Tra Messico precolombiano e contemporaneità, il culto dei morti attraverso i secoli
«Solo la specie umana avverte la presenza della morte nel corso della vita, accompagna la morte con rituali funebri e crede nel perdurare della vita dopo la morte o nella rinascita dei morti» (Edgar Morin, L’uomo e la morte, Prefazione all’edizione del 1970). La fine della vita è un tema antico quanto la storia dell’umanità: i riti funebri ricoprono un’importanza fondamentale presso tutti i popoli e il cristianesimo ha attinto a piene mani dalla ricchezza delle grandi religioni politeiste.
Già i Celti credevano che nella notte di Ognissanti le anime dei cari estinti facessero rientro nelle loro case per scaldarsi e ristorarsi con i cibi preparati dai familiari. Nel 998 d.C. Odilone, abate di Cluny, istituì la commemorazione cristiana dei defunti il 2 di novembre e tale data è stata mantenuta finora. Il rito messicano del Día de los muertos fa parte delle ricorrenze dedicate alla morte ed è inserito nella lista Unesco del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità. Le sue origini risalgono alle tradizioni delle innumerevoli popolazioni indigene che abitavano il Messico precolombiano già duemila anni fa e, dopo la secolarizzazione dovuta alla conquista spagnola – e quindi cattolica –, la festa rimane oggi una delle più importanti per quel popolo. Per non perdere di vista la complessità del fenomeno è importante tenere presente che, quando si parla di Messico, ci si riferisce a uno dei Paesi più estesi al mondo, caratterizzato da differenze climatiche, di altitudine, di usi e costumi. Per tale motivo può essere rischioso fare un discorso generale, che risulta tuttavia inevitabile nel momento in cui si voglia approcciare una questione tanto complessa quanto affascinante come quella del Día de los muertos.
Il ritorno dei morti nel regno dei viventi è il tema centrale della tradizione, in occasione della quale i familiari allestiscono meravigliosi altari – chiamati ofrendas – ricchi di cibo, bevande, fiori, foto e tutto ciò che possa ricondurre a casa l’anima del defunto. Uno dei simboli del Día de los muertos è il cempasùchil, tipico fiore messicano i cui petali color arancio vengono disposti a formare un sentiero che guidi gli spiriti dei trapassati alle loro abitazioni terrene. Oltre a queste, si addobbano le piazze, le scuole, le tombe: i cimiteri diventano un suggestivo scenario di candele accese, collane di cempasùchil, persone che cantano, si abbracciano e ricordano chi non c’è più. La morte, vera protagonista del rito, non viene tenuta nascosta come un tabù, ma celebrata nella sua essenza naturale e necessaria e, semmai, esorcizzata attraverso i colori e l’energia creativa che si sprigiona dalle mille composizioni artistiche realizzate per l’occasione. Il Día de los muertos è, in effetti, una grande celebrazione della vita.
Per avere un’idea più precisa di che cosa significhi oggi questa festa, può essere utile – oltre che molto piacevole – la visione del film d’animazione della Disney Pixar Coco (2017). Le tinte, l’ambientazione – si immagina un piccolo paesino messicano –, l’atmosfera, i riti, sono così suggestivi da immergerci completamente nella variopinta realtà ultraterrena. Lì i defunti, più vivi che mai, conducono una sorta di nuova esistenza che ricorda da vicino quella passata e attendono con trepidazione la notte nella quale potranno attraversare il ponte che unisce il mondo dei morti a quello terreno. Affinché il caro torni a far visita alla famiglia è indispensabile esporre sull’ofrenda una sua fotografia, potente veicolo del ricordo. Infatti, solo chi viene rammentato e commemorato può passare da una dimensione all’altra. Il richiamo è al culto degli antenati, molto forte presso le popolazioni mesoamericane le quali, attraverso di esso, istituivano una sorta di memoria sociale che consentiva di riconoscersi in un’origine comune.
Nel Messico odierno – uno dei Paesi più cattolici del mondo – i riti precolombiani e le influenze cristiane derivate dalla conquista spagnola si mescolano all’interno di una festività poliedrica e coinvolgente, che difficilmente lascia indifferenti noi occidentali, abituati a un’idea grigia e mesta della morte. In Messico, invece, tra calaveritas (versi di natura spesso satirica riferiti a un personaggio politico, artistico o semplicemente a un conoscente) e sfilate di catrinas (scheletri solitamente femminili vestiti con gli abiti tradizionali locali), musica, balli, colori, cimiteri addobbati… l’atmosfera che si respira è tutt’altro che tetra! Inoltre, si mangia il pan de muertos, tipico dolce che “imita” l’aspetto delle ossa, una singolare analogia coi morticeddi, celebre prodotto della pasticceria di Reggio Calabria (Le “ossa dei morti”, i dolci reggini tipici del mese di novembre).
Il rito, che in origine coincideva con la fine del raccolto del mais, principale coltura e fonte di sostentamento di questi popoli, si consuma nel periodo che va dal 31 ottobre al 2 novembre, giorni in cui si concentra il grosso dei festeggiamenti, che in realtà durano più a lungo. Le celebrazioni si tengono in tutta la nazione, comprese le sue grandi metropoli, e nelle comunità messicane sparse per il mondo. Anche qui da noi, in occasione di Halloween, si vedono sempre più spesso teschi colorati che richiamano le calaveras, dolci di zucchero a forma di cranio dai colori sgargianti. Alla diffusione della tradizione messicana ha contribuito inoltre l’influenza di grandi artisti come Frida Kahlo e Diego Rivera. Il teschio, in particolare, è entrato nell’iconografia occidentale: si pensi all’esplosione di tatuaggi a tema! Passato attraverso la conquista spagnola, la secolarizzazione, la modernità, si può dire che oggi il Día de los muertos sia più vivo che mai. Certo, ha cambiato un po’ la sua forma, ma ha mantenuto intatta quell’aria festosa e malinconica che ci fa pensare ai dolci canti dei mariachi.
Si ringrazia per il prezioso contributo il dottore di Ricerca in Antropologia culturale Gregorio Serafino, che ha una pluriennale esperienza in materia maturata nel Messico centrale (Guerrero).
Le immagini: un fotogramma del film Coco, alcuni esempi di cimiteri messicani addobbati per la tradizionale festa del Día de los muertos e i morticeddi reggini.
Chiara Ferrari
(LucidaMente, anno XIII, n. 155, novembre 2018)