Nel nuovo libro di Lucilio Santoni, “Cristiani e anarchici”, pubblicato da Infinito, si affronta un lungo percorso nella storia non ufficiale e si descrive la libertà di chi conduce la propria esistenza spogliandosi di ricchezza e potere
L’ultimo libro di Lucilio Santoni, Cristiani e anarchici. Viaggio millenario nella Storia tradita verso un futuro possibile (Con introduzioni di Filippo La Porta, Vito Mancuso, Maurizio Pallante, Davide Rondoni, Infinito Edizioni, pp. 144, € 12,00), è un luogo commovente che sfugge a qualsiasi tentativo di definizione logica, un luogo d’amore, spirituale, uno spazio metafisico al quale tendere, ma è anche una dimensione presente, un habitus incarnato nella prassi quotidiana di chi si fa ultimo fra gli ultimi, di chi si spoglia del suo «potere» violento nei confronti del prossimo, di chi rifiuta la razionalità competitiva dell’homo homini lupus.
Le pagine di questo saggio sono affollate di incontri felici, esperienze, sussurri e parole che «contendono al silenzio il coraggio di dire la miseria di stare al mondo. L’inquietudine dello spirito che ci fa vedere cosa ci rimane quando ormai non ci rimane più nulla». E d’altronde non deve rimanerci più nulla, perché il «qualcosa» che ci resta fra le mani è un «qualcosa» per il mondo, del quale si pretende avere piena ed esclusiva disponibilità. La proprietà, allora, è il vero male radicale, il cancro sociale del nostro tempo, la causa della violenza dispotica. In questo viaggio millenario nella storia tradita, Santoni ci mostra le esperienze di chi è indietro, degli ultimi, dei miti di cuore, dei poveri, degli emarginati: coloro che non hanno niente perché non vogliono avere niente. Si tratta della vita, del sangue e della carne di cristiani e di anarchici che orientano i sogni quotidiani altrove. Il Regno per il quale si resiste non è di questo mondo. Esso è retto da un árchon, da un capo, che il Vangelo di Giovanni identifica con Satana. Il cristianesimo è dunque anarchico – come ricorda Davide Rondoni nel proprio contributo – in quanto ha patroni in cielo e non padroni in terra.
«Ho osservato a lungo lo sguardo di chi ha avuto dentro la rivoluzione dell’utopia e della speranza», scrive l’autore. E aggiunge: «Gli uomini che mi stanno a cuore smontano ogni giorno la fretta del vivere; danno ampio spazio al respirare; sentono il dolore degli altri». Santoni sa scavare nell’intimità, sa toccare le corde profonde dell’anima, presentando storie straordinarie. Il suo è un interesse per l’individuo a tutto tondo, per le debolezze, le gioie, le ansie e le trepidazioni dei “puri”. E in questo rimanda al regista russo Andrej Tarkovskij, che scrive: «Mi interessano le vite delle persone che vivono con una logica diversa da quella comune, che lo facciano per fede, per follia o per i più diversi ideali possibili non mi importa». La chiave che consente di aprire le segrete del libro è allora qui messa in mostra: sovvertire il sistema dominante, oltrepassare il sentire collettivo, essere pazzi, ma liberi.
Si tratta di quella follia e libertà che accomuna i cristiani e gli anarchici destinati alla damnatio memoriae, a causa della loro fiducia incondizionata nell’uomo. Chi non si aspetta molto dai propri simili invoca lo Stato, la legge, la norma, la tradizione, le chiese trionfanti, i magisteri. Chi, al contrario, cerca disperatamente di dare un senso alla tragedia che chiamiamo “vita” si consegna all’“Altro”, gli si dona, e si immerge nel pelago intenso del presente che tutto avvolge e rinvigorisce. I cristiani e gli anarchici, tale l’idea di Santoni, dedicano la loro intera esistenza al più straordinario capolavoro della natura: l’essere umano. Operano nel medesimo contesto e fanno lo stesso sogno. Ha quindi ragione Maurizio Pallante quando scrive che «i teorici dell’anarchia si sono proposti di tradurre in prassi politica i principi etici formulati da Gesù». Pare proprio questo l’insegnamento principale che si può trarre dall’illuminante libro di Santoni. Che in verità è una perla poliedrica e smagliante. Una perla da osservare in continuazione e ripetutamente, perché ogni volta riflette una nuova luce, una luce scintillante che arriva da chissà dove.
Per la recensione di Lettere a Seneca, sempre di Lucilio Santoni, vedi: Un poetico, tormentoso impegno civile.
Alessandro Pertosa
(LucidaMente, anno IX, n. 108, dicembre 2014)