Lo abbiamo chiesto a una giovane studentessa di Scienze politiche, Sofia, che fa parte della Rete Zero Waste e ci illustra i contenuti di questa sfida
Vivere senza produrre rifiuti: a un primo impatto può sembrare qualcosa di impossibile, forse addirittura bizzarro. Invece è, di fatto, già realtà, grazie alla Rete Zero Waste, un gruppo in crescita di persone impegnate in prima linea nella salvaguardia dell’ambiente. Ma di che cosa si tratta esattamente? E come si traduce nella vita pratica? Ne abbiamo parlato con Sofia, studentessa di Comunicazione pubblica e d’impresa presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna, la quale, dopo un soggiorno all’estero, ha cambiato il proprio modo di vivere e… consumare.
Partiamo dall’inizio: che cos’è la Rete Zero Waste?
«Potremmo definirla come l’incontro di tutti i cittadini e le cittadine che cercano di ridurre il proprio impatto ambientale nel quotidiano, giorno dopo giorno».
Com’è sorta la Rete e che cosa ti ha spinta a farne parte?
«Tutto è nato con un gruppo Whatsapp. Io sono entrata a farne parte nel marzo 2017; in quel periodo vivevo a Shanghai e, in una delle varie case che ho cambiato, ho subìto lo “shock” di vedere la compostiera dei ragazzi con cui abitavo. Ho chiesto come mai la usassero e loro mi hanno spiegato che era come se vivessero in un perenne stato di “se non ora, quando?”, “se non io, chi?”. In Cina, infatti, non si fa raccolta differenziata e tutti i rifiuti finiscono sotto terra, o almeno nel 2017 era così. Ho iniziato a sensibilizzarmi al tema ambientale grazie a loro e poi ho frequentato qualche workshop, finché mi sono detta: “Prima o poi tornerò in Italia… e perché non vedere che cosa succede anche là?”. Ho trovato il profilo Instagram di Valeria, che mi ha reindirizzato al gruppo Whatsapp in cui eravamo circa una ventina. Col tempo ci siamo “sedimentate” sempre di più, è cresciuta la voglia di fare e abbiamo deciso di aprire un sito e, un anno dopo, una pagina Instagram, principalmente per condividere delle risorse. Lo scopo era lo stesso del gruppo Whatsapp, cioè cercare di aiutarsi a vicenda, perché a volte le informazioni sono scarse e non è sempre facile fidarsi delle fonti».
Quali sono le difficoltà principali che incontra chi vuole avvicinarsi allo Zero Waste?
«Direi che possiamo dividerle tra interne ed esterne. Queste ultime riguardano il fatto che non viviamo in un’economia circolare, quindi chi cerca di abbracciare lo Zero Waste ogni giorno “va contro il sistema”; di conseguenza, non ha più il lusso di poter essere “leggero”. Mi spiego: c’è una famosa frase nello Zero Waste: «Siamo abituati a buttare via senza mai visualizzare quel via». Una volta che ti rendi conto di dove vanno le cose, perdi un po’ la spensieratezza di entrare in un negozio e acquistare qualcosa, di ordinare dell’acqua al bar senza chiederti se è in vetro o in plastica. Perdi il lusso di non sentirti in colpa se sei con la testa tra le nuvole e ti sbagli, cosa che capita lo stesso, non siamo delle persone perfette. Quindi, innanzitutto, c’è lo sforzo psicologico e materiale di mettersi nell’ordine di idee di vivere in un modo diverso da prima e per farlo ci vuole tempo».
Un consiglio per chi volesse iniziare?
«Partire da una cosa sola, una singola azione, come scegliere la borraccia al posto della bottiglia di plastica. Molti di noi si sono approcciati allo Zero Waste leggendo e, articolo dopo articolo, capitava di sentirsi sopraffatti, di iniziare a vedere tutto quello che tocchiamo, produciamo e compriamo come una massa di rifiuti. In effetti è così, ma, se la vediamo in questo modo, rischiamo di spararci un colpo in testa! Quindi io comincerei da un aspetto e cercherei di osservare gli scarti che produciamo, perché ogni persona è diversa. Una cosa che aiuta tanto secondo me è anche cercare di tenersi in mente la piramide dello Zero Waste».
Cioè?
«La piramide è composta da 5 “R”. Si parte dal Rifiutare quello di cui non si ha bisogno, che non serve, che non si vuole. Dopo aver rifiutato, Ridurre ciò di cui si necessita: è un’analisi che richiede tempo, autocoscienza e umiltà, anche nell’ammettere che a volte purtroppo una cosa serve. Dopodiché vengono il Riutilizzare quanto non rifiutato o ridotto, il Riciclare quello che non si è potuto riutilizzare e infine il compostare (Rot) il resto. Questo aiuta molto perché stabilisce una sorta di priorità applicabile a qualsiasi cosa».
Quando vai a fare la spesa come compri le cose che ti servono?
«Idealmente si dovrebbe cercare di acquistare sfuso il più possibile, perché la prima cosa che si può ridurre è il packaging, la confezione. Dipende molto anche da dove si vive, che stile di vita si ha, quali sono le risorse disponibili in termini economici e di tempo. Uno dei valori della Rete, infatti, è l’inclusività, quindi accettare momenti diversi del nostro percorso e, di conseguenza, fare scelte molto differenti. C’è chi riesce ad accedere a negozi di articoli sfusi, piccole botteghe, attività che hanno questa mission; ma c’è anche chi non può fare a meno del supermercato perché vive in una città piccola, ha un lavoro a tempo pieno, segue una dieta particolare… I motivi sono infiniti. Io, nello specifico, faccio un po’ un misto: adesso vivo in centro a Bologna e ho accesso a molti negozi di ortofrutta. Mio marito invece è una sorta di “Zero Waste scettico”: si è da poco convertito su alcuni temi, come la borraccia, però non pone la riduzione dei rifiuti al primo posto tra gli obiettivi principali della sua vita, quindi abbiamo dovuto trovare dei compromessi».
A proposito: so che ti sei sposata da poco; siete riusciti ad applicare qualche principio di sostenibilità ambientale anche al matrimonio?
«Sì, siamo riusciti a compiere qualche decisione importante; infatti al riguardo uscirà anche un articolo sul sito della Rete Zero Waste, ma ti anticipo la scelta sui recipienti per gli avanzi. Abbiamo comprato dei box di cartone riciclato, con all’interno un contenitore che può essere messo in microonde. Li abbiamo consegnati al catering chiedendo di mettervi all’interno ciò che sarebbe rimasto; eravamo già pronti a mentire, a dire che era per i cani, e invece gli addetti sono stati super entusiasti di non buttare cibo».
Chi è il nemico principale di uno Zero Waste?
«Se dovessi descrivere un nemico comune direi che è lo spreco, il consumo cieco e la mancanza di responsabilità. È ovvio che per migliorare il mondo servono anche politiche dall’alto, ma è importante secondo me iniziare a capire che chi chiede al proprio governo di cambiare le cose senza modificare il proprio consumo forse dovrebbe fare uno sforzo in più. Io sono dell’idea che tutti abbiamo una responsabilità; se ognuno guardasse al proprio orticello per ridurre l’impatto ambientale, compierebbe già una parte molto significativa, una parte che gli altri non possono fare».
Qual è il senso di entrare nella Rete?
«Abbiamo scelto apposta il nome “rete” per sottolineare come sia un’occasione di incontro e di sostegno nei nostri differenti percorsi. Quindi direi che entrando si conoscono persone con cui si condivide lo stesso obiettivo e che magari non abitano nemmeno tanto distanti, per cui ci si possono scambiare consigli anche più specifici».
C’è anche qualche uomo nel gruppo?
«Gli uomini scarseggiano. Sono principalmente i fidanzati delle iscritte, che però non vi fanno parte, di certo non perché non li vogliamo! Purtroppo non siamo ancora riuscite a integrare più leve maschili, ma non demordiamo; anzi rimarchiamo che siamo aperti a tutti e a tutte!».
Le immagini: il logo di Rete Zero Waste.
Chiara Ferrari
(LucidaMente, anno XIV, n. 163, luglio 2019)