Intervista all’autrice de “La seconda volta che sono nata” (Il Raggio Verde). Le presentazioni in giro per l’Italia toccheranno anche la città felsinea, all’interno della rassegna “Il Maggio di Marylou”, organizzata dall’Aics
Appuntamento con la letteratura a Bologna, lunedì 27 maggio, alle ore 18, per la presentazione del libro La seconda volta che sono nata di Valeria Coi, edito da Il Raggio Verde. L’evento, curato dall’Associazione culturale LucidaMente, si terrà presso i giardini del Baraccano, in via Santo Stefano 119/2, e si inserisce nella rassegna letteraria tutta al femminile, Il Maggio di Marylou, che, sotto la regia del Circolo Aics provinciale di Bologna, ha raggiunto ormai la sua quarta edizione. Introdurrà la presidente del Quartiere Santo Stefano, Rosa Maria Amorevole. Dialogheranno con l’autrice l’avvocato Francesca Lamazza e la scrittrice Emanuela Susmel. A moderare sarà chi sta scrivendo questo articolo.
Poco più di quarant’anni, la Coi, e tantissime esperienze lavorative e di vita. Affermata giornalista di importanti emittenti locali del Salento, terra di origine e nella cui Università si laurea in Pedagogia. Mamma di due figli, Marcello Emanuele e Edoardo Karol. Ideatrice e conduttrice di programmi tv di tendenza, curatrice di eventi culturali, presentatrice. Già corrispondente per il quotidiano nazionale il Meridiano di Foggia e vicecaporedattrice della redazione sportiva di Telerama. Attualmente segue il calcio per emittenti regionali, da cui ci racconta con professionalità ed entusiasmo le gesta del suo amato Lecce calcio, appena tornato in serie A. Agli albori della sua carriera c’è anche una collaborazione con un’emittente radio della città salentina, Radio Rama, dove impara ad affinare l’uso della parola, con scrupoloso rispetto di pause, dizione e pronuncia, che fanno di lei un’infaticabile parlatrice. In attesa di vederla nel capoluogo emiliano, abbiamo pensato di rivolgere alcune domande alla scrittrice, per conoscerla meglio e per trarre qualche spunto per eventuali curiosità, chiarimenti o aneddoti da approfondire direttamente, quando la incontreremo alla presentazione.
Valeria Coi, dunque, per essere il tuo primo romanzo, diciamo che c’è stata una partenza col botto. Te l’aspettavi?
«La prima presentazione, durante la quale – devo confessare – ero tesissima, è stata un’esplosione di emozioni. Era una press presentation ed ero circondata dia miei colleghi e colleghe; mi hanno trasmesso un affetto e una stima che non credevo di meritare. Successivamente, ho fatto la prima presentazione al pubblico nel mio paese di origine, Salve, in provincia di Lecce, e lì sono stata inondata dal calore dei miei concittadini. A quel punto avevo messo in conto che le successive presentazioni non sarebbero state così “sentite”. Mi sbagliavo. Ne ho fatta una a Martano, sempre in provincia di Lecce, e non era cambiato nulla. Molta gente aspettava “Marta”, voleva che io dessi voce a questo personaggio così fragile e al contempo forte, a questa donna in cui molte donne si riconoscono e nella quale molti uomini riconoscono le loro donne. Naturalmente non può che farmi piacere. L’incontro con i lettori è di certo il momento più entusiasmante di chi scrive un libro; poterli conoscere trasmette un’emozione indescrivibile. Quando vedo i loro volti, immagino ognuno di loro davanti alle pagine del romanzo e, di colpo, poiché hanno conosciuto bene Marta, diventano amici miei, parte del mio percorso, tasselli di questo viaggio. Ora ci sono diverse date in programma: una a Brindisi, domani, venerdì 17; poi a Bologna, e a Roma, il 29 maggio. Ritornerò nel Salento subito dopo, perché il 31 saremo ad Alliste (Lecce), il 7 giugno torneremo a Lecce presso la Mondadori, il 14 a San Donato Salentino. Insomma, le richieste di incontri e presentazioni sono tante e, devo essere sincera, non credevo di avere un simile riscontro».
Diciamo che il tuo lato “pubblico” è abbastanza marcato. Scrivere un romanzo, con venature autobiografiche, invece, è qualcosa di personale, di privato. Che cosa è stato a farti scattare questa molla?
«Il romanzo nasce da una consapevolezza che ho acquisito in un modo piuttosto violento a causa di un problema di salute. Mentre attendevo il referto di una tac cerebrale, di colpo ho avuto consapevolezza che tutto può finire in un istante e che cose come andare al mare, preparare il sugo della domenica, le candeline di un compleanno, i compiti insieme ai figli, le loro poesie di Natale recitate in piedi sulla sedia, i giri sulle giostre, le risate con gli amici… erano tutte cose che avevo dato per scontate e che già mi mancavano tremendamente. Così ho pensato a quanto tempo perdiamo dietro a situazioni che non migliorano la nostra vita, che ci angosciano, che ci indeboliscono. Ho ricordato quante volte mi sono messa da parte per far contenti gli altri e ho di colpo capito che non serviva, anzi… Perché quando abbiamo paura di morire siamo soli, spaventosamente soli. Ci possono essere attorno mille persone che ti consolano, ma restiamo soli, perché la consapevolezza che ce ne andiamo ce l’abbiamo solo noi, perché siamo noi gli unici ad andarcene. È una sensazione che non si può descrivere; ho cercato di farlo molte volte in queste settimane a chi mi ha posto questa domanda, tuttavia sono certa di non esserci riuscita, poiché è davvero indefinibile. Così da questo atterrimento è sorta una serie di pensieri, ricordi, immagini. Ed è così che è nato il romanzo; praticamente ho cominciato a scriverlo dalla fine e mi è venuto in mente questo personaggio, Marta, una donna molto particolare, con una storia come quelle di molte donne. E ho toccato diversi argomenti».
Marta, personaggio forte, tenace, ma anche molto fragile e delicato. Rappresenta uno stridente contrasto, che è il tratto tipico della femminilità e della sua stessa natura. Si aggrappa alla fede per affrontare le alterne vicissitudini della sua vita o è la fede che le dà la forza per superarle?
«La fede la tranquillizza; lei in realtà le si abbandona, quando si rende conto che le è stato chiesto davvero tanto, si ferma e, poiché non ha margini di azione per alcune cose che le accadono, decide di pregare per rasserenarsi. Quando prega, Marta sente di non essere sola; in realtà, è una donna molto, molto sola, perché, anche se sempre circondata da persone, quasi nessuno conosce la sua storia. E poi lei non è un tipo che ama piangersi addosso, preferisce mostrarsi sempre con il sorriso. La preghiera è per lei un rifugio, il posto dove può mostrare il suo lato debole e sentirsi davvero se stessa; il momento in cui sente di poter chiedere aiuto a chi la conosce perfettamente».
E l’Amore, questa chimera…?
«No, non è affatto una chimera per Marta; lei l’amore lo conosce davvero e anche molto presto, solo che commette l’errore di avere paura di essere lasciata o forse di essere amata. E con Gregorio, che nel libro ha strategicamente un ruolo marginale, commette degli errori che paga tutti duramente nel prosieguo della sua vita. Del marito non credo sia mai stata innamorata. Di Alberto sì! Ma in realtà quello era solo un riflesso (errato) della persona che lui mostrava di essere, perché poi Marta scopre di amare un uomo del quale, se avesse conosciuto subito per quello che era, non si sarebbe mai innamorata. Marta, per il passato che aveva avuto, non si sarebbe mai innamorata di una persona poco seria».
L’infelicità, quindi, ce la creiamo noi, o si può sconfiggere e vivere con la consapevolezza che la vita è un evento straordinario che ci capita una sola volta?
«Tutto ciò che ci serve per essere felici è dentro di noi. Sono consapevole che questa è un’affermazione forte e che qualcuno, leggendo questa intervista potrebbe pensare che dico delle sciocchezze. Eppure, sono sicura che siamo noi i fabbri della nostra felicità e questo non perché dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo (che è già tanto, perché la vita è un dono meraviglioso, unico e irripetibile), ma perché dobbiamo sempre e ogni giorno credere in noi, nella nostra forze e nel nostro amore. Perché l’amore non è solo quello per una donna o un uomo, o per un figlio, o per noi stessi, l’amore è amore per la vita e per tutte le possibilità che ci dà di emozionarci ed emozionare, di toglierci il fiato e di farci sognare, di farci tremare e piangere, a volte disperare. Credo che solo chi ha sofferto molto possa raggiungere questo tipo di consapevolezza sulla felicità. Non dico che sia facile; è un lavoro impegnativo e a tratti duro su se stessi, ma poi il traguardo che si raggiunge è completo e totale, fino a rendere la tua vita inaccessibile a chi non la rispetta come la rispetti tu. Perché sai, tornando a Marta e alla fede, la vita non è nostra, è un dono che noi dobbiamo onorare ogni giorno; buttarsi via significa non collaborare che chi ce l’ha data. Siamo qui per un motivo e non siamo nati per soffrire».
Altri progetti in cantiere?
«Per il momento sono così impegnata… Vi ricordo che i miei veri datori di lavoro sono i miei figli, soprattutto il piccolo che è un vero e proprio “capo” molto esigente! Anche perché, a parte la trasmissione dedicata all’enogastronomia e lo sport che seguo per altre emittenti e testate web, il libro mi assorbe moltissimo – e ne sono felice – perché è il mio terzo figlio (ride). Certo è che le giornate non hanno una durata illimitata, anche se le mie durano dalle 18 alle 20 ore, solo che a un certo punto tocca fermarsi, almeno qualche ora».
Grazie, Valeria! Ti lascio riposare e… non ci resta che vederci all’appuntamento fissato e continuare a dialogare insieme a tutti i nostri amici che saranno presenti, lunedì 27 alle 18 nel giardino del Baraccano.
Le immagini: Valeria Coi e il suo libro; le locandine de Il Maggio di Marylou.
Nicola Marzo
(LucidaMente, anno XIV, n. 161, maggio 2019)