Compie 35 anni il primo libro di Pierre Michon sull’eccellenza dell’essere “semplicemente” umani. Perché è ancora (troppo) poco noto e perché meriterebbe di esserlo
Un’autobiografia composta di biografie, i cui vuoti sono riempiti dalla voce dello scrittore: nel 1984 faceva la sua comparsa nelle librerie francesi Vite minuscole, libro di esordio dello scrittore Pierre Michon, consegnato alla nostra lettura soltanto tre anni fa grazie alla splendida traduzione di Leopoldo Carra (Adelphi, Milano 2016, pp. 204, € 18,00).
Poco noto in Italia, Michon è considerato oltralpe uno dei maggiori scrittori viventi, nonché uno dei pochi eredi della superba letteratura francese. La sua fama è inversamente proporzionale ai suoi scritti, che vengono pubblicati a distanza di anni l’uno dall’altro. Ma come dice Michon, «Le roi vient quand il veut»: il re, alias la letteratura, non si può forzare. Cosa che forse si potrebbe fare – o tentare almeno – con le traduzioni, visto che di una dozzina di opere possiamo leggerne in italiano soltanto quattro. E se una spiegazione può essere rintracciata nell’inceppamento dei rapporti italo-francesi dal punto di vista della ricezione editoriale, anche il periodare ampio e complesso è spesso un ostacolo alla traduzione – basti pensare che “barocca” è l’appellativo più usato dalla critica verso la lingua dello scrittore. L’esordio dell’autore limosino non è sicuramente una lettura da spiaggia, ed è anche controcorrente rispetto a un clima come quello odierno, incline alla frenetica produzione di biopic (come testimonia il bolognese Biografilm festival) su personaggi famosi.
Il libro parla, infatti, delle vite di otto personaggi assolutamente sconosciuti e quasi evanescenti, di cui lo stesso Michon non conosce che pochi tratti: è la sua immaginazione a riempire quei vuoti altrimenti destinati a seppellirli per sempre. E quando l’interesse “voyeuristico” viene meno, il modo per coinvolgere l’interesse del lettore è una lingua plastica e immaginativa, che crea veri e propri dipinti letterari (non a caso il riferimento all’arte è una costante nell’opera dello scrittore francese).
Ma chi sono e cosa hanno in comune André Duforneau, Clara e Eugène, Claudette, i fratelli Bakroot? Tutti, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte della vita di Michon: nonni, compagni di scuola, la ex fidanzata, la sorellina. In loro, però, lo scrittore non cerca un modello, come era solita fare l’antica tradizione delle “Vite” a cui spesso lo si riconduce. Non si tratta di soggetti “vincenti”, ma rappresentanti piuttosto di una serie di fallimenti, quasi delle esistenze mancate: da André che avrebbe potuto essergli “nonno” ma non lo fu, perché tentò la fortuna in Africa e vi rimase, alla sorellina morta precocemente passando per il muto Foucault, il contadino Peluchet che immagina una vita in America per il figlio scomparso, i nonni paterni che devono affrontare l’assenza del figlio (padre di Michon) e la ex fidanzata che fugge da lui e dai suoi problemi. Assenze e fughe che non cancellano l’affetto e la stima dello scrittore per queste figure. La letteratura, in questo senso, può essere ciò che rammenda le maglie sfilacciate di quei tessuti, ma non solo.
Oltre a salvare dall’oblio queste esistenze, la stesura di Vite minuscole serve anche per ridare senso alla vita dello stesso Michon, sentita fino ad allora come un fallimento proprio a causa di quella scrittura che stentava ad arrivare. Gli otto racconti, infatti, ricordando episodi della sua vita intrecciata a quella degli altri, sono anche tasselli della sua stessa autobiografia. Con il compiersi del romanzo ognuno riacquista così per sempre la propria voce, incarnandosi in una scrittura vivida e immaginifica. Un libro splendido e a tratti commovente che sarebbe necessario leggere per rendersi conto del potere magico della letteratura che rende ogni esistenza degna di essere raccontata, indipendentemente da un nome o dal caos mediatico che vi si crea attorno. Ma soprattutto per ritrovare fra le righe delle vite qualcosa di umano e profondamente simile a noi.
Martina Gennari
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, settembre 2019)