I due lati della medaglia del web, che stuzzicante spunto di discussione! Lo attiva con un suo libro uscito recentemente Derrick De Kerckhove, il sociologo canadese considerato erede di Marshall McLuhan. Tale testo, curato in collaborazione con Antonio Tursi, desta fin dal suo titolo – Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica dell’epoca delle reti (Apogeo, 2006, pp. XI-200, € 13,00) – un’inquietudine che risulta un poco attenuata solo da quel punto interrogativo finale.
Cosa è insomma internet (il tema di fondo è questo): una risorsa immensa di accrescimento e scambio di conoscenze fertili e ricche di fruttuosità positive oppure un’esplosione anarchica capace di creare forme di socializzazione anomale, abnormi, e come tali passibili di deteriorare e sostituire istituzioni sane?
Invenzione e scoperta – C’è una grande differenza fra “inventare” e “scoprire”. È un’invenzione, per essere chiari, la ruota, ed è una scoperta invece l’elettricità. La prima è infatti qualcosa che non era stata la natura a fornirci: fu al contrario il più geniale tra i manufatti dell’homo abilis e ne cambiò radicalmente il modo di vivere e la storia. La seconda invece esisteva da sempre e di suo, solo che noi umani, pure a quel punto già millenariamente civilizzati, non lo sapevamo ancora. Ci volle il caso e una lunga sperimentazione per arrivare dalla produzione di impulsi provenienti dai nervi sollecitati di una rana cavia (Luigi Galvani alla fine del Settecento) all’energia diffondibile con la pila di Alessandro Volta e scaturente invece (primissimi dell’Ottocento) dal contatto fra loro di metalli diversi. E lungo quello stesso secolo arrivarono a mettercene un po’ alla volta a disposizione la potenza e i risultati Faraday, Maxwell, Braun, Hertz, Marconi, e poi nel Novecento Turing. Così come, per fare un paragone appropriato, anche prima di Gütemberg, il quale trovò solo un nuovo modo di usarla, la stampa già esisteva ed era adoperata nel mondo da moltissimo tempo.
La rivoluzione silenziosa del pc – Anche il computer fu solo il nuovo modo d’impiego applicativo di una risorsa preesistente; e quindi, giustamente, adesso De Kerckhove fa in modo analogo risalire la rivoluzionaria svolta umana che stiamo odiernamente vivendo nel mondo della comunicazione (pari o potenzialmente anche maggiore a quella già conferita dalla ruota al mondo dei trasporti e alla meccanica) a quel primo comparire del fenomeno dell’elettricità. Se ogni cosa ha un principio, furono in effetti solo Galvani e Volta a permettere al futuro ciò di cui sono padroni oggi Bill Gates e Steve Job e da lì va dunque fatta partire la datazione d’èra. L’èra che neoepocalmente contiene – superando la modernità – sia i nuovi modi di cui l’umanità dispone per produrre energia attivante e motrice, sia i molti modi successivi, vari e sempre più rapidi, fino a raggiungere l’istantaneità, di far conseguentemente viaggiare messaggi. Da me a te o da una fonte a tutti. Il postmoderno è anche questo e potrà diventare soprattutto
questo.
Una mole di informazioni incontrollate – Ma cosa c’entra tutto ciò con la democrazia? Ha cominciato, ecco, a entrarci – vantaggiosamente – con la possibilità di disporre in tempo reale di tante più nozioni, accostando la gente ai problemi e i problemi alla gente. Sta cominciando a entrarci – pericolosamente – da quando, da poco tempo in qua, questa rete vettrice di impulsi elettromagnetici avvolge ormai l’intero pianeta in modo sfuggente a controlli efficaci e però insieme aggredibile in quanto soggetta a diversi tipi di manipolazioni ed anche intercettazioni. Ed è di questo che ci accingiamo a parlare. Il punto centrale è quello riguardante, in primo luogo, le conseguenze che tutto questo induce sulla società, e poi, in seconda battuta, la possibilità di individuarle e analizzarle anche nelle loro prospettive a breve e lungo termine futuribili. Infatti, l’evoluzione più evidente è una nuova alfabetizzazione, via via che le procedure telematiche d’uso vengono acquisite da una generalità intergenerazionale di utenti. Potenzialmente, cioè, disporremo tutti di una facoltà d’intreccio linguisticamente comunicativo onnidirezionale e andata/ritorno in tempo reale. Altra conseguenza di questo processo potrebbe essere la creazione di un mondo “parallelo” a quello ufficiale, in cui lo scambio e le aggregazioni non coinciderebbero più, in accezione culturale e politica, con le vigenze correnti, poiché questa nuova realtà potrebbe acquisire un peso maggiore e più influente di queste ultime. Una seconda, e futuribile, evoluzione potrebbe invece prevedere un ruolo dominante del sistema ufficiale delle istituzioni, dei gruppi politici e dei partiti anche su quest’area.
Web e comunicazione politica – Il luogo temporale di questo bivio è relativamente vicino e darà comunque modo al verificarsi di un mix: globalizzazione ormai universalmente metabolizzata di queste procedure mediatiche sul piano tecnologico; e conflittualità sociopolitica e culturale pragmaticamente spostata dalle sedi accentate oggi, e cioè da giornali, televisioni, piazze e parlamenti ai computer di casa, d’ufficio e portatili ormai fino alla tascabilità. Si crede che il web possa darsi come al servizio della scuola, e invece non è così perché esso le è, come già la televisione, assolutamente alternativo in quanto consente una ricerca, e dunque una tipologia di apprendimento, del tutto individuale. Si constata d’altra parte che i partiti politici questa importanza del web non l’abbiano ancora capita appieno e continuino in procedure tradizionali di opinion making sempre più teatralizzate. Ma è facile prevedere che a questo new medium così fascinosamente invasivo essi, toltosi il salame dagli occhi e venuti in allarme, daranno presto l’assalto. Non è naturalmente possibile profetizzare adesso quale sarà il quadro fra una decina d’anni o meno, quando la televisione digitale sarà anch’essa del tutto inquilina del web. Ma quel che si può dire con sufficiente certezza sin d’ora è che questa gara è già alla linea di partenza.
I rischi di un’evoluzione inarrestabile – La rivoluzione cominciata dai nervi crurali di un ranocchio nella seconda metà del XVIII secolo sta giungendo solo ora al suo acme, così come la ruota per raggiungerlo ebbe bisogno di farsi prima anche cardine poi vite poi ingranaggio poi elica e poi turbina, e i gütemberghiani caratteri mobili non ebbero pienezza d’effetti che dopo lo sviluppo della loro diffusibilità (reti postali prima e sistemi di teletrasmissione poi). E dovrebbe ora esser chiaro da tutto quanto scritto sin qui che ciò crea un rischio per la stessa democrazia come dapprima concepita (diretta), attualmente praticata (delegata), o già, come si può intravedere, desiderata (plebiscitaria). Il montante populismo si nutre di germi autoritari, e come non è più democrazia la divinizzazione imperante del “Mercato” con la “M” maiuscola, ancor meno lo sarebbe un’omologazione fattuale del mezzo in oggetto come tale, ancorché libertario e dunque democratico in sé, ma contenente sia un plenum delle esternazioni individuali d’ogni qualità e livello (motore dialogico più importante i blog, comparto vastissimo ma in parte creativo e in parte velleitario), sia la tutt’altro che irreale irruzione dall’alto in esso dei cosiddetti “poteri forti” di connotazione politica. I gestori del web fanno soprattutto business, ma quelli della politica stanno rapidamente confondendo la “rappresentanza” con il “potere”. E dunque la partita – chi sarà a dare il calcio d’inizio su questo nuovo terreno di gioco? – va considerata completamente aperta e ci consiglia di tenerci forte.
Un dibattito aperto – Sfere di cristallo infatti non le ha nessuno: queste sì che non sono né scopribili né inventabili; sono solo attrezzi di fiaba e di leggenda. E intanto occorrerà vedere essenzialmente questo: se il convergere nel web di molteplici voci potrà liberamente produrre un flusso di opinioni feconde in altre direzioni, ma sempre più lontano dai partiti e dai momenti elettorali, che sommerga gli schemi esterni e determini indirizzi e trend al momento impensabili; o se sarà l’establishment esterno a tuffarsi in modo vincente nel web con unghie e denti per dominarlo e farsene strumento al solo scopo di continuare a regolarsi esattamente come prima, dettando ad esso regole e censure e restando così il detentore titolare erga omnes dell’ultima parola in ogni campo. Se il primo caso unisce curiosità di nuovi orizzonti a qualche non lieve preoccupazione di rapporto fra reale e virtuale, il secondo spaventa invece decisamente abbastanza e crea soltanto sensi di rigetto. Diciamo che si tratta ancora di pensiero in fieri, ma un dibattito in merito potrebbe essere oggi come oggi senz’altro fra i più interessanti (e utili) da condurre.
L’immagine: la copertina del libro di De Kerckhove e Tursi.
Etrio Fidora
(LucidaMente, anno I, n. 9, settembre 2006)