Ne “L’altra storia d’Italia. 1948-2022” (Macro-Arianna Editrice) Lamberto Rimondini completa la narrazione, iniziata col precedente volume, delle vicende più determinanti per la nostra Nazione. Il quadro diventa sempre più drammatico e plumbeo, soprattutto in vista del futuro
Quello che forse impressiona di più nella Storia della nostra Nazione dal Secondo dopoguerra a oggi è l’interminabile elenco di stragi (terrorismo e mafia) e morti assassinati, spesso “cadaveri eccellenti”. Non crediamo vi sia Paese occidentale e “democratico” che abbia subìto, in periodo di pace, tale sorte, con un numero di uccisi così alto. E, per di più, con scarso o incompleto accertamento della verità su esecutori e mandanti, su influenze straniere o degli apparati interni allo stesso Stato.
Eravamo la quinta potenza economica mondiale…
A distanza di appena sei mesi dal primo volume, uscito nel novembre 2022, riguardante il periodo 1802-1947, coronato da un buon riscontro di vendite e da noi stessi recensito (leggi I burattinai degli eventi storici), ecco il secondo lavoro di Lamberto Rimondini: L’altra storia d’Italia. 1948-2022 (Prefazione di Paolo Borgognone, Macro-Arianna Editrice, 2023, pp. 544, € 20,00).
A parte la seconda sezione del volume («1958-1967: “Miracolo”»), i titoli delle altre sette sono significative del triste destino che ha accompagnato la nostra Nazione: «1948-1957: “Divisi”»; «1968-1977: “Terrori-Stato”»; «1978-1982: “Stuprati”»; «1983-1988: “Canto del cigno”»; «1989-1993: “Colpo di stato”»; «1994-2020: “Svenduti”»; «2021-2022: “Funerale di stato”».
Dunque, si tratta della problematica vicenda (non a lieto fine) di un Paese che si era ben risollevato dopo l’immane tragedia della Seconda Guerra mondiale, risultando «dalla fondazione della Repubblica al Trattato di Maastricht» scrive Rimondini «il primo Stato al mondo per crescita economica, diventando negli anni Ottanta la quinta potenza economica mondiale per Prodotto interno lordo in valori assoluti». Qual è stata la chiave di tale successo? «Ciò avviene grazie alla proficua sinergia tra l’iniziativa imprenditoriale privata e gli investimenti pubblici nelle industrie a partecipazione statale, nelle grandi infrastrutture nazionali e nello Stato sociale».
E, in particolare, sul piano finanziario, «il pieno controllo della “leva monetaria” e della Banca d’Italia da parte del Ministero del Tesoro».
I casi Mattei-Moro-Craxi
Tra i tanti – ma non troppi – uomini di potere italiani della Prima Repubblica che cercano di fare gli interessi della Nazione, vi sono certamente l’imprenditore ex partigiano Enrico Mattei (1906-1962), uno dei leader democristiani, Aldo Moro (1916-1978), e il segretario del Partito socialista italiano (Psi) Bettino Craxi (1934-2000).
Il primo muore in un incidente aereo; il secondo viene sequestrato e poi assassinato dalle Brigate rosse; il terzo finisce in esilio ad Hammamet, in Tunisia. È chiaro che i tre personaggi non sono da santificare: erano due uomini politici e un imprenditore, con le loro magagne e debolezze, le loro prepotenze e i loro egoismi, le loro bizze e le loro idiosincrasie. Ma in comune avevano l’amore per l’Italia e la difesa degli interessi dei suoi cittadini: insomma, ciò che differenzia un politicante o un profittatore da uno statista o uomo di Stato.
Che Mattei non fosse perito in uno sfortunato incidente aereo fu subito chiaro a tutti. A tal punto che il regista d’impegno civile Francesco Rosi gli dedicò un film d’inchiesta di grande successo. Il presidente dell’Eni pagò la sua apertura verso i Paesi produttori di petrolio, ai quali, per rifornire l’Italia, offrì condizioni ben più vantaggiose di quelle delle “sette sorelle”. Un termine coniato dallo stesso Mattei per definire le maggiori compagnie petrolifere mondiali, essenzialmente anglo-americane e olandesi.
Al “Caso Moro” e alle innumerevoli contraddizioni e punti oscuri del suo rapimento e morte, Rimondini dedica circa 30 pagine. Lo statista democristiano pagò la sua strategia politica. Quelle che lo scrittore chiama le «eresie» dello statista pugliese furono cinque. Ossia, la ricerca di cinque sovranità: monetaria, in politica estera, nella difesa militare, nella politica energetica e nella politica interna. E, più o meno, furono le stesse stelle polari del Craxi presidente del Consiglio.
Come mandare in rovina un Paese e una Nazione floridi
I maggiori punti di svolta verso l’indebolimento dell’Italia hanno due date ben precise: il 1981 e quello che noi stessi abbiamo definito il Maledetto 1992!, articolo cui rimandiamo.
Scrive Rimondini: «Dal 1975 la Banca d’Italia si è impegnata ad acquistare tutti i titoli non collocati presso gli investitori privati. Tale sistema garantisce il finanziamento della spesa pubblica e la creazione della base monetaria, nonché la crescita dell’economia reale. […] Fino al 1981 […] l’Italia ha la quota di spesa pubblica in rapporto al Pil più bassa tra gli Stati europei». Ma «il 12 febbraio 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrive al governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi una lettera che sancisce il “divorzio” tra le due istituzioni». Le motivazioni sarebbero l’inflazione post shock petrolifero del 1973 e post ingresso del nostro Paese nello Sme (Sistema monetario europeo).
La scelta si rivela disastrosa: «l’Italia deve collocare i titoli del debito pubblico sul mercato privato a tassi d’interesse sensibilmente più alti», da cui «una vera e propria esplosione della spesa per interessi passivi». Essi passano dal 5% circa di fine anni Sessanta al 25% nel 1995, con un tasso di crescita dal 1975 al 1995 del 4.000%. Sicché «la crescita del deficit annuo rispetto al Pil, derivante dalla spesa per interessi passivi, porta in pochi anni il rapporto debito/Pil dal 56,86% del 1980 al 94,65% del 1990, fino al 105,20% del 1992». Oggi è al 143,5%: praticamente fuori controllo. Tale esplosione del debito pubblico, unita «all’impossibilità di svalutare la moneta “grazie” ai vincoli di Maastricht», è per noi letale.
Si stava (molto) meglio quando si stava “peggio”
L’inchiesta Mani Pulite, con l’apparente obiettivo di moralizzare la vita pubblica, in realtà aprì la strada alla «cosiddetta “rivoluzione liberista”, ossia la liberalizzazione neoliberale dell’intera società, con aziendalizzazione del sociale, rimozione dei diritti sociali, distruzione della politica, sostituzione dei politici con maggiordomi della finanza e del vecchio capitalismo europeo dotato di welfare state con il capitalismo americano senza diritti e garanzie». Citando ancora Rimondini: «Con la “Prima Repubblica” vi era certo la corruzione, ma vi era sempre un governo ispirato a valori non coincidenti con quelli del mercato».
Sicuramente non mancavano gravi problemi, quali le potenti organizzazioni mafiose, le sacche di povertà, soprattutto al Sud, una corruzione politica diffusa, legata anche alla mancanza di alternanza ai Governi a guida Democrazia cristiana, a causa dei diktat angloamericani legati alla Guerra fredda. Tuttavia, con la Seconda Repubblica, le organizzazioni criminali, la povertà, la corruzione e il degrado politico sono cresciuti a dismisura. Così come l’alternanza centrodestra-centrosinistra si è sempre di più rivelata un fittizio ricambio di Governi, comunque proni a poteri sovranazionali, per lo più economico-finanziari. Dopo il 1992 l’Italia è stata in buona parte deindustrializzata, con la privatizzazione del patrimonio industriale italiano a vantaggio di multinazionali.
Abbiamo ovviamente molto sintetizzato i contenuti dell’opera di Rimondini. Leggendola, vi troverete molto, molto di più. Dagli attentati e dalle stragi mafiose all’omicidio Pecorelli, dal caso Emanuela Orlandi a quello di Ilaria Alpi, dalla misteriosa scomparsa del keynesiano Federico Caffè all’omicidio Regeni, dalle molteplici magagne di Romano Prodi al criminale bombardamento della Serbia voluto dal Governo presieduto da Massimo D’Alema sostenuto dalle sinistre… Il tutto con una ricostruzione e una prospettiva nuove, che non potranno che appassionare un lettore che non si accontenti della mala informazione storica e del mainstream giornalistico.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 213, settembre 2023)