Secondo il nostro lettore, Zeus era più pietoso di alcuni odierni benpensanti nostrani
«Lucio in the sky» titolava ieri a tutta pagina il manifesto, con straordinaria pregnanza simbolica, riferendosi alla scomparsa del suo fondatore.
Il titolo mi ha colpito facendomi pensare a Chirone, l’uomo-cavallo, archetipo del curatore, maestro di Asclepio, il dio della medicina, pedagogo di eroi, che trattava le malattie con le erbe e il suono della sua lira. Durante una battaglia, Chirone fu ferito accidentalmente al ginocchio da una freccia di Eracle, bagnata nel fiele dell’Idra di Lerna. La ferita era incurabile e Chirone si trascinò lamentandosi in fondo alla sua grotta, sul Pelio, non potendo né guarire né morire, perché, figlio di Zeus, era immortale. La ferita rese vani tutti i rimedi del più grande di tutti o medici, provocando dolori terribili via via più insopportabili. Allora Chirone chiese a suo padre di togliergli il dono dell’immortalità e, con la vita, di far cessare la terribile sofferenza. Zeus acconsentì all’estrema richiesta del figlio che, da allora, brilla in cielo nella costellazione del sagittario. Da qualche giorno, però, alcune delle sue stelle sembrano ricordare a tutti noi anche Lucio Magri.
Mi si permettano alcune considerazioni. La consapevolezza della morte è prerogativa solo umana e come tale solo ciascuno di noi può scegliere quando e come incontrarla. Zeus non è contrario a concederla quando si soffre troppo. Con il suo gesto, Magri ci ricorda il senso più profondo della libertà umana, capace di scegliere anche l’estrema delle negazioni, perché unica, irripetibile, indipendente, come ogni identità, che nessuno ha il diritto di piegare ai propri dogmi.
Paolo Tranchina – psicologo analista – Firenze
(LucidaMente, 1 dicembre 2011)
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