Alla scoperta di un paese violento e disperato e della storia di Gisela Mota, sindaco martire
In Messico esiste un’attività che non sembra conoscere crisi ed è quella legata al narcotraffico. Quanto questo mercato sia redditizio ce lo dicono i dati. Secondo il Dipartimento di Stato americano, i narcotrafficanti messicani controllano circa il 70% delle sostanze stupefacenti che entrano negli Stati Uniti. Nel 2009, il capo di uno dei più potenti cartelli messicani, Joaquín Guzmán, meglio noto come “El Chapo”, è stato inserito dalla rivista americana Forbes nella lista delle persone più ricche del mondo, con un patrimonio stimabile attorno al miliardo di dollari. Guzmán, dopo una rocambolesca fuga dal carcere dov’era detenuto, è stato nuovamente arrestato l’8 gennaio scorso, ma sono tanti i boss pronti a prendere il suo posto.
In un’inarrestabile escalation di violenza, i narcotrafficanti in pochi anni sono riusciti ad assoggettare al loro dominio ampie zone del Paese. Le loro armi sono la violenza indiscriminata e la complicità di ampie fasce delle forze dell’ordine. Dal 2006 lo Stato messicano ha intrapreso una guerra senza quartiere al narcotraffico, ma i risultati sono deludenti e la violenza continua tutt’oggi a regnare sovrana nel Paese. L’ufficio del procuratore generale messicano ha recentemente affermato che nove vittime di omicidio su dieci sono persone riconducibili al crimine organizzato, mentre i morti tra il personale militare e di polizia raggiungono circa il 7% del totale. Un altro grave problema è rappresentato dal grande fascino attrattivo esercitato dal narcotraffico su un’intera generazione di adolescenti. Un bacino di milioni di giovani che non studiano né lavorano e dal quale i narcos possono attingere nuove reclute. Stando a uno studio pubblicato dall’Unicef (The rights of children and adolescent in Mexico), sono oltre 1.200 i minorenni morti per cause direttamente legate al narcotraffico.
Pochi si oppongono, molti scappano. Gisela Mota Ocampo è fra coloro che hanno deciso di restare e di combattere questo regime di paura. Gisela, 33 anni, candidata del Partito della rivoluzione democratica (Prd), una coalizione di centro-sinistra, era stata eletta sindaco di Temixco, cittadina industriale di 90mila abitanti straziata dalla criminalità organizzata. Durante la campagna elettorale Gisela si era distinta proprio per una decisa lotta al narcotraffico. Un impegno che le è costato la vita. Il 2 gennaio scorso, il giorno successivo al suo insediamento, un commando di sicari si è presentato davanti alla sua abitazione e, dopo averla freddata, ha ingaggiato un conflitto a fuoco con la polizia. La sparatoria è terminata con l’uccisione di due fra gli aggressori e con l’arresto di altri tre (una donna di 32 anni e due giovani poco più che adolescenti).
“Ni un día”, nemmeno un giorno. Questo è quanto i narcos hanno concesso di governare a chi si oppone ai loro interessi. È un omicidio che scuote le coscienze più nel Vecchio continente che in Messico, dove ormai sono molti i tragici precedenti. Secondo il Pdr, sono quasi cento i sindaci messicani uccisi dai narcos nell’ultimo decennio, ai quali si aggiungono, nello stesso arco di tempo, gli oltre ottanta omicidi di giornalisti, rei di aver divulgato notizie relative ai narcotrafficanti. Dietro l’assassinio di Gisela ci sarebbe il potente cartello dei Guerreros Unidos, gli stessi che, nel settembre 2014, hanno ucciso 43 studenti nella vicina città di Iguala. Studenti desaparecidos perché con la loro manifestazione avrebbero disturbato il comizio della moglie del sindaco di Iguala, nonché sorella di due boss del narcotraffico. Tre sicari accusati della strage avrebbero confessato di aver ricevuto in consegna i 43 ragazzi da agenti corrotti della polizia e, su ordine del sindaco di Iguala, di averli bruciati vivi in una discarica.
Questo è il Messico. Un Paese dove la corruzione è imperante. Dove tutto è lecito. Dove i soldi e la violenza sono i capisaldi della società. Dove per i giovani, al di fuori del narcotraffico, non c’è futuro. Dove i narcos hanno creato un regime di paura concorrenziale e parallelo rispetto allo Stato. Dove l’esempio di persone come Gisela deve essere tenuto a mente, per potersi risollevare e per non rendere vano il loro sacrificio.
Le immagini: cartellone relativo ai Guerreros Unidos; Gisela Mota il giorno del suo insediamento.
Gabriele Bonfiglioli
(LucidaMente, anno XI, n. 122, febbraio 2016)