Niente frutta né carne fresca, ma una bottiglia di latte oramai rancido.
L’uomo prese una lattina e l’aprì, poi, sorseggiando la birra ghiacciata, tornò verso la finestra.
Intanto da qualche punto della casa la voce gracchiante di uno speaker recitava l’ultimo notiziario.
Il solito elenco di incidenti stradali su Palm Road dovuti alla neve, saccheggi, qualche aggressione… la voce si perse in uno sfrigolio indistinto, per poi ritornare di nuovo chiara.
La neve stava provocando molti guai in città. Sotto il suo peso, molti tetti erano crollati, alcune famiglie erano state evacuate.
Molti automobilisti erano rimasti imbottigliati negli ingorghi di Palm Road, c’erano perfino dei dispersi fra coloro che avevano tentato di allontanarsi a piedi…
Intanto la notte stava scendendo. La neve formava oramai un muro invalicabile.
“Sicuro che domani mattina si dovrà spalare di brutto, per aprire varchi nelle strade” considerò Bull.
La voce dello speaker si interruppe definitivamente, mentre la luce cominciò a spegnersi e riaccendersi a intermittenza.
“Dannazione!” imprecò l’uomo. “Se ora la corrente va via, rimango al freddo e al buio. Meglio che vada a coricarmi”.
E se la neve si fosse addensata sul tetto facendolo crollare? L’uomo ci pensò su un attimo. Sarebbe stato il colmo fare la morte del topo. Meglio rimanere in piedi, pronto a…
Già a fare cosa? Scappare? E dove? E come? La macchina, parcheggiata sul retro della casa, era certo sommersa dalla neve.
Ecco era quello il senso di solitudine assoluta che provava e che gli stringeva il cuore come una morsa.
Sollevò la cornetta del telefono, avrebbe telefonato a Billy Clidon, suo compagno di bevute al bar di Joe…
Il telefono era muto. Evidentemente la linea era interrotta.
“Se mi viene un infarto, è capace che crepo qui come uno scemo senza che nessuno se ne accorga…”.
All’improvviso la casa apparve all’uomo come una prigione dalle sbarre sempre più fitte.
L’inutilità di se stesso in quella notte infernale era qualcosa che non riusciva a tollerare.
Doveva uscirne, a tutti i costi. Magari fuori qualcuno poteva aver bisogno di aiuto. Meglio rendersi utili, invece di starsene rintanati come una talpa nella propria tana.
L’uomo si avvolse il collo in una pesante sciarpa di lana doppia, infilò un berretto di lana, galoscie e cappotto, e uscì sotto il portico, chiudendosi la porta alle spalle.
Diede tutte le mandate alla serratura, non si poteva mai sapere con gli sciacalli che c’erano in giro.
La neve era oramai una parete compatta in movimento. Entrava negli occhi, nelle narici, infiltrava il cappotto… stupido a non aver indossato la giacca a vento.
L’uomo fece qualche passo sulla strada. O almeno doveva essere la strada, ma in che direzione andare? Non si vedeva nulla nel buio fitto. L’uomo accese la torcia che si era portato dietro. La luce giallastra illuminò appena il biancore inquietante.
Si sforzò di camminare. Un passo dietro l’altro, e poi ancora uno, sembrava che fosse questione di vita o di morte.
“Bisogna rendersi utili, ecco. Tutto qua. Ci sarà un mucchio di gente che ha bisogno di aiuto qua fuori…” continuava a ripetersi, i piedi gelati nelle galoscie, le mani rattrappite, aveva perfino dimenticato i guanti.
“Sei un essere inutile, Bull,” gli diceva sua moglie buonanima “pensi solo a te stesso!”. Vedrai ora, vecchia baldracca, vedrai. Quando tirerò fuori dai guai qualche scimunito, parleranno di me anche i notiziari nazionali!
E lo pensava davvero, Johnny Bull, mentre arrancava nella neve, incespicando ad ogni passo, il cappotto bagnato, sciarpa e berretto fradicio, patetico pupazzo umano in cerca di… di cosa?
A saperlo. Non incontrò nessuno, né vivo né morto. Eppure doveva essere nei pressi della statale che tagliava in due la città, ma con quel buio e quel tempaccio non si capiva.
Si fermò di botto, guardandosi intorno. I fari di una macchina lo accecarono.
“Dove vai, pezzo di idiota? Vuoi farti accoppare?” lo apostrofò una voce giovanile. “Non mi fermo perché, se no, non riparto. Nonnetto, tornatene a casa…”.
Allora era sulla strada, si disse. Ma perché non vedeva le insegne del negozio di Max? Eppure doveva essere a cento metri da casa sua, non di più.
Guardò l’orologio da polso. Doveva essere tardi. Possibile che avesse camminato per più di un’ora?
D’altra parte, con quel tempo non si poteva che procedere lenti come lumache.
“E’ assurdo!” rifletté. “Ma perché diavolo sono uscito?! Forse è meglio che ritorni…”. Poco distante gli sembrò di scorgere la sagoma di una macchina messa di traverso sulla strada. Si avvicinò a fatica.
Era la macchina del vicesceriffo Donovan, ma era vuota. Il proprietario l’aveva abbandonata con le portiere aperte. Doveva avere una gran fretta.
Possibile che non incontrasse nessuno, da salvare e non? Cosa diavolo diceva quello stronzo di cronista, allora? E pensare che lui era uscito proprio per questo. Per trovare qualcuno da salvare. Così la sua fottutissima vita avrebbe avuto uno scopo, un significato.
“Chi si comporta bene, Johnny, avrà per premio il paradiso!” gli soleva ripetere sua nonna.
E speriamo, perché la vita era stata un inferno. Anzi no, un purgatorio forse, il che era anche peggio, almeno per lui. Quell’infelicità noiosa e asfissiante, quel senso di nullità totale e continua, non era stata forse la peggiore delle sconfitte?
Quella notte era uscito per trovare un riscatto.
Ma, a quanto pareva…
Il bar di Joe aveva la serranda abbassata. Figuriamoci se quel figlio di puttana avrebbe aperto con un tempaccio simile. Non c’era neanche la possibilità di una birra fredda.
Bull aveva sete.
Si sentiva le labbra spaccate dal freddo e gli occhi lacrimosi.
Guardò di nuovo l’orologio: le tre! Possibile? Quanto aveva camminato? E certo che il bar di Joe era chiuso a quell’ora!
Meglio tornare, a questo punto. In giro non c’era nessuno da salvare, anzi non c’era nessuno, né vivo né morto.
La buona azione memorabile era rimandata a data da destinarsi. Neanche gli angeli fanno più miracoli oramai, figuriamoci gli uomini, specie un ominicchio come lui.
“Niente paradiso per oggi, Bull…” si disse, prendendo la via del ritorno. Le gambe sempre più pesanti, quasi quanto il cuore. Eppure l’anima gli si chiudeva al pensiero di tornare nella sua fredda casa vuota.
“Ci morirò solo come un cane, là dentro…” si lamentò.
Alle prime luci dell’alba, il freddo si era fatto ancora più tagliente. Bull era intirizzito e non sentiva più le mani, che erano come pezzi di carne morta.
La neve continuava a cadere, ma non nascondeva più i contorni delle cose.
La sua casa sembrava, in lontananza ancora più spettrale, con il legno marcito in più punti, gli infissi che andavano riverniciati, le finestre coi vetri resi opachi dalla sporcizia.
Sotto il portico, un mucchio di neve sudicia stava addossato alla porta.
Ma non era neve!
Almeno non solo.
Sembrava quasi un sacco ricoperto di neve, buttato in un canto.
Bull si avvicinò guardingo.
La “cosa” era un essere umano. Una donna. Giovane.
Una ragazza. Non doveva avere più di venti anni, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, appiccicati al viso, bagnati.
Bull cominciò a tremare. Le mani, intirizzite e insensibili per il freddo, presero a frugare nelle tasche del cappotto, alla ricerca delle chiavi.
Le trovò dopo un tempo interminabile. Aprì la porta con gesti stentati, poi abbrancò il corpo della ragazza, afferrandolo sotto le ascelle, e non senza fatica lo trascinò dentro casa, lasciando una scia di neve sul pavimento.
Chiuse la porta, scalciando con un piede. Trascinò la ragazza verso il divano. Era pesantissima e inerte.
Pallidissima, sembrava una statua di cera, gli occhi chiusi, i capelli neri appiccicati sul viso, le labbra viola.
La scosse. Non dava segni di vita.
Con gesti frenetici, appoggiò le dita sul collo sottile… non sentì alcun battito.
“Svegliati, perdio!” urlò al corpo inerte.
Avvicinò il viso a quello di lei ma non colse alcun respiro.
Se almeno avesse lasciato la porta aperta la notte prima! Lei avrebbe potuto trovare riparo in casa sua! Era così giovane!
“Sei un buono a nulla, Bull, un dannato stronzo buono a nulla”.
La ragazza aveva cercato aiuto e non l’aveva trovato, perché lui si era ostinato a uscire nella notte in cerca di chissà cosa, lasciandola morire davanti a una porta chiusa.
“Non ti sei guadagnato il paradiso, Johnny Bull, ma certo ti sei guadagnato l’inferno!”.
Bull piangeva, accoccolato accanto al divano. Le lacrime scavavano canali nella pelle flaccida del suo viso.
Poi smise di piangere. Si alzò in piedi e si diresse verso la camera da letto…
Li trovarono dopo due giorni, a tempesta finita, quando furono ripristinati i collegamenti a Breack Sting. La ragazza, Rosy Smith, 18 anni, di passaggio in città con la famiglia, che era stata sorpresa su Palm Road dalla tormenta, era morta assiderata, mentre cercava soccorso. E l’altro corpo, il corpo di Johnny Bull, fu recuperato in camera da letto: si era sparato un colpo di pistola dritto in bocca.
La porta della casa, lasciata aperta, sbatteva desolata contro il muro, spinta dal vento implacabile.
(La nostalgia dell’angelo)
Mariagrazia Di Stasi
Lucana di nascita, vive in Sicilia. E’ autrice di una raccolta di racconti (Il vento di scirocco e altri racconti, edito da L’Autore Libri Firenze) e di altre pubblicazioni. Le capita di firmarsi con lo pseudonimo Anna Robbe.
IL COMMENTO CRITICO
Il racconto si basa completamente sul senso dell’attesa e della sospensione.
Il protagonista, infatti, attende di dare finalmente un senso alla propria vita, che fino a quel momento si è rivelata vuota e deludente.
E proprio il desiderio e la volontà di riuscire nell’intento condurrà alla tragedia finale.
Nessuno per strada e negozi chiusi – Il testo malinconico, delicato e minimalista, dai palpiti pudichi e come frenati, coinvolge il lettore, che viene catturato dalla tristezza infinita che emerge sia dall’animo di Johnny, il protagonista appunto, ma anche da tutto ciò che lo circonda. Il paesaggio intorno, infatti, rappresenta la desolazione assoluta, quasi come se le sensazioni e le emozioni di Johnny si riversassero sull’ambiente circostante. Strade deserte, ombre, morte: tutto ci induce a pensare a qualcosa di anormale, invece si tratta della triste realtà. Una tormenta di neve che ha paralizzato una cittadina, rendendola inerme anche contro la ferocia del caso.
Il mistero dell’angelo – E’ proprio contro tale ferocia che si scaglia Johnny, e quel senso di attesa, al quale avevamo accennato all’inizio, potrebbe finalmente sciogliersi. E’ infatti arrivato il momento del riscatto, di guadagnarsi finalmente quel posto in paradiso che un’esistenza mediocre chiede come ricompensa. La nostalgia dell’angelo del titolo, infatti, altro non è che la speranza di un accadimento salvifico che dia un senso alla propria vita. Ma il destino è troppo forte da sconfiggere, così quell’angelo che rappresenta la salvezza si mostra davanti ai suoi occhi, ma scompare immediatamente, facendolo sprofondare in una tristezza senza fine che lo porterà alla decisione estrema, togliersi la vita.
Riferimenti a Selby jr. e Dürrenmatt – Inevitabile a questo punto il confronto con l’opera di Hubert Selby jr. Il canto della neve silenziosa (1986), una serie di racconti in cui i protagonisti, tutti dal nome Harry, attraversano momenti di smarrimento e di violenza. Mentre, però, per Johnny la Di Stasi stabilisce una fine tragica, Selby per i suoi protagonisti prevede un raggio di sole finale e quindi una speranza futura. Ancora, il senso dell’attesa tradita soltanto da un fato maligno ci riporta a La promessa (1958) di Friedrich Dürrenmatt e al suo commissario Matthäi, drammaticamente interpretato da Jack Nicholson nella trasposizione cinematografica di Sean Penn del 2001, che ha fatto seguito a quella del 1958 di Ladislao Vajda (Il mostro di Magendorf e a quella del 1996 di Rudolf van der Berg (La fredda luce del giorno).
L’immagine: particolare de I cacciatori nella neve (1565, Vienna, Kunsthistorische Museum) di Pieter Bruegel il Vecchio (Breda?, 1525/30 – Bruxelles, 1569).
Loretta Scipioni
(LucidaMente, anno III, n. 25, gennaio 2008)