Una poesia dedicata alle piccole vittime degli abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti
Lui dice che repetita iuvant
Lui m’abbraccia
Io stringo in tasca i pugni
Lui si siede
Io mi siedo
Lui mi tocca il ginocchio
Io accavallo le gambe
La sua mano s’incastra
Lui dice che è stato bello
Io stringo i denti
Lui dice che l’amore non è peccato
Io mi sporco per l’eternità
Lui mi offre un succo
Io lo chiedo di pera
Che meglio cancella il sapore del suo bianco succo
Lui beve un caffè
Io fatico a deglutire
Lui mi dice non dirlo ad anima viva
Per me sono tutti morti
E resto in silenzio
Lui dice che i miei genitori non capirebbero
Lui dice che sono bravi cattolici
Io concordo
Chi non vuol vedere non vede
Lui dice che mi vuole ancora
Dice che repetita iuvant
Dice che una mano lava l’altra
Dice che non c’è nessuno come me
Io so che ne esistono molti altri
Sporchi, paralizzati, muti come me
Lui dice che possiamo studiare assieme
Dice che m’aiuterà
Dice che faremo i compiti di latino
Lui mi tocca il petto da bambino
Lui dice che repetita iuvant
Lui sorride di sorrisi neri
Come la sua veste
Lui mi sporca la bocca di bianco succo
Come il suo collare
Lui dice che non ha paura né di Dio né di Gesù
Lui dice che sono suoi amici
Per questo indossa il crocifisso mentre lo facciamo
Dice che lavora per loro
Dice che se io lavoro per lui
Dice che è come se amassi loro, trini e invisibili
Lui dice che repetita iuvant
E m’accompagna la mano sul suo coso
Io chiudo gli occhi
Io sprofondo
Io mi ripeto che prima o poi finirà.
Le immagini: elaborazione fotografica di Giovanni Guadagnoli, dalla serie surreale (www.giovanniguadagnoli.it).
Maurizio Cecconi
(LM EXTRA n. 28, 15 maggio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
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