Il nostro tempo sta mostrando evidenti segni di rivisitazione dell’antico. Le recite di noti poemi del tempo passato, delle opere scelte di filosofi, storici e artisti ritenuti maestri di conoscenza, hanno già riempito spazi aperti e chiusi, chiese, piazze, musei, attirando folle, non solo di giovanissimi, ma di persone di varia età, desiderose d’ascoltare i messaggi per confrontarsi e riflettere.
Si tratta evidentemente di un fenomeno destinato ad ampliarsi, a giudicare dall’interesse verso quei valori che l’attuale società sta cercando di recuperare.
Un frammento interessante ma costoso – Nell’ambito di questo, forse oscuro, sentimento di revival s’è aperta una disputa molto interessante che non ha coinvolto solo l’interpretazione d’un testo antico, ma ha determinato un severo giudizio per chi è chiamato a curare i beni culturali e a disporre di essi, dato che rappresentano non solo un grande e ben stimato patrimonio, ma sono il campus dentro cui s’inseriscono studi e itinerari di approfondimento. La questione, che è esplosa nel 2006 ed è proseguita nel 2007 con punte abbastanza polemiche, risale a qualche tempo fa, quando è stato acquistato presso un antiquario – per la bella somma di 2.750.000 euro – dalla Fondazione per l’arte della Compagnia di San Paolo, su sollecitazione del Ministero dei Beni culturali, un “frammento su papiro del II libro della Geografia di Artemidoro di Efeso”, geografo del I sec. a.C., successivamente esposto in mostra nel palazzo Bricherasio di Torino e destinato a divenire itinerante.
Storia di un singolare papiro – Fin qui tutto regolare, anche perché il reperto – eccezionalmente lungo, ben due metri e mezzo, e alto 32,5 centimetri, con 5 colonne di testo greco, disegni anatomici del corpo umano e una mappa geografica sul recto, una quarantina di figure di animali sul verso – è stato confermato come autentico da una commissione di valenti e noti studiosi di antichistica. Il suo eterogeneo miscuglio di parole greche e di immagini è stato spiegato, durante la presentazione al pubblico torinese, come la sintesi d’una sua storia che ha visto tre tempi. Il primo quando, nel I sec. a.C., fu commissionata a un copista un’edizione del secondo libro della Geografia di Artemidoro, che fu abbandonata, allorché ci si accorse d’un errore nella mappa che l’accompagnava: riproduceva la Betica, invece della penisola iberica. Il secondo si registrò quando nel papiro fu inserito un catalogo di animali veri e immaginari da mostrare ai clienti della bottega artigianale nella quale era capitato. Il terzo tempo, infine, risalente al I sec. d.C., vide l’inserimento di disegni anatomici negli spazi vuoti del recto, spiegati dagli esperti come esercizi di apprendisti.
Le obiezioni di Luciano Canfora – Sui numeri 64 e 65 dei Quaderni di storia (Dedalo) e successivamente dalle pagine di importanti giornali nazionali, soprattutto il Corriere della Sera, Luciano Canfora, filologo e storico dell’Università di Bari, ha sostenuto a più riprese la tesi della falsità del reperto. Il falsario potrebbe essere il greco Costantino Simonidis, dottore in teologia e papirologo, vissuto intorno alla metà dell’Ottocento, che è stato autore di molti altri rifacimenti. Le prove verrebbero dal fatto che nel papiro si usano frasi e parole adoperate in testi scritti più tardi, dall’analisi della grafia giudicata controversa rispetto alla datazione del reperto, dall’anomalia di espressioni grammaticali e sintattiche improprie per l’età classica e infine dalla mancanza di tracce di gesso – se è vero, come asserito dall’antiquario, che il papiro proveniva dal cartonnage che avvolgeva la maschera d’una mummia (a parte le sue voluminose dimensioni che mal si conciliano con lo spazio della maschera).
La conclusione del “giallo” – Ora, dopo mesi di diatribe e la sospensione del giudizio definitivo, dal risultato di successive analisi si apprende che la tesi di Canfora è stata confermata ed avvalorata da papirologi e filologi di tutto il mondo. Ne dà notizia in tal senso il n. 66 (luglio-dicembre 2007) di Quaderni di Storia (da poco edito per Dedalo), che chiude così la questione. Le convalide sono venute sia per via teorica che scientifica. Lo studio della lingua ha rivelato che questa, per le numerose sviste sintattiche, non è attribuibile ad Artemidoro, che è considerato un purista molto attento, ma a un falsario moderno. E’ stato inoltre accertato che nella quarta colonna del papiro è riportato un brano di Stefano Bizantino, ritoccato, secondo un’edizione moderna, quella di August Meinecke, ben conosciuta nell’Ottocento. Ancora una citazione di Marciano di Eraclea, vissuto seicento anni dopo Artemidoro, verrebbe a testimoniare ulteriormente il plagio. A tutto questo va aggiunta l’analisi dell’inchiostro, eseguita nel laboratorio dell’Istituto di Chimica dell’Università di Brescia, che non ha escluso la presenza di grafite, sostanza impiegata solo alla fine del Medioevo.
La vitalità della cultura classica – Questa curiosa vicenda, che ha tenuta desta per tanto tempo l’attenzione pubblica, giunge così al suo epilogo e, a prescindere dagli effetti pratici che sicuramente avrà sul mercato dell’arte per il futuro, si presta ad alcune considerazioni. Mi sembra che stia soprattutto a testimoniare la vitalità della cultura classica che s’impone ancor oggi all’attenzione per lo straordinario interesse e concorso di pubblico, forse perché, in un’epoca di confusione come la nostra, si ha voglia di valori immutabili. Infatti l’antico e il moderno, che apparentemente sembrano contrapporsi, in realtà interagiscono continuamente l’un nell’altro e rappresentano due categorie della storia umana contigue: il culto della bellezza e la forza della logica, l’amore per la verità e il gioco della falsificazione, il perseguimento dell’etica e il suo costante superamento, la voluttà dell’ostentazione e la tendenza al rispetto dell’identità propria e altrui.
Perplessità ed entusiasmi – Il dubbio tuttavia attraverserà come una corrente elettrica le menti dei lettori e dei visitatori dei musei al pensiero che tutto può divenire precario e difficile se non intervengono attenzione, intelligenza e misura, se a farla franca sono i venditori di fumo e soprattutto se non si applica una più trasparente politica nell’amministrazione dei beni culturali così preziosa per la nostra economia. Intanto, però, ci auguriamo che quest’insolita, rinnovata stagione di confronti e di ricerche, di affermazioni e di contraddizioni possa rinnovare gli entusiasmi per le scoperte culturali, che di per sé sono una sfida all’indifferenza o alla noia quotidiana, uno stimolo all’intelligenza e un’aggiunta di integrazioni opportune alla storia dei costumi umani.
L’immagine: un’immagine del “papiro di Artemidoro”.
Gaetanina Sicari Ruffo
(LucidaMente, anno II, n. 24, dicembre 2007)