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Bellissimi (e strani) da (ri)vedere

Film insoliti, suggestivi, da ammirare senza usare la razionalità. Magari le narrazioni sono quasi incomprensibili, ma stili, forme e atmosfere... Appunti bizzarri

Rino Tripodi by Rino Tripodi
5 Aprile 2025
in VIDEO-CLIP
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Bellissimi (e strani) da (ri)vedere
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Film insoliti, suggestivi, da ammirare senza usare la razionalità. Magari le narrazioni sono quasi incomprensibili, ma stili, forme e atmosfere… Appunti bizzarri

Dark city (1998) di Alex Proyas. Con Rufus Sewell, William Hurt, Kiefer Sutherland, Jennifer Connelly, Richard O’Brien. Autore il regista de Il corvo, anch’esso totalmente notturno, anticipa di un anno il sopravvalutato Matrix e le sue tematiche: alieni ipertecnologici, realtà virtuali, uomo-macchina. Di meglio, l’ambientazione dark e retro, la visionarietà, l’assenza di misticismi, maggiore umanità. Un forte grido contro il potere che vuole dirigere il destino dell’uomo e sopprimerne la libertà.

Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1998) di Tony Scott. Con Catherine Deneuve, David Bowie, Susan Sarandon, Cliff De Young. Dopo uno splendido inizio, narrativamente non tiene la lunghezza, ma poco importa. Il titolo italiano (e la locandina) è orribile (sa di horror per adolescenti…), ma anche quello originale (“Fame”, del resto uguale al titolo del romanzo di Whitley Strieber da cui è tratto il film) non rende la bellezza patinata dell’opera, le sequenze perfette, la raffinatezza di immagini e musica (Schubert, Delibes e Bauhaus, tanto per dire). Elegante e raffinato come un lungo (elegante e raffinato) videoclip degli Anni Ottanta. Amore, morte, destino. Dark, romantico-gotico, malinconia e decadentismo. Eros maledetto e sublime. Coppia separata dall’invecchiamento di uno dei due. La voglia ferina, primitiva, disumana, di vivere e di amare. Limiti del corpo e animalità. Il mistero del Male (l’orrore della povera bimba uccisa, seppure amata) spiegato come tragica necessità, legge di natura e di sopravvivenza, che coinvolge i carnefici, quanto i martiri, tutti vittime di un fato spietato: a questo mondo l’innocenza costituisce uno scandalo, non è consentita, verrà distrutta. Bellezza algida e altera, sovrumana. Bowie mai così bravo. Deneuve, una dea. Anche se pare che l’attrice francese abbia usato una controfigura, la sequenza saffica tra lei e la Sarandon è stata definita la più erotica del genere lesbo (ma vedere anche Watts-Harring in Mulholland Drive). In sottofondo, il canto della schiava Mallika e della principessa Lakmè da Delibes (Flower Duet o Sous le dôme épais).

Perdita Durango (1997, ma distribuito in Italia solo nel 2004) di Álex De la Iglesia. Con Rosie Perez, Javier Bardem, Harley Cross, Aimee Graham, James Gandolfini. Dall’omonimo romanzo di Barry Gifford, da cui era già stato tratto Cuore Selvaggio di David Lynch. Quando la copia supera l’originale (Quentin Tarantino). Bruttissimo/bello. Sgangherato. Una porcheria. Splatter. Volgare. Delirio sfrenato di un Es senza più limiti. Insopportabile, specie nel misticismo collegato alla violenza gratuita. Sesso imbarazzante. Fenomenale Javier Bardem.

Smoke (1995) di Wayne Wang e Paul Auster. Con Harvey Keitel, William Hurt, Forest Whitaker, Stockard Channing, Ashley Judd. Fumo  e preziosi sigari cubani. Film sull’amicizia virile, ma anche costruito su storie umane, umanissime. C’è dolore, c’è gioia, c’è calore, c’è la banalità, c’è la normalità che convive con la diversità e l’eccentricità… Insomma, c’è la vita. Un gioiello, verso la fine del film, il “racconto di Natale”. Illusione e umanità. I giochi e le regole del caso. Rapporti umani  e relazioni difficili, ma sorprendenti. Sullo sfondo, pudicamente, l’amore e l’eros.

La città dei bambini perduti (La cité des enfants perdus, 1995) di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro. Con Ron Perlman, Judith Vittet, Dominique Pinon, Daniel Emilfork, Jean-Claude Dreyfus, Rufus, Serge Merlin. Fiaba nera, al limite del grottesco, curatissima nell’iconografia, nelle immagini e nelle atmosfere. Autori attenti fino all’estremo a ogni particolare, ogni oggetto, ogni sfumatura di colore. Stile tra il gotico, il visionario e il retro sci-fi. Grandissimo Daniel Emilfork, già indimenticabile nel Casanova di Fellini, e il suo straniante volto-maschera.

Satantango (1994) di Béla Tarr. Con Peter Berling, Mihaly Vig, Putyi Horvath, Erika Bok. La fine del comunismo e l’abbruttimento-redenzione. Insopportabile e affascinante. Prolisso (435 minuti) e non sintetizzabile. Poetico e puzzolente. Umanità e imbestiamento. Solo per cinefili che vogliono percorrere un’esperienza mistica simile a quelle dei film di Andrej Tarkovskij. Dall’omonimo romanzo dello scrittore ungherese (come il regista) László Krasznahorkai.

L’elemento del crimine (Forbrydelsens element, 1984) di Lars von Trier. Con Michael Elphick, Me Me Lay, Esmond Knight, Jerold Wells. Cosa si può scoprire su se stessi attraverso l’ipnosi di uno psicanalista-stregone del Cairo? Un’Europa buia, miserabile e degradata su cui piove sempre. Uno psicotico che assassina bambine. Un detective che cerca di immedesimarsi in lui per scoprirlo. Strani personaggi. Scene surreali. Da lasciarsi andare, visivamente, fotogramma per fotogramma. Colori irreali. Fantasmagorico, espressionista, delirante esordio del danese von Trier, che poi ci deluderà per eccesso di teorizzazione.

La fortezza (The Keep, 1983) di Michael Mann. Con Scott Glenn, Ian McKellen, Alberta Watson, Jürgen Prochnow, Robert Prosky. Carpazi, 1941, uno scenario “altro” nell’inferno della seconda guerra mondiale: una misteriosa e invisibile creatura, malauguratamente liberata dall’avidità umana, comincia a sterminare i soldati tedeschi occupanti. Tratta da un visionario romanzo di F. Paul Wilson, è un’apparentemente stramba, al limite dell’impossibile, contaminazione di film nazi (ebrei compresi), mistico, fantascientifico tra Alien e Predator, horror gotico. Eppure, non solo affascina per gli insoliti effetti scenografici, ma si rivela alla fine persino una non banale riflessione sull’ambiguità del male (cosmico). Belle citazioni visive di Nosferatu e della pittura di Caspar David Friedrich. La magnifica, enfatica, gonfia, sontuosa colonna sonora è dei Tangerine Dream (http://www.youtube.com/watch?v=_8ebLtpu7NA; http://www.youtube.com/watch?v=Oc6tflsFlN4). La “creatura” è stata disegnata dal fumettista Enki Bilal e ricorda, anche per lo sviluppo della vicenda, il golem ebraico.

Il profumo della signora in nero (1974) di Francesco Barilli. Con Mimsy Farmer e Mario Scaccia. Storia quasi incomprensibile, fotografia discutibile, con prevalenza dell’oscurità, delirante, geniale in ogni singola sequenza. Tra Rosemary’s baby e il migliore Dario Argento. Deliziosa la Farmer, la cui fragile quanto sensuale corporeità è già pura interpretazione dei film del genere thriller-horror.

Morire gratis (1968) di Sandro Franchina. Con Karen Blanguernon, Franco Angeli, Isabel D’Avila, Mario Pisu. Sorprendente on the road esistenziale italiano, molto in anticipo sui tempi. Affascinante bianco e nero. L’anno di realizzazione non è casuale. Una sorta di deriva e di cupio dissolvi senza salvezza e, al contempo, un affresco dell’Italia degli anni Sessanta. Imperfetto, ma affascinante. Opera unica di Franchina. Franco Angeli, artista romano di piazza del Popolo, quasi interpreta se stesso. Visto da pochissimi, dimenticato, recuperato e valorizzato di recente grazie anche a Fuori orario. Cose (mai) viste di Rai 3. Impossibile trovarne una copia, vederlo su YouTube.

Dementia (Daughter of horror, 1955) di John Parker. Con Adrienne Barrett, Richard Barron, Ed Hinkle, Lucile Howland). Uno dei film più “maledetti” della storia del cinema (undici processi e opera unica di un regista di cui non si sa nulla). Una giovane si sveglia nella stanza di uno squallido hotel e s’impossessa di un coltello a serramanico. Inizia un infernale giro notturno per la città: incontri da incubo con ubriaconi, poliziotti, molestatori e altri personaggi sgradevoli, mentre si fanno sempre più ossessionanti i ricordi e visioni di un’infanzia tormentata, con la mente della donna che sembra precipitare nella follia. Una singolare mescolanza di cupe atmosfere noir e horror, riferimenti psicanalitici, influenze del cinema espressionista tedesco e degli esperimenti surrealisti, per di più in un contesto jazz. Sembra quasi il film al quale possa essersi ispirato tutto David Lynch, da Eraserhead a Blue Velvet, da Mulholland Drive a Strade perdute (vedi anche Dementia, una discesa noir negli inferi della psiche).

Per altri film “particolari”, prodotti negli anni Duemila:
https://www.lucidamente.com/bellissimi-e-strani-da-rivedere-degli-anni-duemila/
 
L’immagine: a uso gratuito da Pexels (autore: Clem Onojeghuo).
 
Rino Tripodi

(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)

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Tags: cinemafilm straniLars von TrierSatantango
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