La vicenda personale e professionale di un ex pubblico ministero, appassionato di legalità, raccontata in un’autobiografia, Assalto al pm. Storia di un cattivo magistrato (Prefazione di Marco Travaglio, Chiarelettere, pp. 296, euro 14,00), da Luigi de Magistris. Il suo amore per la magistratura nasce il giorno dopo l’iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza, ma anche dal padre, anch’egli magistrato. Dai venticinque ai quarant’anni ha dedicato la propria vita al lavoro, compiuto in Calabria, luogo dal quale molti scappano… Nel libro racconta la lotta alla criminalità, la sua delegittimazione, fino alla decisione di lasciare la magistratura per la politica, non potendo più ricoprire le funzioni di pm.
Quella di cattivo magistrato è un’etichetta conferitagli quando de Magistris ha iniziato a indagare sulla pubblica amministrazione, locale e nazionale, scoprendo forti legami tra questa e le organizzazioni criminali, soprattutto rispetto all’assegnazione degli appalti e all’uso illecito e poco trasparente dei finanziamenti pubblici. Con le proprie inchieste, tra cui Poseidone, Why not, Toghe lucane, ha ricostruito un quadro degradato di colletti bianchi corrotti e un sistema di potere, da destra a sinistra, senza distinzioni di parte politica, colluso con la criminalità organizzata, soprattutto in Calabria, dove la malavita ha forti poteri. E sceglie Catanzaro come punto nevralgico, attorno al quale ruota la gestione dei finanziamenti pubblici. Biasima in tal senso quei magistrati che hanno sempre operato nei loro territori d’origine, in quanto «è indubbio che quando si indaga in certi settori si va ad aprire un osservatorio su ambienti e persone con cui può esserci vicinanza». Da qui anche quella “confusione inaccettabile fra controllori e controllati”, di cui l’autore parla sempre a proposito di quella regione, definita come il “Sudamerica di una volta”, governata da una classe di potere “intrisa anche di mafiosità”. E perché scegliere di occuparsi della pubblica amministrazione? «Ho sempre pensato che questo sia il settore dove si può maggiormente incidere sulle illegalità, in quanto consente di comprendere gli elementi di contiguità, di interferenza e di rapporto con i rappresentanti della vita pubblica, di verificare come opera la criminalità economico-finanziaria».
L’assalto al pm viene ampiamente spiegato in varie parti del libro. Se ne ritrova una sintesi in queste parole: «Le interrogazioni parlamentari – unitamente alle ispezioni e ad altre forme di intimidazione istituzionale – si sono susseguite senza soluzione di continuità sino al 2008. Sono state una ventina, firmate complessivamente da un centinaio di parlamentari. L’assalto al pm». Viene tacciato di essere un “giudice protagonista”, nonostante prima degli attacchi alla sua persona non avesse mai rilasciato interviste e le poche foto che comparivano sui giornali fossero state scattate in occasione di dibattiti pubblici. Perché tale definizione? Anche a Falcone e Borsellino prima di lui era stata attribuita quell’etichetta, perché non tutti si rendevano disponibili a indagare su certi fatti politicamente pericolosi, ex colleghi che de Magistris definisce spesso “magistrati burocrati”; di conseguenza, chi lo fa, diventa “protagonista”. Spiega così le azioni perpetrate nei suoi confronti, a differenza di quelle prese verso i due magistrati assassinati dalla mafia: «Se i servitori dello Stato sono scomodi e non si riescono a neutralizzare si trasferiscono, si screditano, si delegittimano, si isolano, si mettono all’angolo».
Quando arriva la proposta di Antonio Di Pietro di impegnarsi nel partito dell’Italia dei valori per un rinnovamento della classe dirigente, egli accetta non perché abbia abbandonato la sua passione e fame di giustizia, o perché non si senta di dover arrivare fino in fondo alle sue indagini, bensì perché gli avevano tolto la sua funzione di pubblico ministero e per questo motivo non avrebbe avuto più margine all’interno della magistratura. Perciò, invece di ritirarsi a vita privata, decide di dedicarsi alla politica, considerata dall’autore il luogo dove è possibile trasformare la società, con una spinta dal basso, perseguendo il bene pubblico. Si dimette, quindi, dalla magistratura con una lettera indirizzata al capo dello Stato Giorgio Napolitano, criticato dall’autore in quanto ha avuto, a suo dire, un ruolo decisivo nella sua vicenda, omettendo anche di rispondere alla sua lettera di dimissioni.
In molte interviste, a seguito della pubblicazione del libro, de Magistris ha spiegato i motivi che l’hanno spinto a scriverlo: in primis la frantumazione delle inchieste giudiziarie, dunque l’intento di ricostruirle meticolosamente, anche perché, secondo l’autore, la loro ricomposizione sarebbe stato un lavoro molto complesso da un punto di vista giornalistico. Naturalmente egli cerca di spiegare la propria visione e versione dei fatti, come uomo e come magistrato, sottolineando anche i rapporti umani che ha consolidato e quelli che si sono frantumati a seguito delle varie inchieste, di cui, secondo qualcuno, non avrebbe dovuto occuparsi. E’ opinione dell’ex pm che la narrazione della sua storia potrebbe servire per evitare che si ripetano altri episodi che possano compromettere l’opinione che i cittadini hanno sullo Stato e sulla stessa magistratura.
L’immagine: lo slogan di un manifesto stampato dal Partito democratico in occasione dell’approvazione dell’ennesima legge ad personam, contro lo stato di diritto e il lavoro dei magistrati, da parte del governo berlusconiano.
Francesca Gavio
(LM MAGAZINE n. 16, 15 aprile 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 64, aprile 2011)