Da piazza Oberdan vessilli trasudanti
dolore e medaglie
sfregano un cielo terso.
Ma i privilegiati della libertà
approfittano del ponte, occorre cercare
il luogo dove per un mese poter
vomitare ovvietà e perbenismo.
Non per questo pedalasti con la canna
di fuoco nella borsa
nei giorni fangosi della bassa.
(25 Aprile)
Mirko Altimari
Un giovane cosentino d’origine arbëreshë e un appassionato di storia, società, giornalismo: ecco il ritratto sintetico di un autore che non si sente un poeta e che, mentre studia giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano, si dedica al sociale e non dimentica l’impegno per gli altri nel volontariato.
IL COMMENTO CRITICO
Soltanto liberi potevano essere questi versi, se l’unica prigionia che è concessa loro dall’autore è quella d’abitare la poesia, questa dimora dai limiti tanto valicabili.
E così la composizione intessuta di liquide e di palatali più o meno sorde, più o meno sonore, intende porgersi all’orecchio del lettore nel suo concerto popolare.
E’ chiaro, non è una serata di gala quella che Altimari vuole offrire con questo componimento, ma la visione di una nazione ormai lontana dalle sue stesse radici.
A denunciarlo lo stesso layout che presenta nel corpo del testo una frattura vivissima prima della terzina conclusiva, un intervallo, tra passato e presente, fatto di vuoto. Sul quel bianco privato di grafemi e fonemi, per ora nessun ponte, solo un po’ di nulla tra le rime interne e le allitterazioni celate da una semplicità estremamente naturale.
Bandiere e “privilegiati della libertà” – Attualità e storia: ecco le due protagoniste che si affrontano nel duello della poesia di Altimari. Una volta scelte le armi, quelle della comunicazione visiva, cioè le dimensioni delle due parti del componimento, eccole trovarsi di spalle, a venti passi l’una dall’altra e il presente ergersi pretestuoso e vacuo su un passato ridotto a una terzina. Tre contro sette, non vinceranno mai alcuna sfida, persino i moschettieri erano quattro. Alcuni ossimori, però, si rivelano traditori della squadra più numerosa. È il caso di “dolore e medaglie”, resti trasudati di una bandiera che sventola ormai solo nelle celebrazioni e incapace di ogni sostanziale consolazione. Non casualmente, sono particolarmente forti l’enjambement tra primo e secondo verso, sul piano metrico-ritmico, e, sul piano metaforico, l’immagine analogica del “dolore e medaglie” che “sfregano un cielo terso”. Mentre su una pubblica piazza risplende la tipica giornata di sole delle parate disperate di patriottismo, ben altra scena si apre sul conformismo esasperante ed immemore della società di massa: “i privilegiati della libertà” pensano al ponte e alle vacanze a venire. E l’eredità morale e storica è dimenticata coi last minute.
Amarezza ribelle – “Non per questo pedalasti con la canna / di fuoco nella borsa / nei giorni fangosi della bassa”: una terzina che è un fulmine. Non è col vaniloquio che si colpisce, sembra dire al lettore dal basso della sua collocazione. Last but not least: occupa la posizione conclusiva, ultima, ma strategica in musica come in letteratura, l’invocazione al partigiano padano probabilmente mai sceso dalla sua bici. Al finale l’autore ha affidato un monito: che non si dimentichi e si guardi almeno al valore di ciò che oggi è ormai tràdito e tradìto.
Antonietta De Luca
(LucidaMente, anno I, n. 3, aprile 2006)