La senatrice a vita Liliana Segre sotto scorta per le minacce ricevute su internet: riflessioni sul tema dell’anarchia social e le iniziative per una rete civile ed educata
Come scrisse Aristotele, «l’uomo è un animale sociale», e con l’avvento dei social network gli uomini sono sempre più interconnessi: possiamo comunicare dai quattro angoli del globo terraqueo con chiunque, in ogni momento del giorno e della notte. Ma stiamo davvero utilizzando al meglio questa tecnologia? A quanto pare, no.
I luoghi di socialità digitale, nati con lo scopo di accrescere e rafforzare le relazioni interpersonali, sono da tempo piattaforme pregne di offese, ingiurie e minacce, in uno scontro impari e anarchico che vede tutti contro tutti (vedi anche Internet, il dio che ci ha tradito… ovvero l’altra fa/eccia del web). Lo scorso mese ha fatto grande scalpore l’istituzione di una scorta per Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto nazista antiebraico e senatrice a vita della Repubblica italiana dal 2018, in seguito alla valanga di intimidazioni, attacchi e improperi ricevuti sul web. Ovviamente questi episodi devono essere inseriti nella macro-problematica dell’antisemitismo in Italia, cui altra vittima illustre, tra le tante, è il giornalista Gad Lerner. Sebbene l’antisemitismo sia una tematica molto importante e attuale, in questo articolo ci limiteremo a riflettere sulla dicotomia inesistente tra reale e virtuale, sul perché molti utenti si sentano legittimati a tenere comportamenti deprecabili, protetti da una sorta di impunità social, e quali argini si stanno costruendo per contrastare queste ondate di melma.
Nata nel 2016, l’organizzazione no-profit Parole O_stili, in questi anni si sta impegnando nella sensibilizzazione all’educazione in rete: sono infatti celebri i loro manifesti, semplici ed efficaci, nei quali vengono elencati per punti le regole di buone maniere in rete. Inoltre, sono molte le manifestazioni organizzate da Parole O_Stili nel mondo reale: la prossima si terrà a Trieste nel 2020. Interessante poi il caso dell’hashtag #odiareticosta, tramite il quale si possono segnalare gli haters in cui si incappa frequentando i social network.
Tuttavia, l’azione di privati cittadini non è sufficiente: è giunto il momento di creare delle leggi che regolino – e all’occorrenza sanzionino – comportamenti odiosi e violenti. La politica arranca su questo tema, dimostrando disinteresse e ignoranza: ha fatto sorridere molti la proposta avanzata da Luigi Marattin, deputato di Italia viva, il quale non più di un mese fa lanciava una petizione per combattere l’anonimato online, rendendo obbligatoria l’iscrizione ai social network previa presentazione di un documento di identità – che è un po’ come tentare di svuotare il mare con un secchiello. Pensato come argine contro i troll, account falsi creati con il solo obiettivo di offendere e insultare altri utenti, questa proposta fa acqua da tutte le parti: i modi per raggirare questa regola sono moltissimi, e pure molto facili da attuare, come racconta questo articolo comparso su Wired.
In conclusione, bisogna iniziare a discutere seriamente della questione: come riportato nel primo punto del Manifesto della comunicazione non ostile, virtuale è reale: dalle offese virtuali possono scaturire provvedimenti reali, come l’istituzione di una scorta. Per risolvere il problema, è essenziale lavorare su due fronti: a monte, come tenta di fare l’associazione Parole O_Stili, si devono educare gli utenti a un uso corretto dei mezzi social; a valle – ed è questo il caso dell’hashtag #odiareticosta – è doveroso sanzionare a norma di legge tutti coloro i quali non rispettano le buone regole del vivere online, con la speranza che i social diventino in futuro dei luoghi più ospitali.
Isabella Parutto
(LucidaMente, anno XIV, n. 168, dicembre 2019)