Il regista padovano, scomparso lo scorso gennaio, lascia una testimonianza in film e documentari che raccontano storie di provincia degli ultimi 25 anni. Premiato il suo ultimo film, “La sedia della felicità”, ancora nelle sale italiane
Uomo colto e amabile cineasta, Carlo Mazzacurati (1956-2014) ha prediletto il genere commedia per raccontare storie di persone semplici delle quali ha ritratto la realtà in una visione prospettica d’insieme, con un’umanità velata di malinconica ironia, che gli ha permesso uno sguardo leggero sulla vita e i suoi drammi. Dall’opera complessiva emergono il coerente senso etico dell’autore, esente da considerazioni moralistiche, e la “malincomica” poetica che gli hanno valso la fama di “maestro delle piccole storie”.
Dopo gli studi degli anni Settanta al Dams bolognese, Mazzacurati si cimenta come animatore di cineclub nella sua Padova e, in seguito, in valide esperienze di sceneggiatura, tra cui quella di Marrakech Express (1987) di Gabriele Salvatores. Il richiamo della vita di provincia prevale su prospettive di carriera nella capitale, ed è infatti dalla sua terra d’origine, il Veneto, che trae ispirazione per molti dei suoi lavori, compreso l’ultimo, La sedia della felicità (2013). Ottenuto il Gran Premio Torino al Film festival 2013, il film è nelle sale dal 24 aprile scorso ed è di questi giorni la notizia della sua premiazione con il Nastro d’Argento 2014, assegnato dal Sindacato dei giornalisti cinematografici.
Paradossalmente, è con il film di commiato che il regista veneto racconta la storia più surreale e divertente di tutta la sua carriera: i due personaggi principali, Bruna (Isabella Ragonese) e Dino (Valerio Mastandrea) si affannano a rincorrere sedie in una strampalata caccia al tesoro che dalla laguna veneta si allarga alle Dolomiti. Come ai due balordi impersonati da Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio in La lingua del santo (2000), a Bruna e Dino capita un colpo di fortuna che può risollevarli da un destino avverso, se riusciranno a cogliere al volo la casuale chance. Le situazioni che si succedono sono talmente irrazionali e strambe da richiedere la sospensione dell’incredulità per potersi calare nell’atmosfera di una favola, ben recitata dai due protagonisti e impreziosita da cammei dei molti attori di precedenti film di Mazzacurati (Antonio Albanese, Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Citran, Silvio Orlando…) e anche di amici come Gian Luca Farinelli, il direttore della Cineteca di Bologna che lo ha avuto come presidente negli anni 2012 e 2013.
L’esordio di Mazzacurati, con il lungometraggio Notte italiana (1987), coincide con il debutto della Sacher Film di Nanni Moretti, che seleziona proprio l’opera del cineasta veneto come primo titolo da distribuire, e “arruola” poi l’amico Carlo per memorabili piccoli ruoli in suoi film, come quello di critico cinematografico de il manifesto in Caro Diario (1993). Il primo film del regista veneto, ambientato nel delta del Po, vede Marco Messeri nel personaggio di Morsiani, un avvocato inviato nel Polesine alla ricerca della verità su fatti oscuri che contribuiscono all’atmosfera noir della storia. Stesso genere e ambientazione per La giusta distanza (2007), un thriller sociale sui pregiudizi razziali che si colora di nero per la morte della nuova maestra (Valentina Ludovini) del paese di Conca d’Albero. Con questo film Mazzacurati torna quindi al genere giallo-poliziesco degli inizi, dopo aver realizzato, dal 1989 al 2004, undici opere che lo confermano uno dei più apprezzati autori del panorama cinematografico italiano di quegli anni.
Con l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1954 di Goffredo Parise, realizza il suo secondo film, Il prete bello (1989), cui segue la cosiddetta “trilogia dell’est”: Un’altra vita (1992) con Claudio Amendola, Il toro (1994) un road movie premiato con il Leone d’argento per la regia e la coppa Volpi a Citran, e Vesna va veloce (1996). Quest’ultimo testimonia, insieme a L’estate di Davide (1998), l’attenzione ai problemi dei più fragili, come gli immigrati e gli adolescenti. La serie dei Ritratti (1999-2002) riguarda le conversazioni-intervista, ideate da Marco Paolini, a tre nomi importanti della cultura: gli scrittori Mario Rigoni–Stern e Luigi Meneghello e il poeta Andrea Zanzotto. Il ritorno al registro della commedia avviene con La lingua del santo (2000), una strampalata avventura di due amici avvezzi a sbarcare il lunario, cui capita di compiere il maldestro furto della presunta lingua-reliquia di sant’Antonio di Padova. A cavallo della tigre (2002), con Fabrizio Bentivoglio, è il remake dell’omonimo film del 1961 di Luigi Comencini, interpretato da Nino Manfredi, mentre L’amore ritrovato (2004), con Stefano Accorsi e Maya Sansa, trae ispirazione da un romanzo del 1969 di Carlo Cassola, Una relazione.
La crisi creativa dell’artista è oggetto di riflessione nel film La passione (2010), che vede il regista Gianni Dubois (Silvio Orlando) incaricato di dirigere, tra mille intoppi, in un paesino della campagna toscana. una sacra rappresentazione della passione di Gesù per l’imminente venerdì santo; l’interpretazione del Cristo ha valso a Battiston la coppa Volpi. Nel film-documentario Sei Venezia (2010), fuori concorso alla Mostra, si conferma l’interesse del regista per la vita delle persone nella loro quotidianità. La città lagunare non funge qui da sontuosa scenografia come in altri film di finzione, ma da sfondo per le storie di chi vi abita e ha imparato a convivere con la folla eterogenea che la invade. Sono sei le persone, dall’archivista volontario all’archivio di Stato, alla cameriera dell’hotel più famoso della città, al tredicenne appassionato di arti marziali, che parlano dei propri vissuti intrecciati con l’ambiente, offrendo a Mazzacurati il materiale per estrarne un’essenza così naturale e intima che non lascia dubbi sulla genuinità dei personaggi.
Anche Medici con l’Africa (2012) è un film di persone e di ambienti, dove si incrociano uomini che testimoniano “la normalità del bene” e realizzano se stessi «contribuendo ad alleviare le sofferenze altrui» (Ilvo Diamanti). È questa la missione degli aderenti al Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari), un’associazione nata nel 1950 a Padova e diretta da don Luigi Mazzucato, con lo scopo di formare i medici per i paesi in via di sviluppo; uomini che Mazzacurati era destinato a incontrare, poiché assomigliava a quei volontari in Africa e ne condivideva le finalità altruistiche. Attraverso la visione dei film creati durante una vita dedicata al cinema, si comprende l’anima dell’uomo, la sua inclinazione umanitaria e la coerenza che ne ha indirizzato le scelte, senza dimenticare la vena ironica, a volte malinconica, che contribuisce all’unicità alle sue opere.
Le immagini: alcune locandine di film di Mazzacurati.
Silvana Tabarroni
(LucidaMente, anno IX, n. 101, maggio 2014)