Da pochi giorni “Una ferita aperta” è un ebook, disponibile on line su Amazon: una nuova versione, completamente rivista e corretta, dal titolo “L’eclisse dell’ombra”. Contro la “cultura del silenzio”
Una storia d’amore e una discesa nell’inconscio. E, forse, una dolceamara fiaba didascalica, con un lupo cattivo, ma a lieto fine. Così, in sintesi, si può definire il romanzo degli psicoterapeuti Renzo Rocca e Giorgio Stendoro L’eclisse dell’ombra. Una rinascita dopo l’abuso, da pochi giorni in vendita on line nella versione kindle, presso Amazon, a € 4,42).
Il libro era già uscito nel settembre 2007 per le edizioni Sovera col titolo Una ferita aperta (pp. 160, € 12,00). Il nostro direttore, Rino Tripodi, l’aveva segnalato nell’articolo Il trauma dell’abuso: l’orrore e la rinascita (vedi anche, sempre su LucidaMente, la recensione – «Il caso di Sandro» – di un’altra pubblicazione di Rocca e Stendoro, il saggio La perla e la tartaruga). Nel gennaio 2014 il romanzo, rivisto in alcune parti, è stato tradotto in lingua inglese per il mercato angloamericano col titolo My Betrayed Youth, disponibile come ebook, sempre per Amazon, a € 3,53. L’eclisse dell’ombra si presenta come una nuova versione italiana dell’opera, completamente riveduta e corretta. Attraverso i pensieri dello stesso protagonista, Gianni Caccini, il lettore, pagina dopo pagina, potrà scoprire i momenti diversi che, lungo dieci anni, caratterizzano, a volte con accenti realistici, a volte all’interno del grande teatro dell’immaginazione, la sua storia, permeata anche dall’ingranaggio della violenza pedofila.
Gianni è vittima di chi ignora l’amore e il rispetto per la persona e la dignità umana. Nel libro vengono narrate anche vicende brutali, cui fanno da sfondo Milano, Lugano, Cortona, le foreste incantate del Brasile, la magia dell’India, il fascino di Mumbai e delle spiagge da sogno dello Sri Lanka. Intorno a Gianni ruotano personaggi in bilico tra il cinismo e la ferocia, capaci di sparire senza lasciare traccia grazie all’agghiacciante copertura della cultura del silenzio.
Tuttavia, qualcosa cambia. La nonna, con le sue risonanze affettive talvolta umoristiche, assieme a una coppia di amici, dispensatori di saggezza, il sentimento della luminosa fidanzata e uno psicologo, lo aiutano a ritrovare l’amore, l’amicizia e il coraggio di riproporsi con fiducia alla grande avventura dell’esistenza e al flusso della vita. Così, palpiti di luce vitale, filigrane musicali sempre più potenti, fanno via via eclissare le ombre della violenza e permettono al protagonista di rinascere. Del romanzo offriamo di seguito – come assaggio per il lettore – un lungo brano del Capitolo 1, nel quale si hanno le prime avvisaglie dell’approccio pedofilo di Paolo nei confronti dell’ancora inconsapevole Gianni.
Nei giorni seguenti la mamma mi ha dato un bacio sulla guancia, dicendomi: «Se avrò fortuna farò un po’ di soldi e li investirò. L’unica cosa che conta è che noi due siamo insieme». Io l’ho ascoltata, credendoci. Rintanato nella mia stanza, restavo in silenzio, colmo di pensieri, e aspettavo il suo rientro con lo sguardo incollato alla porta.Un giorno la mamma è uscita dalla sua camera.
![5-Una-Ferita-Aperta[1]](https://www.lucidamente.com/wordpress/wp-content/uploads/2008/01/5-Una-Ferita-Aperta1-191x300.jpg)
Per questo avevo fretta di arrivare a casa e chiudermi nella mia camera; o, per meglio dire, la mia finta camera. Sulla parete sopra il divano letto avevo messo la foto di papà e riempivo con dei fiori l’unico vaso che c’era. A metà, la stanza era separata dal bagno grazie a una specie di angolo cucina; la mamma s’era data da fare con un buon deodorante, non so di che cosa, per dare alle due stanze un’aria accogliente. Ma non si poteva far finta che quella fosse la casa di Firenze. Perché, insomma, come dire, era troppo silenziosa.
Rifiutavo quello che la mamma mi diceva in continuazione: «Ho fatto tardi perché ho cercato di stabilire dei contatti per trovare qualche nuovo lavoro». L’idea che avevo era che andasse a guadagnare lungo il viale, come dicevano i miei compagni. Non m’importava che dicesse che Paolo era il nostro migliore amico e che era soltanto per merito suo che potevamo restare a Milano.Tale affermazione mi sembrava stupida e con me non attaccava più. Con quel suo modo duro che aveva di cercare qualcosa in me, Paolo mi faceva irritare. Inseguiva forse qualcosa che lui aveva irrimediabilmente perduto? Certi giorni, quando la noia superava i livelli di guardia, per cercare un diversivo mi sedevo davanti alla tv. Era un piacere pensare che la vita, in ogni parte del mondo, fosse piena solamente di eventi catastrofici.
Quell’uomo taciturno, con la pelle chiara e il viso un po’ spigoloso, mi ha fatto paura fin dai primi tempi della nostra convivenza, anche se c’erano delle volte in cui tentava d’esser divertente. Mi rendevo conto che ci metteva poco a diventare scontroso e insopportabile, sistematicamente privo com’era di ciò che si dice buon umore.Se gli affari andavano bene, mi prendeva la mano e mi dava la mancia. Io lo guardavo a bocca spalancata. È incredibile, ma non mi sono mai abituato a quel gesto. Non lo capivo e restavo in silenzio per un sacco di tempo. Non avevo altra scelta. I miei compagni di scuola giuravano che guadagnasse molto svolgendo delle strane attività. Come mettere ragazze carine, sui marciapiedi dei vecchi rioni, a fare le puttane. Non m’interessava niente, ma credevo a tutto quello che dicevano. Per me sarebbe stato invece necessario avere degli amici coi quali essere solidale in qualsiasi circostanza.
Quando sedeva su uno sgabello, impegnato alla cassa, Paolo aveva l’aspetto d’un camaleonte con la bocca stretta che se ne stava lì impassibile senza guardare nessuno. Rispondeva solo con un buongiorno per sembrare naturale. Faceva finta, controllando i conti, di non accorgersi di quando mia madre, per smania, per desiderio o per la voglia di bere, usciva di sera con altri uomini che aveva appena conosciuto. Per questo motivo, e per tante altre ragioni messe assieme, non mi facevano restare nel bar neanche quando c’era poca gente. Nessuno dei due mi chiedeva mai cosa stesse succedendo dentro di me, che avevo 13 anni. Nei sogni avvertivo spesso una forza che mi inquietava, ma, quando mi svegliavo, non riuscivo a coglierne la causa.Rassicuravo me stesso come meglio potevo. Verso la fine dell’anno scolastico scoprii, finalmente, il piacere sconosciuto delle polluzioni notturne.

E questo non faceva che peggiorare la situazione. Restavo immobile nel letto senza fare alcun rumore e ascoltavo nell’altra camera la mamma e Paolo che parlavano con voce soffocata da lunghi gemiti. L’aspetto più incredibile è che ciò che dicevano mi eccitava, nella fantasia. Riflettendoci adesso, il mio non era un comportamento normale, perché non mi sentivo preso dal panico o dai sensi di colpa.
Una sera mi son piazzato di fronte allo specchio del bagno completamente nudo e ho visto dei cambiamenti. Intorno al pisello mi erano cresciuti dei peli neri e ricciuti, che, a conti fatti, non stonavano con il resto del mio fisico! Era fantastico restare lì a guardarmi. Quella scoperta mi ha fatto sentire grande e padrone del mondo. Non ero più quello di prima. L’unico dispiacere era che non avevo nessuno a cui raccontarlo.La scuola era chiusa. Senza sapere cosa fare nel tempo libero, frequentavo qualche compagno di classe, senza però manifestare alcuna preferenza nei loro confronti. In un certo modo me ne fregavo e loro lo intuivano. Pazienza, ormai non si può più fare niente.
È difficile ricordare in quale momento sono iniziati, imprevedibilmente, i sogni erotici; forse avevo vinto delle resistenze. Mi svegliavo di notte, sentivo il pigiama bagnato sull’inguine e ne ero sorpreso. Tuttavia, una sola cosa mi preoccupava: avevo da porre tante domande, una dopo l’altra. Ad esempio, sui foruncoli che mi spuntavano sulla faccia. Ma avevo timore di rivolgerle alla mamma, che, d’altra parte, forse mi avrebbe aiutato. La sentivo sempre arrabbiata per ciò che succedeva nel bar. Come quella volta che me ne stavo seduto a gambe incrociate sul marciapiede. Sentivo i comandi secchi e brevi che le lanciava un poliziotto ciccione e le altrettanto secche e brevi risposte che lei gli restituiva. A quell’età, nei momenti in cui urlando lei arrivava a picchiarmi, avvertivo una gran paura. E, nelle giornate in cui mi trascurava, sentivo anche di odiarla.E non mi fermavo lì. Esprimevo con insistenza i miei stati d’animo sbattendo le porte. In quel periodo mi sono accorto del bisogno di avere degli amici cui poter volere bene.

Una sera Paolo e la mamma sono scesi nello scantinato dove si trovavano le nostre due stanze. D’altronde, le cose stavano così: le possibilità che lo spazio ci offriva erano quelle. Quando sono arrivati nella mia camera, mi hanno chiesto se avessi fatto i compiti e se andavo bene a scuola. Di tutte le sorprese che allora mi facevano, questa era la più forte. Non capivo cosa ci facesse lui di fianco alla mamma, con lo sguardo fisso davanti a me che ero disteso sul letto, come se mi vedesse per la prima volta baciare la mamma per la buonanotte.
Non comprendevo il motivo del suo ripetermi seduttivi complimenti. Alcune volte ero portato a credere che i suoi affari gli andassero bene. Sta di fatto che da quella sera – come in una sorta di sogno-ricordo – aveva cominciato a diventare, con un linguaggio spesso senza parole, un uomo affettuoso, che s’interessava a me con un calore e un trasporto affettivi. Come quando sedeva accanto a me e mi posava una mano sulla spalla.Umano, via! Ma sempre con un’aria scema.
Un pomeriggio, di ritorno a casa, sono sceso dalle scale e ho acceso la luce della mia stanza. Voltandomi di scatto, l’ho visto seduto sul mio divano letto. Ho il ricordo di aver chiacchierato sottovoce per qualche minuto, pescando dalle mie routine scolastiche. Con uno strano timbro di voce, intenzionalmente seduttivo, m’ha chiesto di sedermi sulla sponda del letto accanto a lui e di fargli compagnia. Ho detto di sì e, un po’ seccato, mi sono messo al suo fianco, convinto che ciò fosse necessario. Nel giro di pochi minuti, tenendomi le mani fra le sue, s’è sentito libero di fare con me tutto quello che gli pareva.Senza vergogna, un poco alla volta ha cominciato a lasciar scivolare le sue mani sulle mie gambe, in un modo per me curioso. Tutto compiuto quasi con la scusa di giocherellare.

Sorpreso, ma non più di tanto, ha continuato a guardarmi:
«Davvero non l’hai capito? È che hai una bella faccia, ecco tutto» mi ha ribattuto lui con una cortesia che oserei dire quasi aggraziata. Soddisfatto, s’è alzato dal letto, dandomi una palpata sul sedere: «Non ho mai visto in vita mia un culo bello come il tuo!». «Smettila!» gli ho detto gridando con molta rabbia. Mentre stava per uscire, l’ho guardato con la coda dell’occhio, per capire se stesse scherzando, se dicesse sul serio o fosse impazzito.Frammenti di un giorno molto lontano, che non riesco a ricordare con precisione. Cicatrici nel cervello e nell’anima.
I coautori Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, già docenti ordinari della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia, sono fondatori della Psicoterapia con la Procedura Immaginativa e del Metodo Stendoro-Rocca di Cura della Balbuzie (Milano), che costantemente aggiornano attraverso l’attività clinica e di ricerca svolta in Italia, in Svizzera e negli Stati Uniti. Vivono tra Campione d’Italia e Naples, Florida. Il lavoro teorico-clinico di Rocca e Stendoro prende avvio negli anni Settanta, quando i due capiscuola intraprendono un estesissimo studio di Psichiatria sociale, Psicologia, Antropologia culturale, Sociologia, Pedagogia e Musicologia. Sono autori di molteplici pubblicazioni: varie monografie, 14 libri in italiano e uno in inglese, alcune centinaia tra articoli scientifici e divulgativi. Curano la Collana di Psicologia Clinica Rocca-Stendoro (Armando Editore, Roma).
Le immagini: la vecchia copertina della versione cartacea e le nuove copertine del libro nelle versioni kindle; Renzo Rocca e Giorgio Stendoro.
(m.d.z.)
(LucidaMente, anno X, n. 118, ottobre 2015)