Sono aggrappato al ramo
più alto del mistero ed ogni giorno
attraverso la spuma della luce
in cui è annegato Dio.
Nel querulo scompenso
di parole ingabbiate appena nate
mi ritraggo a colmare di pallore
lo squarcio dell’assenza.
E nell’oasi dell’estro
dove le palme fanno ombra al cielo
ho un sogno da percorrere a ritroso
fino a sfiorare un Volto.
(Sogno)
Michelangelo Cammarata
Poeta siciliano, Cammarata è nato a Gela e vive a Palermo. E’ autore di vari libri come Un’eco di pensiero (1964); L’oasi propizia (1965); L’uomo, con ironia (1969) e I germogli di Ground Zero (2003). Già presente su Scriptamanent.net con Meditazione, l’autore si presenta ora sulla nostra rivista con un altro componimento di raffinato valore artistico.
IL COMMENTO CRITICO
L’incedere del verso, in questo autore, non è casuale. L’avrà notato ogni amante della poesia con l’occhio appena allenato a seguire la marcia del metro.
Settenari, novenari e endecasillabi si alternano aspirando a una regolarità raggiunta a tratti, eppure armoniosa, tanto per seguire orgogliosamente la tradizione italiana e per non cedere alla tentazione della filastrocca.
Ed ecco la maglia tessersi di assonanze e di allitterazioni e, sin dall’esordio, vestire il lettore di nasali e dentali, di liquide e sibilanti. Più discrete le rime, coi loro appuntamenti all’interno e alla metà dei versi.
Il ramo del mistero – Il Sogno di Cammarata prende le mosse da una situazione di stasi fatta di un’immobilità particolare, capace, cioè, di preludere al movimento. Il componimento è un lento risveglio al contrario. Invece di destarsi dal sogno alla realtà, il poeta prende coscienza aprendo gli occhi sull’immaginario, come se vivesse non la regolare incomprensibilità del giorno, ma la fantasia della notte, come se i suoi turni lo appagassero, affrancandolo dalla noia. Il periodo illuminato della giornata, il mondo che vi si immerge con le sue contraddizioni è quello “in cui è annegato Dio”, un regno di nulla che dall’alto del ramo appare misterioso ed insondabile, ma anche irrinunciabile: “Sono aggrappato” dice il poeta dal “basso” della sua umanità, legato com’è, comunque e sempre, alla vita.
L'”oasi dell’estro” – Le sue “[…] parole ingabbiate appena nate” sono le uniche in grado di assolvere a una funzione positiva, se è vero che possono “colmare di pallore / lo squarcio dell’assenza”. Resta impossibile, tuttavia, ignorare l’accento posto sulla pressione che le respinge sul limite della coscienza dal quale intendono sorgere alla vita, a una vita, quella diurna, priva di libertà al punto da renderle inutili, querule. Solo “[…] nell’oasi dell’estro” ritroveranno un senso: sapranno allontanare la noia richiamando l’attenzione del poeta su “un sogno da percorrere a ritroso”, sulla suggestione di un passato che tanto ha contato nella storia della poesia moderna.
L’immagine: I solchi della saggezza del nostro fotografo Martino Gliozzi.
Antonietta De Luca
(LucidaMente, anno I, n. 5, giugno 2006)