Dopo accurate ricerche Andrea Cominini ne ricostruisce le tragiche vicende nel libro “Il nazista e il ribelle” (Mimesis Edizioni)
Con l’autorevole prefazione di Mimmo Franzinelli è stato pubblicato da Mimesis, nella collana Passato Prossimo, un originale libro di Andrea Cominini, che illustra le vite parallele di un maresciallo della Wehrmacht e di un partigiano della Val Camonica. Il titolo dell’opera è Il nazista e il ribelle. Una storia all’ultimo respiro (Prefazione di Mimmo Franzinelli, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni 2020, pp. 448, € 24,00)
Incuriosito dai racconti del nonno, che parlava di un sottufficiale tedesco, certo Marào (al secolo Werner Maraun), responsabile di zona della repressione contro i “banditi”, e di un partigiano detto Móha (Bortolo Bigatti), Cominini ha scavato nel passato di questi due personaggi, recuperando una serie impressionante di documenti e intervistando discendenti e superstiti. Ne ha poi riscostruito l’aspetto umano, al di fuori degli stereotipi consolidati da una vulgata retorica che spesso ha avvolto di nebbia la realtà dei fatti. Se è vero, come diceva Luigi Pirandello, che nel lungo tragitto della vita s’incontrano molte maschere e pochi volti, possiamo ben dire che a Maraun e a Bigatti è stata tolta la maschera e ora possiamo conoscerne il vero volto. Un volto che disvela le irrequietezze di un giovane partigiano, insofferente alla disciplina e alla gerarchia, un po’ anarchico e un po’ guascone – che si farà catturare per la sua imprudenza – e di un maresciallo tedesco, dolce padre e amabile marito, che, avendo ricevuto il compito di combattere i “banditi”, svolge la sua missione con feroce determinazione e si fa uccidere per eseguire gli ordini ricevuti e per la convinzione di aver svolto, in fondo, solo il proprio dovere di soldato.
A Esine, comune del Bresciano attraversato dalla Statale del Tonale e della Mendola, il 6 febbraio 1945 viene infatti fucilato Bortolo Bigatti (Móha), che con somma imprudenza si era recato nell’osteria del paese dove si era trattenuto nonostante i pressanti inviti a cambiare aria per evitare guai. Il 28 aprile 1945 (il giorno stesso della fucilazione di Mussolini a Giulino di Mezzegra) il maresciallo Maraun, ritenuto responsabile della cattura e della morte di Bigatti, viene letteralmente linciato dalla folla.
Maraun era stato invitato da un commilitone a lasciare la Val Camonica su un camion che trasportava soldati tedeschi (come cercò di fare anche Mussolini, peraltro senza successo), onde evitare di essere facilmente riconosciuto. Ma il maresciallo, avendo ricevuto l’ordine di viaggiare in coda a una colonna in ritirata del reparto presso cui operava (la Waffenschule di Boario Terme), non accettò il consiglio e – ligio teutonicamente alla disciplina – con un’imprudenza pari a quella di Móha, venne inevitabilmente catturato al primo posto di blocco partigiano e trasferito a Esine. Qui la folla lo giustiziò senza pietà, nonostante il sottufficiale, mostrando una foto della propria famiglia, cercasse di invocare la pietà dei presenti. A costo di cadere noi stessi nel deprecato gioco degli stereotipi, pensiamo che un sottufficiale italiano, forse meno propenso alle disposizioni, ma più scaltro, non avrebbe eseguito il comando ricevuto. E, così facendo, avrebbe probabilmente salvato la propria vita…
Molto si è discusso circa i delatori che avrebbero segnalato la presenza di Bigatti nell’osteria di Esine, ma nulla è emerso con certezza. D’altronde, se pensiamo alle vicende di personaggi anche più autorevoli, pure la morte di Bruno Buozzi è circondata da molte ombre. Invano la moglie Rina chiese a lungo di fare luce sulla morte del grande sindacalista socialista ferrarese, ma finora storici e ricercatori non sono riusciti a ricostruire l’epilogo dell’avventura umana di Buozzi, caratterizzata da troppi nodi che permangono irrisolti.
Fra coloro che si accanirono con particolare ferocia contro Maraun vi fu anche una donna, sospettata di essere una delatrice e certamente interessata a far tacere per sempre il maresciallo, che aveva organizzato in Val Camonica un’efficiente rete di spie e di informatori. Anche per questo aspetto, dalla microstoria si potrebbe passare alla macrostoria, pensando all’antifascismo gridato di certi personaggi che, essendosi compromessi con il regime, dovevano mostrarsi più che determinati nel condannare le nefandezze del ventennio. La vita è ricca di sorprese e di coincidenze. A Esine, nella stessa piazza, morirono un ragazzo dall’animo anarchico, ribelle tra i ribelli, e un maresciallo tedesco che rappresentava l’esatto contrario dell’anarchia. Due maschere che ora, grazie al libro di Andrea Cominini, hanno lasciato il posto a due volti riconoscibili che ci invitano a riflettere sul significato profondo della vita e della storia.
Mario Gallotta
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 184, aprile 2021)