L’associazione Meg spiega perché è necessaria una Medicina di Genere
La Medicina di Genere è lo studio delle differenze legate al genere, non solo da un punto di vista anatomico e fisiologico, ma anche delle differenze biologiche, funzionali, psicologiche, sociali e culturali. Si occupa delle differenze che i due generi presentano rispetto alla malattia.
Differenze uomo-donna in Medicina
Ovvero, un uomo e una donna possono avere la stessa patologia, ma questa si può manifestare con tratti patologici, clinici, prognostici e terapeutici diversi; così come un farmaco somministrato a una donna può dare effetti terapeutici e collaterali diversi rispetto ad un uomo.
Questo concetto di diversità tra uomo e donna è recente. Infatti, la maggior parte delle ricerche e sperimentazioni che stanno alla base della medicina sono state condotte sull’uomo (giovane, adulto, maschio, bianco, di 70 kg di peso), traslandone i risultati alla donna.
Si tratta di capire che dobbiamo curare in modo differente gli uomini e le donne senza attribuire in modo stereotipato patologie solo all’uno o all’altro sesso. Per esempio, è opinione diffusa che l’osteoporosi sia prevalentemente un problema femminile. In realtà, oltre venti fratture vertebrali su cento e un terzo circa delle fratture al femore riguardano i maschi, con aumento della morbilità e della mortalità esattamente come per le donne. D’altro lato, l’infarto è attribuito principalmente agli uomini, mentre ogni anno in Italia si registrano 30mila decessi per infarto tra le donne (a fronte di 11mila morti per tumore al seno).
Sesso e genere
Per comprendere gli obiettivi e i presupposti della Medicina di Genere, dobbiamo anzitutto specificare i due concetti di sesso e genere. Il sesso è ciò che è dato dalle caratteristiche biologiche; il genere è un riferimento sociale, di comportamenti, di attività, di attributi che una società considera specifici per gli uomini e per le donne. Essere biologicamente maschi o femmine non significa essere automaticamente considerati uomini o donne.
Un concetto interessante: maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa. Mentre il sesso è un carattere connesso alla biologia, il genere appartiene alla categoria simbolica delle rappresentazioni sociali. Queste sono quindi il risultato di una serie di interazioni rituali localizzate e organizzate, nel tempo e nello spazio. Da ciò derivano gli stereotipi, semplificazioni della realtà, che vengono nutrite, in modo socialmente condiviso, nei confronti di un determinato gruppo o categoria sociale.
Mediante la fissità che lo stereotipo veicola, vengono assegnate socialmente ai due sessi caratteristiche e attitudini diverse. Sesso e genere non sono due dimensioni contrapposte, ma piuttosto interdipendenti, che determinano il comportamento psicologico e culturale dell’individuo anche in base alla sua formazione etnica, educativa, sociale e religiosa; questa relazione varia secondo l’epoca e la cultura. Mentre il sesso è un carattere determinato, il genere è un carattere appreso e non innato.
Malattia come squilibrio
Già circa nel 430 a.C. Ippocrate sosteneva che: «Per un essere umano è naturale star bene. Per evitare uno squilibrio fisico o dell’anima, l’uomo deve cercare di conservare l’armonia sia del proprio corpo, sia del proprio modo di vivere».
Al benessere si contrappone il disagio, inteso come alterazione dell’equilibrio delle dimensioni fisiche, sociali, psichiche, emotive, relazionali e spirituali, interdipendenti tra loro. Il disagio non risolto nel tempo può condurre alla malattia.
Nella nostra società coesistono due rappresentazioni della salute cui aderiscono diversi atteggiamenti delle persone e che procurano risposte diverse riguardanti la prevenzione e le percezioni del rischio.
Se l’appartenenza al sesso femminile o maschile influenza la salute e la sua percezione, i decisori delle politiche di prevenzione, i medici, gli operatori sanitari, i ricercatori, le aziende farmaceutiche, devono considerare queste differenze per realizzare davvero i propri obiettivi di miglioramento del benessere dell’intera popolazione e per garantire equità in sanità.
Come nasce la medicina di genere
Si incomincia a parlare di medicina di genere in un articolo pubblicato nel 1991 sul New England Journal of Medicine dal medico Bernardine Healy, direttrice del Nih (National Institutes of Health), in cui accusava i colleghi di non considerare sufficientemente la patologia cardiovascolare nella donna limitandosi ad adattare i risultati e le cure dal corpo maschile a quello femminile, mentre occorrevano strategie diagnostiche e terapeutiche differenziate.
Dall’inizio degli anni novanta a oggi, la medicina non si è però molto evoluta dalla medicina uomocentrata, con la donna considerata un “piccolo uomo” e da quella “bikini view”, intesa come la medicina delle donne nella sua specificità ginecologico-riproduttiva.
Nel 2000 l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la Medicina di Genere nell’Equity Act, evidenziando una sostanziale misconoscenza e sottovalutazione della diversità femminile; così come sempre l’Oms ha ribadito inoltre che, sebbene il consumo dei farmaci sia percentualmente più elevato da parte delle donne rispetto a quello degli uomini, le ricerche farmacologiche vanno a discapito delle donne
Donne e lavoro
Per quanto il tasso di occupazione femminile in Italia resti uno dei più bassi dell’Unione europea (nel 2015 il tasso di occupazione degli uomini nell’Ue a 28 era del 75 %, mentre quello delle donne era del 63,5 %) e in Italia il tasso di occupazione femminile sia il 47,3%, (contro il 63,5% della media Ue), oggi le lavoratrici sono 9,4 milioni rispetto a vent’anni fa, quando lavoravano 7,6 milioni di donne. L’allargamento delle professioni al genere femminile non è stato accompagnato da un adeguamento della distribuzione e organizzazione del lavoro, ancora prevalentemente basato su standard maschili, con ancora minori livelli occupazionali, minor accesso e controllo sulle risorse, minor presenza nei luoghi decisionali e maggiore rischio rispetto a disturbi correlati all’ansia e allo stress.
Sebbene il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, Decreto legge 81 del 2008, espliciti chiaramente che la valutazione dei rischi e le azioni preventive debbano tener in considerazione fattori connessi alle differenze di genere, oltre che all’età, alla provenienza da altri Paesi e alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro, sino ad oggi le condizioni e le caratteristiche di lavoro sono state considerate quasi esclusivamente dal punto di vista del lavoratore maschio e per le donne si è attenti solo al periodo della gravidanza e ai rischi per il nascituro.
E soprattutto non viene valutato il maggior rischio psicosociale delle donne dato dal doppio carico di lavoro, in quanto le donne italiane sono le principali referenti e responsabili del lavoro domestico e di cura: secondo Eurostat dedicano alle responsabilità familiari più tempo di tutte le altre donne europee, ben 5 ore e 20 minuti al giorno, ovvero 3 ore e 45 minuti più degli uomini.
Non ultimo il ruolo di caregiver, socialmente attribuito alla donna, che impedisce o riduce la possibilità di svolgere una regolare attività fisica, uno dei cardini della prevenzione dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari.
Altro dato che influisce sulla salute e l’accesso alle cure è la maggiore vulnerabilità in termini economici delle donne, derivante da molti fattori fra i quali i maggiori tassi di disoccupazione, l’inattività, le retribuzioni e le pensioni più basse rispetto agli uomini.
Fino ad oggi in Italia le donne hanno un’aspettativa di vita di 84 anni contro gli 80 anni degli uomini, ma si ammalano di più: l’8,3% delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute contro il 5,3% degli uomini.
Le prospettive
Oggi sta maturando una nuova sensibilità verso la Medicina di Genere. Continuano a pervenire indicazioni da parte dell’Oms, e in Italia, oltre alle pressioni da parte dell’Istituto superiore di Sanità e dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), presso la Camera dei Deputati è stata presentata una proposta di legge su Disposizioni per favorire l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere.
Promuovere una cultura della medicina di genere, una sensibilizzazione della popolazione, è molto importante per la Sanità pubblica non solo in termini di tutela dei cittadini: un intervento terapeutico più mirato al genere è fondamentale anche per la compatibilità economica della spesa sanitaria di un Paese.
La Medicina di Genere è una scienza multidisciplinare e gli obiettivi che dovranno essere perseguiti per il futuro sono:
a) assumere la Medicina di Genere come un determinante della salute per giungere a garantire ad ogni individuo, maschio o femmina, l’appropriatezza della cura;
b) predisporre dei programmi di politica sanitaria in termini di genere, nonché la formazione e l’aggiornamento del personale medico e sanitario;
c) sostenere azioni di promozione della salute e di prevenzione e screening in un’ottica di genere con interventi di educazione rivolti a tutte le fasce d’età affinché si adotti un sano stile di vita;
d) garantire che l’accesso alla cura, la scelta terapeutica e l’impatto farmacologico siano predisposti considerando la rilevanza dei fattori di rischio nei due generi.
Patrizia Stefani e Oriana Zuppiroli – Direttivo dell’Associazione Meg (Medicina europea di genere) di Bologna
(Lucidamente, anno XI, n. 127, luglio 2016)