Qual è il giusto rapporto tra Uomo e Natura? Conservazione e cambiamento sono concetti da valutare in modo intelligente ed elastico
A completamento dei recenti articoli Chi sono i veri “signori della Terra”? del direttore Rino Tripodi e di O l’uomo o la natura di Paolo D’Arpini, riceviamo da un ex docente di Scienze naturali e volentieri pubblichiamo. Inoltre, cfr. anche, in questo stesso numero di LucidaMente, Simmel, la “tragedia della cultura” e la società moderna di Isabella Parutto.
Non pochi ritengono che l’Uomo in Natura arrechi distruzione, disequilibri, dunque infelicità alla Natura, «Maestra dei Maestri», come la definiva Leonardo da Vinci, che considerava l’uomo solo un grande budello utile per alimentarsi. Con l’età dell’oro di Esiodo, ancora si dava credito ai miti di dei che regolavano la vita degli uomini accoppiandosi con alcuni e creando i semidei.
Poi la razionalità umana, liberatasi da quella magica e mitologica, ha creato il pensiero antropocentrico, biocentrico ed ecocentrico relativamente al rapporto Uomo-Natura. L’Antropocentrismo tanto apprezzato in epoca rinascimentale, in cui era l’Umanità che si liberava, in gran parte, del Dio opprimente, e produceva arti mirabili. Poi l’antropocentrismo ha alimentato la scienza e la tecnica positivista fino ai nostri giorni, sia pure satireggiata da pensatori del calibro di Giacomo Leopardi. La moda culturale anglosassone ha sostituito l’Antropocentrismo con il Biocentrismo che vede la vita al centro e non più l’Uomo, che, addirittura, ritiene dannoso per la Natura. Da qui le correnti maggioritarie di pensiero ecocatastrofista di cui la giovane svedese Greta Thunberg rappresenta una bandiera globale, anche se Donald Trump la sculaccerebbe e manderebbe a scuola, a differenza dei suoi genitori permissivi!
L’ecocatastrofismo domina i mass media dell’informazione e si affaccia nei libri, più o meno timidamente anche in quelli di Scienze naturali. In quelli di Scienze umane, l’ecocatastrofismo è dominante e intriso spesso di paure varie e di sociologia superficiale. Non è ancora diffuso il pensiero ecocentrico, cioè con l’Ambiente al centro, intendendo per Ambiente l’insieme di Natura e Cultura. Di questa neocorrente di idee fa parte chi scrive e trova nelle aule universitarie di Lione un esponente di rilievo internazionale in Alain Pavé. A me, per scelta e non per imposizione, è toccato frequentare presso l’Università di Padova un corso biennale postlaurea di Ecologia umana.
Durante il corso, patrocinato da otto università europee tra cui quella della città veneta, si sono svolte lezioni e seminari sul campo di più discipline sia relative alle Scienze naturali sia a quelle umane. Tra queste seconde ricordo quella del sociologo, di origine ebraica, Sabino Acquaviva, assolutamente originale nel panorama sociologico europeo. Quando studiavo Scienze naturali all’università, nel preparare l’esame di Ecologia, utilizzai un saggio di Howard Thomas Odum che, con il senno di poi, giudico positivo in quanto scevro di ideologie antropocentriche, biocentriche e anche ecocentriche. Tuttavia, egli presentava i climax (foreste equatoriali e scogliere coralline) definendoli «felicità della natura». Dunque, anche uno studioso del calibro di Odum è biocentrico? No; ma perché egli vede la felicità nella Natura dove non c’è l’Uomo? Questa idea lo farebbe accumunare agli attuali biocentristi, spesso causa dell’ecocatastrofismo ideologico, che fa vedere dappertutto disastri della natura causati dall’uomo.
Il biocentrismo giunge perfino nella legislazione inglese, che autorizza il testamento di un essere umano in favore del proprio cane, gatto, ecc., scelta non permessa dal Diritto romano, come in Italia. Nel nostro Paese è sì possibile fare un lascito testamentari ai nostri beniamini, ma non agli animali direttamente, bensì alle associazioni che curano le bestiole; dunque da persone a persone e non da persone ad animali diversi dall’Homo sapiens. Il biocentrismo potrebbe condurre anche a non condannare un pompiere che nell’incendio di una casa, salva prima il cane, il gatto, il pappagallo e poi, se c’è tempo, anche le persone.
Ancora nella cultura giuridica romana o latina si salva prima l’animale Homo sapiens. Il rapporto Uomo-Natura non è così semplice e forse il biocentrismo dimentica che siamo noi a far parlare il cosmo e la Natura stessa; non è la Natura che ci parla, ma è il sistema complesso delle cellule del pensiero neuronico, nonché la legge biogenetica fondamentale per cui, secondo la celebre teoria di Ernst Haeckel, «l’ontogenesi ricapitola la filogenesi». Non sarei comunque così certo nel sostenere solo l’ipotesi neodarwinista della vita originata sul pianeta Terra 3,6 miliardi di anni fa. Il mito cartesiano del “penso per cui sono” mi affascinava in età studentesca, oggi mi affascina l’altro mito “penso per cui dubito”! In conclusione, se conservare è utile per la salvaguardia dell’ambiente naturale (che comunque subisce ciclicamente glaciazioni, interglaciazione e ritiro dei ghiacciai come oggi), innovare lo è per l’ambiente culturale.
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Giuseppe Pace
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 179, novembre 2020)