Film insoliti, suggestivi, da (am)mirare senza starci a pensare più di tanto. Magari le narrazioni non sono perfettamente riuscite, ma le forme e le atmosfere…
Letto numero 6 (2020) di Milena Cocozza. Con Carolina Crescentini, Andrea Lattanzi, Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Citran. Dopo il capolavoro Il signor diavolo di Pupi Avati e i già segnalati Peter Cruel e Fairytales di Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini, ecco il quarto splendido horror nazionale ambientato nei nostri inquietanti territori targato Rai Cinema (tutti film fruibili gratis su RaiPlay). Una Roma poco solare: entro un ospedale pediatrico cattolico, fantasmini malvagi, ninne nanne inquietanti, un doppio mistero celato ipocritamente. Un po’ ripetitivo e schematico, ma fa davvero provare spavento! Data la collocazione urbana e il coprotagonista, un effettivo “film de paura”… Passaggio su RaiPlay.
The Room. La stanza del desiderio (2019) di Christian Volckman. Con Olga Kurylenko e Kevin Janssens. Casa, anzi stanza stregata, ma senza le solite banalità del genere. Un altro bell’horror europeo, nello stesso anno di Vivarium e con molte analogie (la giovane coppia, l’impossibilità a evadere dall’abitazione, il figlio-non figlio, il complesso di Edipo). Finale attorcigliato e che lascia spazio a un sequel.
Vivarium (2019) di Lorcan Finnegan. Con Imogen Poots e Jesse Eisenberg. A una giovane coppia in cerca di un posto dove abitare viene offerta una splendida villetta a schiera in un nuovo, enorme, complesso residenziale, ancora disabitato, dai colori pastello, dove il cielo è sempre celeste con nuvolette rosa e non si sente alcun rumore. Però, tutto è strano e straniante… Pochi attori, ma indovinati, basso costo, risultati eccezionali. Grafica, colori e fotografia irreali e surreali. Claustrofobico. Inquietante. Impressionante. Perturbante. Allucinante. Personaggi davvero alieni. La dimostrazione che, se si hanno idee buone e originali, si può fare splendido cinema fantastico senza hollywoodiani effettacci, zombie, vampiri, invasioni extraterrestri e case maledette.
Serenity. L’isola dell’inganno (2019) di Steven Knight. Con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Diane Lane, Jason Clarke. Da sopportare fino a oltre metà, poi inizia il bello, cioè il sorprendente ribaltamento della prospettiva… Comincia come banale vicenda (la moglie che vuol far eliminare l’insopportabile marito in mare aperto) già narrata in molte altre pellicole e si trasforma in tutt’altro. Uno dei pochi film che non solo rovescia l’orizzonte iniziale, ma che cambia del tutto di genere. Attori maschili rozzi al di là dei personaggi loro assegnati. Passaggio su Mediaset Infinity.
The Nest-Il nido (2019) di Roberto De Feo. Con Francesca Cavallin, Justin Korovkin, Ginevra Francesconi, Maurizio Lombardi. Ancora una volta il nuovo cinema italiano horror-gotico fa centro, anche riprendendo alcune vecchie atmosfere-stereotipi dei nostri maestri del genere: la villa isolata, la madre tirannica-iperprotettiva, il bambino solitario quanto separato dagli altri, la giovinetta trasgressiva in pericolo, la famiglia “strana”, ambigui e odiosi personaggi (e altri, di contorno, volgari), strane regole e riti misteriosi. Luci ovattate e spesso oscurità quasi totale. Perché nessuno può allontanarsi dall’abitazione e dal suo vasto giardino? Finale inaspettato e sconvolgente. Passaggio su RaiPlay.
In fabric (2018) di Peter Strickland. Con Marianne Jean-Baptiste e Hayley Squires (e, soprattutto, l’inquietante Fatma Mohamed) – Un abito maledetto e una boutique di lusso con le sue svendite e lo strano personale. Ghost story? Horror quasi gotico? Denuncia del consumismo (e chi se ne frega)? Noioso, a tratti insopportabile, trama prevedibile, astrusa divisione in due episodi separati… eppure affascinante. Colori fluorescenti, luci, luminosità, atmosfere e fotografia retrò. Omaggio al cinema italiano horror degli anni Settanta (Bava, Freda, Fulci, certo Argento ecc.). Di grande importanza per la riuscita del film l’ampia, ripetitiva, colonna sonora dei Cavern of Anti-Matter: elettronica, ipnotica, indefinibile, estraniante (è possibile ascoltarla qui). Trasmesso anche su RaiPlay.
The Girlfriend Experience (2016-…) di Autori vari. Con attrici e attori vari. Serie tv trasmessa su Infinity. Patinata, erotica, lenta, noiosa, fredda, avvolgente, lussuosa, cupa, con un sordo rumore d’ambiente come costante sottofondo… Come spesso capita per le opere insolite, o la si odia o la si ama. Se ne può leggere la recensione completa in Ma The Girlfriend Experience sembra un film di Lynch.
Blood Drive (2017, conosciuto anche come Midnight Grindhouse Presents Blood Drive) di James Roland, serie televisiva per la rete via cavo Syfy, interrotta dopo una sola stagione e tredici episodi di 45 minuti l’uno. In Italia su Infinity, quindi in chiaro su Canale 20 e su Italia 1. Folle distopia. Violentissima, disgustosa, creativa, frenetica, tarantiniana, stupida/geniale, ributtante, rivoltante, politicamente scorretta, eccessiva, rutilante, coloratissima, splatter. Personaggi folli e recitazioni smisurate. Summa dei fumetti e dei film di serie B. Celebrata dalla critica, molto meno dal pubblico.
Autopsy (2016) di André Øvredal. Con Emile Hirsch e Brian Cox. Horror necrofilo. Notte, maltempo, un misterioso cadavere di giovane donna da sezionare in una sala autoptica da padre e figlio… Pochi ingredienti (e attori) per raggiungere l’originalità. Climax sempre crescente e non del tutto scontato. Incredibile Olwen Kelly, vera protagonista del film, la più bella morta mai apparsa sullo schermo e, al contempo, l’attrice più immobile della storia del cinema. E tutt’altro che bella addormentata!
Fairytale (2012) di Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini. Con Harriet MacMaster-Green, Sabrina Jolie Perez, Jarret Mertz, Paolo Paolini, Susanna Cornacchia, Massimiliano Carnevale. Uno dei migliori horror ambientati in Italia. Geniale l’accostamento alla Littoria mussoliniana. Tensione dall’inizio alla fine. E il fascino di atmosfere e architetture fasciste. Abbastanza bravi gli interpreti. Gratis su Rai Play.
Under the skin (2011) di Jonathan Glazer. Con Scarlet Johansson e Adam Pearson. Indiscutibili la bellezza malinconica del freddo e piovoso paesaggio scozzese e la suggestione di alcune originali sequenze. Così come la ripresa dei contenuti de L’uomo che cadde sulla Terra e Specie mortale. Ma anche la noia complessiva. Per il resto, lasciamo il giudizio al pubblico. Geniale o pretenzioso? Ricco di contenuti e messaggi o vuoto? Affascinante o tedioso? Brillante o monotono? Coinvolgente o gelido come il ghiaccio? Narrazione originale o statica e ripetitiva? Adorabile o insopportabile? E la Johansson è alla sua prova migliore o è solo inespressiva?
L’arrivo di Wang (2011) di Antonio e Marco Manetti. Con Ennio Fantastichini, Francesca Cuttica, Antonello Morroni, Juliet Esey Joseph, Jader Giraldi. Buon tentativo di fantascienza italica, a opera dei Manetti bros., poco convincenti nelle loro altre regie cinematografiche. La prima volta che si vede sembra mal recitato, povero, sconnesso, con momenti grotteschi e lo si salva solo per il finale (politicamente scorretto, ed è un gran pregio). La seconda volta ci si accorge che funziona tutto o quasi. Appunto, da rivedere. Ingannevole e fuori dagli schemi. Reperibile su YouTube.
After life (2009) di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo. Con Liam Neeson, Christina Ricci, Justin Long, Josh Charles, Celia Weston. La protagonista è morta e non se ne rende conto o è vivissima? Film sgradevole, ambiguo, inquietante, claustrofobico, ansiogeno. Una riflessione sui sottili confini vita-morte, senza troppe concessioni allo spettacolo. La suspense funziona o è insopportabile? Odioso l’algido impresario di pompe funebri interpretato da Neeson. Cristina Ricci sempre dark e funerea.
Walhalla Rising (2009) di Nicolas Winding Refn. Con Mads Mikkelsen, Gary Lewis, Jamie Sives, Alexander Morton. L’ascesi di un guerriero muto e privo di un occhio, ma invincibile, nei paesaggi incontaminati della Scandinavia. Per chi ha amato il misticismo nordico di Bergman, lo stupore della potenza della natura incontaminata di Herzog, la visionarietà e il rigore della regia di Dreyer e von Trier, non a caso danesi come Winding Refn. Lento, statico, insopportabile. Violento, spietato, selvaggio. Tetro, monocorde, disperato. Pittorico, ipnotico, contemplativo. Per pochi, pochissimi. Eletti.
The Limits of Control (2009) di Jim Jarmusch. Con Isaach De Bankolé, Alex Descas, Jean-François Stévenin, Óscar Jaenada, Tilda Swinton, John Hurt, Bill Murray. Il killer più improbabile della storia del cinema, che viene indirizzato alla propria misteriosa missione da indizi ancora più ermetici. Ripetitivo (come la parola d’ordine, sempre uguale), enigmatico, inspiegabile. Personaggi-marionette (di un oscuro destino?) volutamente inespressivi, soprattutto il protagonista, che non parla quasi mai. Eppure, film affascinante: basta lasciarsi andare al flusso delle immagini. Basato su minimalismi, anomalie, reiterazioni, sciarade senza chiave e senza soluzione. E omaggio alle arti. Tutte. Un viaggio in lungo e in largo per una splendida Spagna luminosa e coloratissima. Serie di cameo di celebri attrici e attori.
Il nome del mio assassino (I Know Who Killed Me, 2007) di Chris Sivertson. Con Lindsay Lohan, Julia Ormond, Neal McDonough, Brian Geraghty. Diciamo subito che ha stravinto molteplici Razzie Award, vale a dire gli Oscar del peggio del cinema statunitense. Sgangherato, difettoso, disgustosamente splatter, attori svogliati. Citazioni e atmosfere da De Palma, Hitchcock, Lynch. Comunque, non male il tema del doppio e la sorpresa finale. Particolare lo stilema del blu che caratterizza tutto il film.
Æon Flux (2006) di Karyn Kusama. Con Charlize Theron, Marton Csokas, Jonny Lee Miller, Sophie Okonedo, Amelia Warner. Dai cartoon di Peter Chung (anni Novanta, su Mtv), già eccentrici, stranianti e raffinati; altro che giapponeserie. Non importa la storia, non ci sono tematiche o significati, sceneggiatura goffa, dialoghi inutili. Bellezza degli esterni e degli interni. Splendidi scenografie, fotografia e costumi. Buona la musica. Colori freddi, non di questo mondo. E, infatti, Charlize Theron non è umana. È una dea.
Black Box (La boîte noire, 2005) di Richard Berry. Con José Garcia, Marion Cotillard, Michel Duchaussoy, Bernard Le Coq. Thriller, ma la ricerca della verità è un’indagine individuale che passa attraverso il recupero di ciò che è rimasto sepolto nel proprio inconscio, tessere di un puzzle indistinguibile. Colori cupi, fotografia calibrata per una realtà soggettiva, e quindi oggettiva, confusa, ambigua e sempre in movimento, entro la quale tutto si mescola e in cui mascheramenti, mimetizzazioni, volti, trasfigurazioni, sostituzioni, censure, sublimazioni, si mostrano per quello che sono soltanto alla fine.
Codice 46 (Code 46, 2003) di Michael Winterbottom. Con Tim Robbins, Samantha Morton, Om Puri, Jeanne Balibar. In un prossimo futuro, tutto è sottoposto ad autorizzazione, dagli spostamenti alla procreazione). Un incubo nitido e pulito, un totalitarismo tecnocratico e “dolce” sotto il quale non si è più liberi di amare chi si desidera. Esseri solissimi che si amano disperatamente, ma senza alcun futuro o prospettiva. Paesaggi grandiosi. Città al neon. Affascinanti fotografia, recitazione, musiche, montaggio, ritmo straniante.
L’imbalsamatore (2002) di Matteo Garrone. Con Ernesto Mahieux, Valerio Foglia Manzillo, Elisabetta Rocchetti, Lina Bernardi, Pietro Biondi. Intanto, l’interpretazione teatrale di Mathieux vale da sola la visione del film. E, poi, frammenti del reale che diventano iperreali, storie di personaggi ai margini, piccole e grandi violenze, degrado che a volte sembra animarsi di un proprio fascino accattivante… E non si capisce dove si colloca il confine tra bene e male, amicizia e sfruttamento, amore e inganno.
Le forze del destino (It’s All About Love, 2002) di Thomas Vinterberg. Con Joaquin Phoenix, Claire Danes, Sean Penn, Douglas Henshall, Alun Armstrong. 2021: la Terra è sconvolta dai cambiamenti climatici. Freddo ovunque, ma senza alcuna disperazione o isteria. Tutti han parlato male dell’opera seconda del regista di Festen. Sì, il film non funziona, ma ha in sé il fascino di una fine del mondo immersa in un’armonia straziante. Il titolo originale rende di più l’idea.
Mulholland Drive (Mulholland dr., 2001) di David Lynch. Con Justin Theroux, Naomi Watts, Laura Harring, Ann Miller, Robert Forster. Allegoria del successo cercato e della società dello spettacolo che divora i malcapitati. Film con molte sfasature, slabbrato, eppure il genio di Lynch, la sua visionarietà, le sue immagini irreali (o iperreali) e le sue allucinazioni, che sfiorano l’astratto assoluto, avvolgono e affascinano lo spettatore. La sequenza dell’amore saffico tra la Watts e la Harring se la gioca come la più bella scena lesboerotica della storia del cinema con quella del duo Deneuve-Sarandon in Miriam si sveglia a mezzanotte (vedi https://www.lucidamente.com/5850-bellissimi-e-strani-da-rivedere/).
Intacto (2001) di Juan Carlos Fresnadillo. Con Leonardo Sbaraglia, Max von Sydow, Eusebio Poncela, Mónica López, Antonio Dechent. Metafisico discorso filosofico su fortuna, caso, destino, fato, caos, vita. Sterminati incroci di esistenze, illusori e devianti. Foto delle persone come riflesso della loro energia. Indimenticabili la scena della cavalletta che, al buio, si appoggia sulla testa del protagonista e la sequenza della sfrenata corsa, a occhi bendati, tra gli alberi del bosco. Ottima colonna sonora. Insomma, elegante, raffinato, imprendibile… come la Fortuna.
https://www.lucidamente.com/5850-bellissimi-e-strani-da-rivedere/.
Rino Tripodi
(LucidaMente, 2011-2022)
Comments 1