Sette racconti insoliti: “Storie quasi vere” (inEdition editrice) di Edgardo Tito Saronne
Un timido impiegato che comincia a intrecciare relazioni con donne (ma appare una figura fantasmatica legata alla natura); la follia improvvisa che travolge un uomo all’apparenza forte e sano ponendo dubbi sul suo passato e sul suo rapporto con la moglie; un tranquillo professore universitario che viene travolto da un concorso pilotato per una docenza; un cane che si rivela una sorta di creatura demoniaca; una malattia della pelle che non vuol guarire…
Sono alcuni dei canovacci dai quali si dipanano i sette racconti di Edgardo Tito Saronne compresi in Storie quasi vere (inEdition editrice, pp. 152, € 12,00).
Lo scarto dalla tranquilla “normalità” – Vicende molto diverse tra loro, che hanno come comune denominatore l’irruzione, all’interno del quotidiano, del reale, a volte persino piatto e banale, di un elemento stravolgente. In Dendromania, tale fattore che fa deviare dalla routine sembra paranormale e si frappone tra un falso amore e il vero amore. In ogni caso, in ciascun racconto appare un elemento inatteso che complica la tranquillizzante “normalità”, fa deragliare la realtà dai binari che ci aspetteremmo e comunque richiede ricerca, scavo psicologico, stimolando domande che non sempre trovano risposta. Ed è sufficiente una piccola deviazione da quella che è la monotonia della vita quotidiana perché, pian piano, crolli la rassicurante, o, almeno, prevedibile, quasi noiosa, situazione di partenza, con tutti i convincimenti e giudizi precedenti. Il che ci ricorda, tra l’altro, anche il surrealismo di Tommaso Landolfi o il realismo magico di Massimo Bontempelli.
Perché Leo è impazzito? – «Quasi tutta la sua vita è stata quella di un uomo sano e solido. Poi è impazzito». In questa sorta di epigrafe, in apparenza fredda e lapidaria, in realtà intrisa di straordinaria forza espressiva epigrammatica, è racchiuso il meccanismo sotteso allo sviluppo del racconto Storia di Leo (in bianco e nero). La voce narrante (Italo) cerca di ricostruire le vicende vissute con Leo, di recuperare ricordi forse quasi dimenticati, di scovare dettagli prima trascurati, per risalire alla fonte della sua malattia psichica. Ecco, pertanto, che il racconto viene a configurarsi come una quête: sono investigati i rapporti famigliari, il contrasto lavoro intellettuale/lavoro manuale, gli altri personaggi. Un cerchio di luce cerca di illuminare i dettagli di ombre che aumentano, invece di sparire, facendosi al contrario via via più impenetrabili e misteriose. E inquietanti: il territorio di buio, di deriva e di orrore che ci separa dalla luminosità e dalla verità si allarga e ci contamina.
Il meccanismo narrativo: l’inesorabile catena degli eventi – Anche in Vischio – forse il racconto più riuscito – il docente universitario di cui dicevamo sopra, dalla vita invidiabile, costituita da incrollabili certezze (lavoro, per di più svolto nella città in cui desidera risiedere, compagna, rispettabilità accademica), viene appunto “invischiato” in una vicenda che mina irrimediabilmente, suo malgrado, anzi con lui che fa di tutto per tirarsene fuori, la sua esistenza. Un meccanismo simile, fondato sulla implacabile, inesorabile, incontrastabile, catena degli eventi, si ha ne L’eczema, nel quale il protagonista, che cerca di guarire da una dermatite, si trova a essere oggetto di innumerevoli diagnosi, terapie, prognosi (con esplicito riferimento, con annessa citazione, al celebre Sette piani di Dino Buzzati, nel 1967 tradotto anche in film da Ugo Tognazzi con Il fischio al naso). È come se, una volta messa in moto un’azione che increspa la tranquilla direttrice degli eventi, si crei, similmente a quel po’ di fango e neve che genera infine una valanga, una reazione a catena incontrollabile.
Le modalità espressive, dai fitti dialoghi all’andirivieni temporale – Non sono solo gli intrecci e le invenzioni narrative a far sì che i racconti di Saronne siano singolari, interessanti e avvincenti. Anche le modalità espressive e stilistiche sono originali e contribuiscono a rendere intrigante la narrazione. Intere pagine sono riempite da fitti dialoghi, senza capoversi, tra due personaggi, che talvolta riproducono sciatte conversazioni quotidiane, logorroiche e sostanzialmente vuote, altre volte, al contrario, sono tese interrogazioni alla ricerca della verità. Un’altra modalità, in contrasto con quella dialogica, è la descrittiva: lente descrizioni di cose, paesaggi, elementi naturali… Le persone vengono colte nei loro complessi, nelle loro debolezze, nelle loro piccole manie, nei loro tic. La descrizione, allora, può pervenire a uno stravolgimento espressionistico, tendente a deformare le figure dei personaggi, come nel finale di Vischio. Finale, tra l’altro, che, con l’accanito, prepotente sconvolgimento della verità e della legalità (nel racconto da parte di politici ed establishment universitario), ci ha ricordato quello “onirico” del film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Elio Petri, 1970). Poi, che tale orribile, sfrontata arroganza appartenga al potere politico, militare, poliziesco o accademico, poco importa. In altre occasioni, con scatto surrealista, oggetti o parti del corpo umano prendono vita («Quel giorno credetti di vedere il grande seno destro della dottoressa curiosare nella mia direzione», L’eczema). E, ancora, molto presente, specialmente ne La Storia di Leo, è la dimensione dei pensieri, delle riflessioni, in particolare dei ricordi, della dialettica presente-passato, con un continuo andirivieni tra i due piani, con una scomposizione della vicenda in varie analessi (flashback) e un notevole scollamento con la regolare successione-sequenza dei tempi della fabula narrativa.
Il criptico messaggio degli oggetti – Saronne sa cogliere le sfasature e i misteri celati entro la consuetudine del reale così come, al contrario, le rivelazioni, i messaggi che esso comunque ci invia attraverso la natura e misteriose presenze (Dendromania), gli animali (il sorprendente cane Teufel ne Il cucciolo) o, magari, attraverso gli oggetti, come nel brano che apre il libro: «A volte – s’era negli anni Settanta – pareva che il ticchettio delle dattilografiche, le scariche delle telescriventi e dei calcolatori, l’imperversare dei timbri e delle graffettatrici avesse un senso. Si stabilivano dei ritmi come quelli delle antiche locomotive o della fonderia, delle ansiose sequenze in crescendo, dei subitanei silenzi, come se tutto fosse sospeso. Ma erano attimi, forse solo proiezioni della mente, e ritornava il caos. A volte c’era qualcosa di spaventosamente incontrollabile anche nel funzionamento di una semplice dattilografica elettrica. Quel suo reagire sempre uguale, inesorabile, al tocco incerto, come a quello impresso con rabbia. Ostinata, la testina sferica si torceva e scattava, imprimeva uno dopo l’altro simboli diversi e uguali che non avevano rapporto con la volontà e i sentimenti umani».
Inconscio, sogno, eros – C’è appunto da chiedersi se non sia l’inconscio a focalizzare e a dare significato, per i suoi fini e per fornire messaggi al conscio, a ciò che, invece, potrebbe essere semplice materia inerte. Non a caso, nei racconti di Saronne troviamo di frequente l’eros, il sogno, a sua volta spesso associato appunto alla dimensione sessuale (si veda La Donna del sogno). Ecco, allora, che ciò che poteva apparire sfasatura del reale si mostra come tentativo prepotente dell’Es di emergere, per fornire all’Io quell’energia di cui la nostra povera parte conscia, schiacciata proprio dal quotidiano e dalla repressione degli istinti, ha bisogno per ritrovare la gioia vitale. Una scia luminosa su cataste di detriti e illusori fondali di dissolvenze…
L’immagine: la copertina di Storie quasi vere (inEdition editrice) di Edgardo Tito Saronne.
Rino Tripodi
(LM MAGAZINE n. 18, 22 agosto 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 68, agosto 2011)