Il romanzo “La seconda volta che sono nata” (edito da Il Raggio verde) offre spunti di riflessione su aspetti fondamentali della vita: la violenza fisica e psicologica su una donna, gli effetti della sudditanza psicologica verso un genitore, la fede
La rinascita spirituale di un individuo avviene talvolta a seguito di eventi gravi e inaspettati. Almeno questo è ciò che è accaduto alla protagonista del libro La seconda volta che sono nata, di Valeria Coi (Il Raggio verde, pp. 162, € 15,00), opera prima della giornalista leccese. Leggendo il romanzo, ci si stupisce di come un carattere apparentemente debole si riveli invece combattivo, tanto quanto occorre per difendersi dagli altri e per scacciare definitivamente gli scheletri che da tempo aleggiano nella parte più intima dell’anima.
Marta è una donna alla quale la vita non ha risparmiato drammi, che invitano il lettore a riflettere su svariate tematiche esistenziali: la violenza fisica e, ancor più, psicologica di un uomo su una donna; l’aborto; la bulimia; l’annientamento del proprio essere per compiacere una madre abituata a porre le figlie in competizione; la capacità, spesso dagli stessi negata, di determinati individui di disprezzare e umiliare il partner. Ma anche sentimenti autentici quali la fede e l’amore, anche verso i figli. L’esistenza della donna è un turbinio di impulsi contrastanti, almeno fino al giorno in cui, inaspettatamente, il suo corpo decide – cosa che non era riuscita a fare la mente – di lanciare un segnale inequivocabile: meglio fermarsi che proseguire in questo modo. La patologia cerebrale scatenatasi in una Marta oramai quarantenne altro non è che l’esito di scelte, spesso sbagliate, da lei compiute fino a quel momento. Sbagliate semplicemente perché contronatura. Il lettore soffre insieme a lei, scorgendola mentre cerca di nascondere i segni di violenza sul volto, ascoltando le parole del sacerdote che, dopo averla unita in un matrimonio indissolubile, la supplica di lasciare quanto prima quello sposo così aggressivo, standole vicino in tanti altri episodi ancora.
L’autrice non fa mistero dell’aspetto autobiografico che ha desiderato attribuire al testo. Appartengono al suo essere alcuni gesti – come pregare stringendo il rosario nella sala d’attesa di un pronto soccorso, ma non soltanto – compiuti dalla protagonista. Come lei, infatti, la Coi ha dovuto fare i conti con una malattia che l’ha obbligata a rimodulare completamente le priorità della propria esistenza. E a rinascere una seconda volta, fisicamente ma, soprattutto, spiritualmente, eliminando dalla propria vita tutto ciò che le nuoce. Proprio come Marta.
La voce narrante utilizzata nel romanzo è in prima persona: non quella della protagonista, ma quella di Valeria, non casualmente omonima dell’autrice, entrata in empatia con Marta fin dal primo momento in cui la scorge seduta nell’atrio di un pronto soccorso, contorta tra dolore e speranza. La suspence del lettore è garantita fino all’ultima pagina del romanzo, grazie anche a un escamotage stilistico vincente: la titolazione dei singoli capitoli con una frase particolare scelta fra quelle che Marta regala a Valeria nella loro brevissima frequentazione; fino al giorno in cui, inaspettatamente, la prima uscirà dall’ospedale dileguandosi dalla vita di colei che era divenuta sua attenta auditrice. I personaggi appaiono ben delineati e distinti tra loro: a differenziarli contribuiscono anche i markers, ovvero caratteristiche fisiche o caratteriali che distinguono i componenti del cast. Fra tutti, spicca un atteggiamento nello sguardo e nel mento della protagonista che richiama l’indimenticata Diana Spencer.
Le immagini: la copertina del romanzo La seconda volta che sono nata e una foto dell’autrice Valeria Coi (già intervistata da LucidaMente).
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno XIV, n. 163, luglio 2019)